Cardella, Una ragazza normale

Cardella, Una ragazza normale

Cardella, Una ragazza normale

Cardella, Una ragazza normale

Cardella, Una ragazza normale, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Cardella, Una ragazza normale

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Lara Cardella, Una ragazza normale, prima edizione Mondadori 1994, trovato in un mercatino per caso a una sterlina e 50, è uno dei più brutti ed insignificanti romanzi che abbia mai letto in vita mia, un’accozzaglia di dialoghi infarciti di luoghi comuni sulle donne e sugli uomini, e stile da telenovela di quinta categoria, il tutto a condimento di una trama che pur nella sua essenziale banalità, riesce anche ad essere improbabile. È la storia di una ragazza ventiseienne, Deianira, che vive a casa con mamma e papà e la cui unica occupazione pare sia mentire a tutti e cambiare fidanzato, circondata da personaggi da soap-opera piuttosto monolitici, privi di qualsiasi sfumatura psicologica. La signora Marceda è la classica pettegola misogina di paese che imbastisce dialoghi monotematici e autocelebrativi, cercando di umiliare il prossimo. La madre di Deianira non sembra nemmeno accorgersi della cattiveria di Marceda. C’è un’amica di Deianira che viene abusata dal padre, la madre lo sa, Deianira lo sa e non fa nulla. C’è un suo amico che si droga, e anche in questo caso non si può fare nulla. Ci sono fidanzati ossessivi, banali e stupidi che attraversano il romanzo come meteore, ma il dato che colpisce di più è l’infantilismo di tutto il polpettone. Sembra incredibile che una ventiseienne possa parlare  come una quindicenne un po’ stupida. Questo è un dialogo con la madre:

“È bello sentirti cantare…”
“Ma se sono stonata come una campana…”
“Non è vero, hai una bellissima voce. Che canzone era?”
“Una dei miei tempi…”
“Ti prego, mamma, cantala!”
“Ma scherzi! Non me la ricordo neppure…”
“E dai che te la ricordi… Se vuoi, giro la faccia mentre la canti…”
“Giura che non ti volti a guardarmi!”
“Te lo giuro…”
“Solo un pezzo però. E girati!”
“Sono girata… Dai!”
“Ma non me la ricordo… Come faceva? Ciao, ciao bambina, un bacio ancora e poi per sempre… Visto? Non la so cantare, la rovino”…

Il dialogo continua sempre sul medesimo tono fanciullesco, reiterando la canzone e lo stile inutile, atono.

Sempre ad un improbabile registro infantile attiene anche l’affermazione della madre della protagonista, quando sostiene di dover partire con il marito per un romantico viaggio a Roma e di aver chiamato la zia Giuseppina per badare a Deianira, come se fosse minorenne, ma ha ventisei anni! Ha bisogno della baby-sitter a quell’età? Di una balia asciutta?

“Perché non state a letto un altro po’? Oggi è domenica”
“Appunto… Devo pulire per bene e poi devo preparare da mangiare. Oggi viene la zia Giuseppina a pranzo”
“Perché?”
“Eh sai… Dobbiamo partire, lei baderà a te. Mi è Sembrato giusto invitarla per dirglielo”.

L’insieme del romanzo traballa, le situazioni sono segnate da un’improbabilità da asilo nido in cui i personaggi si muovono come se fossero ancora adolescenti, anche se sono ormai adulti. Lo stile è veramente privo di qualunque fascino letterario o poetico, davvero terra terra, deludente, stile primitivo tipico di tanti pseudo-libri buttati sul mercato come si butta il mangime ai polli. Il caso della Cardella dovrebbe farci riflettere sul fatto che non sempre il successo corrisponde ad un reale talento. E, per inciso, la copertina, semplicemente orrenda.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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