Heine, Pagine autobiografiche, Formiggini

Heine, Pagine autobiografiche, Formiggini

Heine, Pagine autobiografiche, Formiggini

 

Heine, Pagine autobiografiche, Formiggini

Heine, Pagine autobiografiche, Formiggini 1926, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Heine, Pagine autobiografiche, Formiggini

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Quando sarò morto, la lingua

Taglieranno al mio cadavere;

tanto essi temono ch’io torni a parlare

dal regno delle ombre (Heine).

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Arrigo Heine, Pagine autobiografiche, edito da Formiggini nel maggio 1926, con la prefazione di Giacomo Perticone, le xilografie di Benito Boccolari e la traduzione di M. De Vincolis, è un piccolo capolavoro di ironia. Heine affronta con uno stile impeccabile, argomenti che sono ancora attuali mentre finge di parlare di se stesso.

Come è scritto nella stessa prefazione del libro, c’è da parte di questo scrittore “il tentativo di liberare l’arte dalla disciplina dei partiti, in un momento in cui si tentava l’asservimento dell’arte alla politica”.

Oggi questo asservimento è completo, quindi se potessimo comunicare con Heine, potremmo tranquillamente riferirgli che l’arte non ha avuto successo, piagata dal denaro e dal consociativismo; potremmo dirgli che la mediocrità contro cui ha combattuto tutta la vita ha trionfato e che il popolino che inneggiava a Barabba, ancora preferisce il ladrone, irretito da pubblicità e propaganda, reso ignorante dalla sottocultura oscurantista dell’editoria che conta.

Scriveva Heine:

Lasciate al popolo la libertà di scegliere tra il più giusto e il più briccone; egli griderà sempre: “Voglio Barabba! Viva Barabba!” E sempre allo stesso modo… Perché quest’ignoranza scompaia, bisogna innanzitutto sfamare il popolo, poi creare per lui scuole gratuite, dove possa essere istruito ed alimentato il suo spirito; allora vedrete che questi animali feroci diverranno uomini intelligenti, e forse anche spirituali; vedrete che più di uno di essi farà versi come il dotto parrucchiere Jasmin o scriverà in prosa come il sarto Weitling, mio compatriota.

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Ebbene, dai tempi di Heine, sicuramente il popolo è più istruito ma nulla è cambiato perché se siamo arrivati all’istruzione gratuita o quasi, comunque i figli delle classi sociali svantaggiate non vengono presi in considerazione alcuna, nel caso si mettessero in testa di aver talento. Il talento per un povero è una disgrazia non una benedizione perché, se non vuole la tessera di un partito, è destinato all’oscurità. Soltanto i ciarlatani delle classi alte hanno voce. Del resto potremmo dire, sempre con Heine:

 

E qual uomo importante non è un pochino ciarlatano? I ciarlatani della modestia sono i peggiori, con la loro superbia che spacciano per umiltà! Il fine giustifica i mezzi. Lo stesso buon Dio, quando sul Sinai promulgò la sua legge, non disdegnò, per l’occasione, di scagliar lampi e tuoni; sebbene la legge stessa fosse tanto divinamente buona, da poter fare a meno, senza pregiudizio, di ogni ingrediente di colofonia e di rimbombo di timpani. Ma Dio conosceva il suo pubblico, che, tra i buoi e le pecore, stava a bocca aperta a pie’ del monte, ed al quale avrebbe ispirato maggiore ammirazione un gioco d’artifizio fisico che non tutti i prodigi del pensiero eterno.

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Una sorta di propaganda ante-litteram in cui conta più l’apparenza, il chiasso e l’artificiale rimbombo, rispetto ai contenuti. Attualissimo dunque.

Anche sulla religione Heine aveva le idee chiare: “Non fui mai preso né da alcun dogma né da alcun culto”. Racconta che quando, inchiodato dalla paralisi in un letto si avvicinò a Dio, tutti pensavano che volesse seguire il credo di qualche Chiesa, ma si sbagliavano, la sua era una religione naturale, non dogmatica, perciò nemica di tutte le gerarchie ecclesiastiche:

Si è dunque risvegliato in me… il sentimento religioso… non ho bisogno né della chiave di San Pietro, né di quella di alcun altro portiere delle varie Chiese.

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Ebbe una buona parola pure per Hegel:

 

Invero ho capito poco di Hegel e solo con molta difficoltà sono arrivato a comprendere il senso delle sue parole. Sono sicuro ch’egli non ci tenesse a farsi capire, e perciò scegliesse un linguaggio così infelice ed oscuro… Del resto la conversazione con Hegel si riduceva ad un monologo. Pareva ch’egli parlasse continuamente a se stesso con quella sua voce afona, che armonizzava perfettamente con il suo pensiero.

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E per l’Accademia di Francia:

 

L’Accademia di Francia è un ricovero per vecchi letterati rimbambiti… La tettoia del fabbricato… è una gran cupola simile a una immensa parrucca di marmo. Quando guardo questa povera vecchia parrucca, non posso fare a meno di pensare agli epigrammi di tanti uomini di spirito, che hanno riso alle spalle di quest’Accademia che non perciò ha interrotto il suo ritmo di vita. Non è vero che in Francia il ridicolo uccide.

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E non solo in Francia…

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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