L’inesausta etica dei Qualcuno

L'inesausta etica dei Qualcuno

L’inesausta etica dei Qualcuno

L'inesausta etica dei Qualcuno

L’etica poetica, disegno da quaderno degli appunti, Mary Blindflowers©

 

L’inesausta etica dei Qualcuno

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

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Oggi parliamo di una poetessa molto impegnata ad organizzare laboratori poetici e a sostenere che soltanto chi ha un titolo importante possa fare critica letteraria: “A me l’etica dei Qualcuno interessa, occorre avere rispetto per la democrazia”. Dopo aver letto questa frase in un commento pubblico, ci siamo incuriositi e siamo andati a leggere le poesie di Anna Leone:

 

CORPO CHE SONO

Corpo terra dissodata
anfora sfregiata da passaggi di vento.
Corpo da cui spingo gli occhi
oltre i cementi
per tentare orizzonti
farmi alta su questa solitudine.
Corpo da cui mi vedo piangere
o sorridere
da cui mi son vista piccola
fuggire.
Mio fiore
qualche volta perdi luce
ma sempre ti volgi verso il sole.
Corpo cratere di sconforto
tunnel verso l’incanto o lo sgomento.
D’essere stata gettata al mondo
non ho memoria
Ho tramutato impronte in passi scalzi
lungo i velluti degli inganni.
Mai capace di prevedere svolte
di questo andare improvviso.
Quanti fervidi inizi
quanti ricchi smarrimenti
devo a te.
A te che mi traghetti ai mattini
su nuove sponde e mai mi smetti.
A te che mi sei conca
quando annottano profili
perché non debba morire fuori
dissociata e spersa.
A te mio siamese transeunte
mio rostro di more gaudenti
spina di rovi
mio carnale rattoppato al meglio
col filo dei silenzi.
Anima implume ti sono
sui bordi dei precipizi
Dove vita e morte si somigliano
uguali seducono.
Ed è solo questione d’equilibrio.
Io ti sono esatta nel nome
chiamata nella forma concava di te.
Di me.

Da ” Bocconi di vento ” Transeuropa 2021

 

“Poetessa” che si abbarbica alle anafore, la figura retorica dei poveri (“Corpo” replicato in acrostico 4 volte, “A te” sempre in acrostico 3 volte). Si tratta di un’antologia parenetica della propria entità carnale della cui ricettività l’autrice sciorina un malcelato orgoglio; questa essenza corporea sarebbe stata innanzitutto vittima indenne dell’aratro, poi dell’irriverenza del Dio Eolo sulla sua estetica simil-giara. Un fisico che verosimilmente è preda di un’urbanistica infame e ad alta intensità abitativa, alla luce della pluralità delle sostanze polverulente che, impastate con acqua, si rapprendono, legando tra loro materiali litoidi, che ostacolano la visuale degli orizzonti cui la “poetessa” anela per elevarsi sull’isolamento che in tema di centimetri deve verosimilmente sovrastarla. Un’essenza corporea auto-riflettente, la poetessa la vede (senza bisogno di specchi evidentemente) lacrimare o dischiudere in lietezza la chiostra dei denti; tempo addietro, nell’infanzia addirittura ne era evasa (non ci spiega come abbia fatto a rientrarvi!) Un σῶμα modello girasole a dispetto delle reiterate opacità che lo affliggono. E di nuovo ritorna l’idea della ricettività di tale elemento fisico, una volta giara, un’altra caldera, un’altra ancora galleria: agevole parrebbe insomma infilarsi in questa cavità multi-accogliente: depressione, meraviglia, orrore ne son stati reiterati passeggeri. Dell’azione dell’ostetrica che la espulse dal ventre materno, dice la “poetessa”, non ricorda assolutamente nulla. Di seguito scopriamo una mutazione che parrebbe miracolistica: le proprie orme, pur effettuate senza calzari, parrebbero non aver lasciato traccia di passaggio sui tradimenti più morbidi e soffici, dunque i più infidi e pericolosi. Come sia avvenuto questo miracolo calzaturiero non è dato sapere. Al lettore l’ermeneutica del pezzo. Un passo spedito e privo di conversioni caratterizza la corporeità dell’autrice. Ma esso è meritevole di ringraziamento costante, in virtù dei rapporti appena iniziati e poi subito abortiti, in ragione delle plurime confusioni patite, gravide come furono di ricchezza (non si capisce bene quale e a che titolo). Un fisico che è altresì modello San Cristoforo nella sua funzione di ferry boat vitale al sorgere del sole, fedele guadatore a prescindere dalle rive cui detto ammasso corporale approda. E di nuovo torma l’immagine della benevola accoglienza costituita da esso nel momento in cui il medesimo si fa bacino per sagome notturne che rischiano di ammazzare la proprietaria in stato di perdizione e scissione psichica. Una dedica appassionata a colui che viene considerato entità incollata, sia pure in forma transitoria, all’altro sé della “poetessa”, una sorta di geminazione siamese non bene identificata nella sua collocazione reale, ovvero una sorta di becco adunco portatore di bacche di sottobosco ispiratrici di godimento, o addirittura un aculeo di triboli, la cui stoffa compositiva risulta sdrucita e rammendata usando un rocchetto di cotone taciturno. Finalmente il protagonista ovvero deuteragonista dell’amebeo si rivela: sono la parte spirituale di un tutt’uno con la valenza di un fragile volatile ancor privo di penne sempre a rischio di cadere nell’orrido, laddove vivere e morire sembrano poli di attrazione con identica forza fascinosa che la protagonista maneggia da mirabile acrobata quale si auto-qualifica. Ed infine la clausola nuovamente esaltatrice della forza di chi ha la superficie curva verso l’interno: io, tua porzione spirituale sono stata procreata perfettamente attagliata a te, anfora, cratere, cavità fisiologicamente pensata, si dedurrebbe, per la accoglienza e il passaggio di molteplici eventi. Insomma un’ode mutua all’identità spirito-corporale dell’autrice.
Ci si perdoni questa dissertazione parafrastica, ma ci siamo ricordati di quando, da docenti, dovevamo esplicitare i passaggi più arditi dei classici ai nostri discenti: possiamo garantire di non aver mai dovuto ricorrere alle presenti acrobazie, poiché mai ci eravamo imbattuti in una sequenza pressoché infinita di metafore dal senso oscuro ed interrogativo come questa. Riteniamo ci siano modi molto più diretti e meno trismegistici per cantare della propria affinità materiale e psichica. Auguriamo all’autrice col tempo di essere meno sciafila nell’esprimersi e nel tentare di fare poesia. Perché qui il risultato ci è apparso veramente abortivo, infarcito di visioni allo specchio: siamese, mi smetti, vita e morte si somigliano, chiamata nella forma di te. Un desiderio identificativo e oppositivo insieme che tradisce un’anima scissa ma che però non ha una densa significazione se non lo scopo di una comunicazione emotiva veramente fine a se stessa e che non va oltre il solito trito intimismo di matrice egocentrica.

 

ALTRA SOLITUDINE

Dalla raccolta “Polena”, Puntoeacapo editrice

Ora siamo
in altra solitudine
oltre lo stare bene soli.

La bella solitudine
che ci ingannava
il tempo.

la nostra cara
solitudine
cura e accudimento
unguento
per l’anima trafitta.

Ora è tempo che assottiglia mani
contro la cautela
di carezze.

Tedio che consuma
l’osso
sull’inedia degli incastri.

Ė un angelo nudo
tremante sopra il petto

 

La solitudine invece sembra essere il tema principale di questa poesia. Ancora intimismo. Una serie di qualificazioni ancora una volta contraddittorie riferite alla solitudine, sfociano nel tedio che consuma le ossa e nell’immagine angelica finale piuttosto banale. Atona, stilisticamente ripetitiva e priva di mordente, è una poesia che non dice nulla di nuovo e in cui il senso profondo latita del tutto, sono solo immagini emotive che avrebbero lo scopo di creare un effetto scenico, tipico di tanta poesia contemporanea, ossia imbastire una sequenza di parole che non riescono a librarsi oltre il contingente personale, cadendo su se stesse, un volteggiar d’ali che non fanno vento, con l’innesto di immagini già viste tipo la trafittura d’anima che qui appare come adagiata sempre allo scopo della creazione emozionale che però non incide la carta, la sfiora soltanto.

Una domanda sorge spontanea. Concentrarsi troppo su se stessi fa bene alla poesia?

Forse sì, se sei Quasimodo, ma non se ti chiami Anna Leone. E in quanto all’etica inesausta dei Qualcuno, beh, non ci tange minimamente perché alla censura preferiamo sempre la libertà espressiva.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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