Reale, antisacro, museo, virtuale

Reale, antisacro, museo, virtuale

Reale, antisacro, museo, virtuale

Reale, antisacro, museo, virtuale

Museo virtuale, disegno da quaderno degli appunti, Mary Blindflowers©

 

Reale, antisacro, museo, virtuale

Mary Blindflowers & Angelo Giubileo©

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Il Museo come luogo sacro, le spicce polemiche sull’opportunità di farsi un selfie semivestite davanti alle intoccabili opere d’arte. Lo scandalo del bigotto che punta il dito contro il degrado dei nostri tempi empi. Il delirio giovanile teso alla pubblicitaria tresca che invita alla pesca dei like. Giornali che titolano e reiterano il moralismo spiccio di chi trova di cattivo gusto gli abbigliamenti succinti scopo propaganda dentro un luogo come il museo che ospita l’Arte co la A maiuscola.

Il museo in realtà non è affatto un santuario per bigotti e personcine politicamente corrette, per due sostanziali ordini di non trascurabili motivi. È una istituzione, quella museale, che nasce dalla rapina e dall’appropriazione indebita. Moltissime opere presenti nei musei di tutto il mondo sono state trafugate durante guerre e colonizzazioni. I bronzi del Benin ne sono un esempio super-lampante. Poi nella rampante e buonista campagna per la salvaguardia dell’onore immacolato del museo, ci si dimentica che tantissime statue sono nude e molti dipinti rappresentano la nudità.

Ma passiamo per un attimo al linguaggio.

Presidente, presidentessa, presidenta. Polemiche a non finire su etichette linguistiche di cui al popolo che soffre non importa davvero nulla, perché se nelle periferie italiane c’è tanta mondezza e trascuratezza; se i lavoratori sono costretti a lavorare per paghe da fame oltre l’orario consentito e in situazioni non sempre ideali; se i laureati dopo la laurea si presentano ai concorsi per fare gli spazzini seppellendo quel pezzo di carta che ottengono alla fine dei tanto sudati studi; se il pensionato non riesce ad arrivare a fine mese e rovista nei sacchetti della mondezza o ruba le mele al supermercato facendo una figura caprina; se le bollette stanno alle stelle e molti esercizi sono costretti alla chiusura definitiva, mentre gli altri cercano di resistere se e se, ci sarebbero altri sacchi e sporte di se, ma sorvoliamo che non stiamo a fare un comizio, se dunque la situazione è questa, perché i politici in Parlamento giocano a fare i sofisti? Che importa al neolaureato disoccupato, al pensionato, al commerciante, all’operaio, etc. se dobbiamo parlare di Presidente o Presidenta?

E che importa sempre a costoro se lo stesso Presidente o Presidenta fa un lapsus per aver dato del tu ad un collega parlamentare? Di base nulla, i parlamentari, neri, rossi, bianchi e verdi e fucsia, possono chiamarsi tra loro come gli pare, al popolo non importa il benché minimo fico secco perché ha urgenze più importanti, non ultima quella di dare da mangiare ai propri figli.

E poi arriviamo ad una scena madre che potrebbe essere quella di un film. Immaginate delle persone, alcune sedute a destra, altre a sinistra che prendono il the attorno ad un tavolo e iniziano a discutere e ad accapigliarsi mentre la stanza entro cui stanno seduti crolla, il tetto inizia a sfaldarsi, piove sulle tazzine piene di the, sui tappeti, ma i presenti non sembrano accorgersene e continuano imperterriti a discutere di lana caprina come se niente fosse e bevono e litigano.

Che legame c’è tra la notizia dei selfie al museo, le discussioni sulla Presidenta e la sala del the sovradescritta?

Il sofismo nel senso deteriore e negativo del termine, o meglio il sofisma è la risposta. Il legame tra le tre situazioni.

Si gira a loop per non affrontare i problemi reali. I giochi da salotto che poi vengono replicati dai giornali sono i giochi del circo del duemila, servono a distrarre le masse sprofondandole nel nulla.

Il linguaggio e l’immagine diventano così i tasselli che riempiono un vuoto contenutistico che fa paura perché incapace di autocritica e soprattutto di rispondere alle esigenze della gente vera, di quella che si alza la mattina per andare a lavorare e che non ha davvero voglia di capire perché si debba dire Presidente o Presidenta, di combattere per un principio di falso femminismo, mentre sente un indistinto brusio da diritti garantiti solo nella fantasia, quando l’intero edificio dello Stato sovrano crolla dalla testa all’ano.

Ma non vedete che piove nella stanza Italia?

Si salvi chi può!

E a dire il vero piove un poco dappertutto, la politica è svincolata dal reale un poco ovunque nel mondo apparentemente stanco della realtà, che sembra non più soddisfare la generazione di “sapiens-sapiens”. Piove al punto che ciò che caratterizza la specie, e quindi la realtà vivente e il linguaggio, tende a mutare, ad assumere una nuova forma, ancora approssimativa, di realtà che oggi diciamo “virtuale” e il cui linguaggio dell’informazione diventa così sempre più vuoto e astrattivo. Fuori da questo mondo, lontani da questa realtà! Girare dunque sui termini  e le etichette invece di risolvere i problemi reali che forse annoiano chi non li vive. In un’epoca come l’attuale (e state pur certi invece che di consimili ne abbiamo già vissute!) – che gli storici, ancora sacri stregoni del nostro tempo, definiscono <postmoderna>, e cioè cronologicamente successiva a ogni possibile metanarrazione – lo stesso <Dio> ovvero l’uomo post-nietzscheano – “umano troppo umano” (altro che l’Ubermensch del Transumanismo) – avrebbe mostrato secondo Leopardi tutto il suo disagio: “nessuna cosa è più ragionevole della noia… solo la noia la qual nasce dalla vanità delle cose, non è mai vanità, non inganno, non è mai fondata sul falso” (Operette morali).

Ma alla nostra epoca piace il falso, ergo per scongiurare la noia ecco il mainstream confinarci, in un nuovo spazio della virtualità tra NFT, i non-fungible-token che certificano l’acquisto di un’opera riprodotta virtualmente, un’opera che non esiste.

È così che questa nostra specie, anche agli occhi di chi come noi la guarda con ragionevole indifferenza o simmetria, più che annoiata appare talvolta piuttosto stupida. Ci sovviene, ad esempio, il caso di chi l’anno scorso ha acquistato “il vuoto”, rinomato opera d’arte, in cambio di 15.000 euro. Forse colui l’ha fatto solo al fine di farsi pubblicità, ma se anche così fosse, sarebbe anch’esso un motivo altresì stupido per continuare a invogliarci nella nostra opera <destrutturalista>, e senz’altro impedirci di annoiarci e fare in modo che anche tu lettore non finisca con l’annoiarti per questo nostro slancio antico verso il reale antisacro a discapito del virtuale.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Me lo fanno a strisce e a fette
    per i glutei e per le tette
    che esibiscon nei musei
    belle donne! Che babbei!
    Se ne fregano dei quadri
    giunti là per man di ladri!
    Ho una fitta dentro un dente
    perché conta ed è esimente
    se sei medico e hai la fessa
    ch’io ti chiami Dottoressa
    mentre a parte fesse e tette
    nessun taglia le bollette.
    Stalinisti o w il Duce
    quest’Italia ormai si scuce!
    Radical chic e fascisti
    sono solo bei sofisti!

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