La fenomenologia dello pseudonimo

La fenomenologia dello pseudonimo

La fenomenologia dello pseudonimo

La fenomenologia dello pseudonimo

Il critico, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

La fenomenologia dello pseudonimo

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Cosa hanno in comune William Shakespeare, Agatha Christie, Italo Svevo, Richard Bachman, Andrea de Chirico, le sorelle Brontë, Doris Lessing, Stendhal, Holiday Hall, Mary Ann Evans, George Orwell, Ayn Rand, Joseph Conrad, Lewis Carroll, Yi-Fen Chou, William Sydney Porter, Mark Twain, Alberto Moravia, A. M. Barnard, Voltaire, giusto per citare alcuni esempi tra migliaia?

Sono tutti pseudonimi.

In particolare sulla vera identità di Shakespeare studiosi e curiosi ancora si accapigliano.

I motivi per cui si usa uno pseudonimo possono essere diversi. Infatti le storie dei suindicati autori sono molto differenti tra loro. Se vi prendeste la briga di guardarvi le loro biografie, capireste perché.

La fenomenologia dello pseudonimo però si lega inscindibilmente alla fama a cui, si sa, si perdona sempre tutto. A nessuno mai verrebbe in mente di accusare gli autori suindicati di pochezza contenutistica o altro soltanto perché usano un nome fittizio, cosa che invece accade agli scrittori poco noti che, a quanto pare, non soltanto devono pagare lo scotto di una scarsa diffusione dei loro libri, per cause indipendenti dalla loro volontà e dalla sostanza delle loro opere, ma vengono costantemente rimproverati per l’uso di un eventuale pseudonimo, come se fosse una malattia contagiosa, un bubbone purulento da estirpare. Ergo deduco che lo pseudonimo possa andar d’accordo soltanto con la fama. Soltanto chi è famoso può usare un nome fittizio senza conseguenze nefaste, senza incorrere nell’odio ingiustificato degli interlocutori.

Ma prima di diventare famoso uno scrittore non lo è affatto, se ne sono accorti i benpensanti e i laudatori soltanto per fama?

Non si nasce famosi a meno che non si sia figli di qualche star e quindi si nasce noti per fama geneticamente acquisita. Accade che i figli degli scrittori e degli accademici noti nascano infatti già noti e incamiciati; sanno tutti che sono famosi quando ancora stanno nella pancia della madre, prima ancora di capire di che sesso siano. La fama li precede, viene addirittura prima della costituzione e formazione dei loro corpi fisici. Ma non tutti nascono già geneticamente famosi, molti acquisiscono la fama. Ora non stiamo ad indagare sul come, rileviamo soltanto che l’acquisizione di fama avviene, salvo eccezioni, in fase post-nascita e per vari ordini non sempre edificanti di motivi.

Seguiamo per un attimo il ragionamento del benpensante medio. Se lo pseudonimo dovesse essere consentito soltanto ai famosi, uno scrittore dovrebbe riuscire a diventare noto solo con il suo nome vero e poi usare uno pseudonimo.

Ma che senso avrebbe?

Davvero nessuno, infatti ci sono stati diversi autori che hanno voluto regolare un conto con se stessi. Questi infelici hanno provato, dopo essere diventati famosi con un certo nome, ad usarne un altro e i risultati sono stati deludenti, sì, dei veri e propri flop, perché la gente non si compra un libro, si compra il nome e se uno è famoso con il suo nome vero Pinko, ovvio che se poi firma il suo successivo lavoretto con Panko, la gente non lo riconosce, non sa che egli in realtà è il grande Pinko, quindi l’uomo medio il libro non se lo compra nemmeno se gli tiri una martellata in testa, perché pensa che sia di uno scrittore esordiente non del famosissimo e acclamatissimo Pinko di cui tutti parlano.

Di conseguenza, se la filosofia non è un’opinione dei fagiani e delle gallinelle, uno scrittore non famoso in realtà ha più diritto di uno noto all’utilizzo dello pseudonimo. Non avendo un nome con cui fare i conti, può scegliere infatti e per motivi che sono perlopiù affaracci suoi, quello che gli piace di più.

L’illusione del nome crea mostri.

Un testo si giudica soltanto dal suo contenuto non dal nome vero o fittizio che c’è scritto sopra. Questo concetto così elementare pare che sfugga perfino ai critici letterari che del resto, oggi non leggono più nulla, limitandosi a pigolare sui social che la grande stagione della critica è terminata. Meno male!

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Libri Mary Blindflowers

 

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