Sardegna, Geronticidio, miele amaro

Sardegna, Geronticidio, miele amaro

Sardegna, Geronticidio, miele amaro

Sardegna, Geronticidio, miele amaro

Sintesi, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Sardegna, Geronticidio, miele amaro

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Timeo di Tauromenio afferma che in Sardegna, prima dell’avvento del cristianesimo che mitigò la crudeltà di certe consuetudini, si praticava il geronticidio. Gli individui anziani, che non potevano essere utili per la società perché non erano più in grado di lavorare, venivano uccisi dai propri figli che minacciandoli con bastoni e verghe li costringevano a recarsi presso una rupe dalla quale li facevano precipitare.
Le fonti dicono che i coloni Cartaginesi uccidevano i prigionieri più belli e i loro stessi vecchi padri, sacrificandoli al dio Kronos. Le vittime, aliene da ogni viltà non si ribellavano, anzi andavano a morire col sorriso sulle labbra, mostrando un’incredibile forza d’animo[1].
Al geronticidio partecipava tutto il villaggio. Mentre il poveretto precipitava nel vuoto, le sue grida di terrore venivano coperte dalle urla dei figli.
Per ridere durante l’uccisione dei padri, i figli si strofinavano infatti sul muso il lattice dell’euforbia, chiamata anche erba sardonica, una pianta amara il cui contatto con l’epidermide provoca il rigonfiamento dei tessuti molli e la tumefazione della bocca fino a farla distorcere in un’orribile e tragicomica risata[2].
Alcuni ritengono che i figli potessero consumare il terribile geronticidio solo in stato di esaltazione procurato dall’assunzione di sostanze psicotrope contenute in alcuni prodotti derivati dalla fermentazione del miele amaro[3].
Le fonti greche e romane non mostrano alcun dubbio circa l’esistenza dell’erba sardonica. Scrive Dioscoride Pedanio:

Quell’erba che si chiama sardonia è veramente spetie di Ranuncolo. Beuta questa, over mangiata nei cibi fa alienare la mente, et facendo ritirare le labbra dalla bocca genera un certo spasimo che par che ridino coloro che l’hanno mangiata. Le spetie di ranuncolo sono più, come che abbino tutte una medesima virtù ulcerativa… Quello della seconda specie è più lanuginoso, ha il fusto più lungo, e le frondi più intagliate, è acutissimo, e nasce abbondantemente in Sardegna, dove lo chiamano apio selvatico…[4].

Pausania e Solino scrivono che l’erba sardonica è una pianta che cresce nell’isola in prossimità dei corsi d’acqua. Sileno, nel IV libro dei Fatti Siracusani sostiene che “esiste tra i sardi una pianta dolciastra, simile al sedano selvatico; coloro che la mangiano distendono le mascelle e la carne”[5].
Sigismondo Arquer nel 1500 dice che è simile al sedano mentre Salvatore Vitale nel 1639 sostiene che si tratta di un’erba velenosa della Trexenta chiamata lua.
È nel secolo XIX che l’erba sardonica viene erroneamente identificata con l’euforbia o con il Ranunculus sceleratus, velenoso ma non letale.
Nel nuorese c’è una pianta che assomiglia tanto alle descrizioni forniteci dagli antichi sull’erba sardonica. Si tratta di un vegetale che cresce vicino all’acqua con il gambo allungato simile al sedano. È la Oenanthe Crocata L. della famiglia delle Umbrelliferae, chiamata Apiu areste, Appiu burdu, Appiu burdu de arriu, Lau, Erba sardonia[6]. È un’erba velenosissima sia per il bestiame che per l’uomo. Se ingerita ha conseguenze mortali. Le radici spezzettate venivano utilizzate per pescare, infatti se messe in acqua uccidono i pesci che vengono catturati senza difficoltà[7].
Nel I secolo d. C. il medico greco Dioscoride Pedanio identificava l’erba sardonica con una sorta di amarissimo sedano selvatico che provoca la perdita del controllo mentale ed una convulsione dei nervi che tira le labbra in un ghigno, dando l’impressione di abbandonarsi al riso.
Dioscoride propone un metodo per curare i sintomi provocati dall’erba: “Dopo aver vomitato conviene bere acqua mielata e latte in abbondanza; poi bagnare ed ungere il corpo con pozioni grasse e riscaldate; e ancora immergersi in acqua calda ed olio, quindi procedere a massaggi e unzioni e ricorrere ad ogni mezzo per evitare l’irrigidimento dei nervi…”[8].

Note:

 

[1] E. Pais, Il riso sardonico, Edizione Trois, Cagliari, 1970.
[2] Vedi F. Masala, La maschera sul viso per urlare il dolore, in  La Nuova Sardegna, 5 settembre 1980.
[3] G. Gessa – C. Maxia, Riso sardonico e biochimismo, in “Frontiera” a. V (1972), n. 7, p. 251, 252.
[4] M. G. Cabiddu, Akkabbadoras, riso sardonico e uccisione dei vecchi in Sardegna, in “Quaderni bolotanesi”, Rivista sarda di cultura, n. 15, anno XV, 1989, Edizioni Passato e Presente, Bolotana (Nu), p. 345.
[5] S. Ribichini, Il riso sardonico, storia di un proverbio antico, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2003, p. 19.
[6] Sedano selvatico, sedano bastardo, sedano bastardo di fiume, erba sardonica.
[7] Vedi M. G. Cabiddu, Akkabadoras, riso sardonico e uccisione dei vecchi in Sardegna, cit., p. 346.
[8] S. Ribichini, Il riso sardonico, storia di un proverbio antico, cit., p. 20.

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Il dizionario etimologico infatti alla voce SARDONICO riporta che alcuni filologi lo fanno derivare da SAIRO’, digrigno i denti aprendo le labbra e contorcendo il viso a mo’ di cane ringhioso (cfr. Sarcasmo); altri invece pensano al Sanscrito KHSARA, caustico, acre, ma la maggior parte dei filologi lo fa derivare da SARDO’N, Sardegna (da cui sardonikòs, sardo). In Sardegna è infatti frequente una pianta detta SARDONION della specie dei ranunculi che produrrebbe in chi se ne ciba movimenti convulsivi nel volto e quindi un riso forzato.

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