La letteratura come cura?

La letteratura come cura?

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La letteratura come cura?

Buona fortuna? Credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

La letteratura come cura?

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Non credo nel valore terapeutico della scrittura e nemmeno della pittura. Significa dare all’arte una responsabilità che non ha. Inoltre sono fermamente convinta che la fase emozionale non giovi affatto allo scrivere, la vera scrittura avviene in fase post-emozionale. La vera critica letteraria o artistica, a sua volta, non può sostanziarsi su un dato fragile e opinabile come la tanto decantata emozione ma su dati reali e concreti attinenti al significato e alla profondità, non alla valutazione soggettiva.
Eppure sono in molti a giurare che l’autobiografia, pura e semplice, oggi possa avere ancora un senso. Solo in due casi può essere invece giustificabile, o lo scrivente è stato protagonista di una vicenda straordinaria che ha un valore capace di universalizzarsi al di là della sua vicenda biografica, oppure è un personaggio noto per cui il lettore viene incuriosito soltanto a causa della notorietà del soggetto di cui si scrive.
Nel primo caso si fa letteratura, si vedano, per esempio Anna Frank e Primo Levi, nel secondo si fa spesso bieca autopromozione. Non è un caso infatti che calciatori e divette facciano scrivere da altri le loro mirabolanti vicende personali che possono interessare al massimo un lettore abominevole, avido di gossip.
Ciò che trovo del tutto insensato e ingiustificabile da un punto di vista letterario è invece il Signor Rossi che si mette a raccontarci quando gli è spuntato il primo dentino, a che età ha fatto la comunione, come è stata la sua cerimonia di nozze e cosa mangi abitualmente. Finché il Signor Rossi pensa che scrivere di sé possa giovare alla sua autostima, diciamo che lo si può capire, ma quando lo stesso signore si illude con questo procedimento di fare letteratura, allora veramente ci si chiede se tutto questo movimento autoincensatorio di matrice puramente consolatoria e realista, senz’iperboli o esagerazioni, ma che riproduce semplicemente la sua insignificante vita, possa interessare qualcuno o chiamarsi letteratura.
La verità è che tutti gli scrittori quando scrivono parlano un poco di sé, ma la differenza tra uno scrittore e uno che vuol fare il diario della nonna e del suo polpettone della domenica, è che quel polpettone lo scrittore lo trasforma in qualcos’altro, lo rende universale, perché gli dà un significato che va oltre la scrittura stessa, intuibile tra le righe, metaforizzato, plasmato per andare oltre. Il Signor Rossi invece si ferma là, il suo polpettone rimane un polpettone e niente più, esattamente come il suo romanzo-confessione.
L’illusione di essere speciali, la cosiddetta sindrome dell’uomo speciale, fomentata da una società che fa dell’individualismo-divismo un dogma da seguire, spinge il Signor Rossi a credere che le sue malattie, le sue sofferenze e le sue aderenze ad un certo tipo di mentalità, possano interessare tutti.
Ma allora, direte voi, a mo’ di esempio, Padre padrone, forse l’unico libro decente scritto da Gavino Ledda, non è forse una vicenda autobiografica? E non è forse un romanzo degno?
È degno, certamente, ma la vicenda autobiografica non è la storiella di un borghese che si alza la mattina, bacia la mogliettina e si prende il caffè, è una storia sui generis, comunica un’esperienza di vita durissima, che pur nel suo crudo realismo, non solo svela l’uomo ma una fetta di mondo che molti neppure conoscevano, dunque parlare di autobiografia è francamente riduttivo perché c’è un reale trascendimento.
E Primo Levi anche, non racconta soltanto se stesso, ma la tragedia dell’Olocausto, come Anna Frank. Qui non si tratta di pigolii tesi all’autoreferenzialità, ma di un’operazione che va al di là del sé.
Senza trascendimento del sé non si può fare letteratura. Questa inizia esattamente dove finisce l’ego che non serve per scrivere e non può mai essere un fine, ma deve rappresentare soltanto un mezzo per raggiungere un obiettivo più alto, meno soggettivo, che dal microuniverso concentrazionario arriva al macrouniverso, alla comunicazione profonda, alla segnalazione di un problema che non riguarda la continenza urinaria del Signor Rossi o la sua avversione per i cavoli a merenda, i suoi capellini a pois neri e pistacchio o le sue scarpe marroni, ma concetti un po’ più interessanti del raccontare fine a se stesso.
Dopo Joyce, Kafka e tutto il modernismo, ancora non abbiamo imparato che il particolare insignificante e grigio è soltanto un mezzo per conoscere e per comunicare l’alienazione dell’uomo contemporaneo e la sua insignificanza cosmica che già aveva intuito ben prima il contro-antropocentrico Leopardi.
Nel Dialogo della natura e di un Islandese, la natura dice: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra (degli uomini)?
Eh no che non è fatto per noi, e nemmeno la letteratura è fatta per gli esibizionisti del sé che in fase emozionale pensano di riempire pagine bianche per curarsi. La vera letteratura non è una cura, fatevene una ragione. Se avete l’esigenza di curarvi, forse è meglio andare da un medico.

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