Fernando Palazzi, La città

Fernando Palazzi, La città

Fernando Palazzi, La città

Fernando Palazzi, La città

Fernando Palazzi, La città, Ultra 1946, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Fernando Palazzi, La città

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Ferdinando o Fernando Palazzi (Arcevia, 21 giugno 1884 – Milano, 8 giugno 1962), scrittore e critico letterario italiano, autore del Novissimo dizionario della lingua italiana, edito dalla casa editrice Ceschina nel 1939, direttore di collana presso UTET, dirigeva assieme a Vincenzo Errante, la famosa Scala d’oro, collana di letture per ragazzi, iniziata nel 1932.
Palazzi era una figura non trascurabile nel panorama editoriale italiano, eppure La Città, impressioni e fantasie, che ho letto nella prima edizione Ultra, serie il Flauto di Pan, Biblioteca del viver sapiente n. 6, 1946, non è di certo un capolavoro.
Un tempo si usava il genere letterario dei pensieri sparsi e delle divagazioni. Non si tratta di romanzi e nemmeno di saggi ma di relazioni più o meno estemporanee con un osservatore che descrive il mondo a modo suo, quindi fa della pseudo-filosofia spiccia su come dovrebbe essere il reale rispetto a com’è.
Palazzi così si posiziona prima dall’alto, sostenendo che: “per poter dire di conoscere una città, bisogna averla vista anzitutto dall’alto. Come si potrebbe infatti gustare tutti i particolari se non se n’è veduto tutto l’insieme?”
Inizia quindi a descrivere i tetti e la loro disposizione: “grandi e piccini, più alti, meno alti, alcuni, pochi, con le tegole ancora rosse, ancora fresche, altri, i più, fatti grigi dalla patina del tempo…” Notazioni piuttosto sterili e fini a se stesse.
Successivamente fa una comparazione piuttosto banale tra città e campagna, sostenendo di prediligere la città. Più avanti, quando scende dall’alto per vedere le cose da un’altezza pedone, si avventura in una analisi sociologica piuttosto scialba. Il suo amico Cicogna gli fa notare che non si vive in un regime di uguaglianza nemmeno in Europa. La separazione in caste propria dell’India esiste anche nelle città occidentali. Quindi i due osservatori salgono sul tram e osservano la classe operaia che corrisponderebbe in India ai paria. Un’ora dopo ecco i commessi e le dattilografe con in mano romanzi di bassa letteratura e i sorrisi un poco fatui e dolciastri, i sudras. Trascorre un’altra ora ed ecco i caposervizi degli impiegati, grossi negozianti, consiglieri delegati, industriali, liberi professionisti, magistrati, alti funzionari, con grosse buste di pelle gonfie di documenti e forse anche biglietti da mille sotto il braccio. Sono i brahmani.
Alle undici ecco signore eleganti e giovanotti vestiti impeccabilmente di abiti sgargianti senza alcuna fretta di arrivare, fuchi e regine sempre in ozio perché tanto ci sono gli altri a lavorare per loro. Questa è la casta dei radjput.
E poi le domande retoriche:

Hai visto, adesso? Ma chi dunque crivella e separa con tanto acume, con tanta precisione, il milione e più di abitanti di questa città, dividendone le caste sociali senza commettere il più piccolo errore e servendosi di uno stesso carrozzone per chiudere ogni casta nel compartimento stagno di un orario inesorabile?

Dopo aver considerato la realtà della divisione in caste occidentali corrispondenti a quelle indiane, a sottolineare l’inesistenza di qualsiasi senso di uguaglianza, i due protagonisti vanno a consolarsi al ristorante, abbuffandosi alla faccia delle classi basse:

 

…ci sedemmo a mensa, e le ostriche, i ravioli, l’arrosto di storione, la bistecca alla Bismarck, l’insalatina di pomodori novelli, le fragole e la zuppa inglese, dallo stato di semplici cognizioni astratte e dottrinarie divennero fatti concreti e commestibili…

 

Siamo sempre alla borghesia che giudica il mondo, si lamenta della sua sostanziale ineguaglianza, del denaro e della gola, citando anche la Divina Bottiglia di ascendenza rabelaisiana, ma non fa di fatto nulla per migliorare il mondo, tutta presa com’è dal suo mondo di passatempi:

 

Forse, oltre alla religione del Vitello d’Oro, c’era tra gli uomini anche la religione della Pancia Piena e della Divina Bottiglia?
Ora avevo dinanzi a me tutto un assortimento di passatempi da scegliere: una conferenza, un concerto, una mattinata alla Scala col Parsifal, un salotto mondano, una partita di calcio, una redazione di giornale, il circolo, il tennis, il cinema.

 

Di fatto un libro perfettamente inutile ed ozioso in cui la polemica sa di posticcio e si attorciglia su se stessa, contraddicendosi.

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