Noi Robot, Deus ex machina

Noi Robot, Deus ex machina

Noi Robot, Deus ex machina

Noi Robot, Deus ex machina

La macchina del tempo, credit Antiche Curiosità©

 

Angelo Giubileo©

Noi Robot, Deus ex machina

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Parafrasando Benedetto Croce, potremmo anche dire: perché non possiamo non dirci ebrei. Perché gli ebrei, a differenza di altri, hanno saputo conservare la memoria di ciò che la tradizione dice che noi uomini siamo: una vera e propria macchina del tempo.
“Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato contro Dio e contro gli uomini, ed hai vinto”. Giacobbe gli disse: “Ti prego, dimmi il tuo nome”. Ma quello rispose: “Perché chiedi il mio nome?”. E qui lo benedisse (Genesi)
Nel linguaggio del teatro l’espressione latina “deus ex machina” indica la risoluzione di una situazione ingarbugliata, che è tale da non trovare apparentemente una soluzione. Ma, vediamo prima di cosa si tratta e poi diciamo della soluzione, che tuttavia finisce per essere essa stessa una risoluzione e quindi la ripetizione di qualcosa che è già dato, ovvero la soluzione stessa.
La costruzione latina e/ex + ablativo è usata con una possibile triplice funzione di complemento di moto da luogo, complemento di materia, partitivo.
Nel primo caso è quindi l'”imago dei” che promana dalla “machina”. Analogamente, la funzione del complemento di materia è quella di indicare la sostanza (aristotelica) di cui si compone una “cosa” (nel senso latino del termine e quindi alla stessa stregua del significato di “ente” in greco), in senso sia proprio sia figurato. Analogamente, ancora, l’articolo partitivo è utilizzato per introdurre una quantità della parte in relazione a un imprecisato e imprecisabile intero. Così che nella frase l’espressione “deus” è parte di un sistema, senza poter stabilire con “vera certezza”, direbbe Parmenide, se l’elemento “deus”, in senso proprio o figurato, sia interno o esterno all’intero sistema in questione.
E allora il dio che emerge dalla macchina rappresenta non una soluzione bensì la risoluzione, l’unica possibile, al dubbio amletico circa il significato dell’essere tutto intero e di ogni sua parte che nell’essere, per così dire, appare. E cioè come appare in definitiva all’occhio della mente e dei sensi, senza per questo che possiamo comprenderne il significato. O il perché, come del resto sanno bene sia i bambini che gli adulti: perché è così? Perché così è.
E cos’è? C’è forse una soluzione, nient’affatto ingarbugliata (Alessandro e il nodo di Gordio), che sia diversa dal dubbio, dall’immagine dell’ “implesso” di cui ripetutamente ci dicono Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend nel loro Il mulino di Amleto? Parmenide non ha dubbi: il giorno, che rappresenta la luce (dio in vedico, linguaggio protomadre del sanscrito, greco e latino) è anch’esso, come le tenebre, in sé, “notte densa e pesante”.
Parmenide usava le categorie della scienza di Democrito, il quale credeva che la materia si componga di atomi per l’appunto duri o anche densi e pesanti. Oggi, si dice piuttosto che la materia non sia altro che energia e che la materia sia solo un comportamento dell’energia stessa. Modo di credere che non cambia la sostanza della risoluzione della mente, che opera per separazioni ed esprime una risoluzione incerta anch’essa, allo stesso modo della soluzione sensitiva, che si manifesta in tutta evidenza parziale e incerta.
Pertanto, Platone chiamava il cosmo greco “la macchina del tempo”. E, in definitiva, questo saremmo anche noi umani: una “macchina”. Ciò che oggi più comunemente chiamiamo “robot” e che, in ebraico moderno, è significato anche da uno degli usi del termine golem. Il golem è una “imago dei” tratta dalla Qabbalah. Nel Tanakh (Salmo, 16), il golem è descritto come un mostro (dal latino monstrum, monstrare e cioè apparso, apparire), “una massa ancora priva di forma”, da cui, dopo l’azione d’infusione dell’anima, nasce il primo uomo Adamo. Il golem è un gigante d’argilla, privo d’intelligenza ma dotato di una forza sovrumana, in tutto e per tutto un demone o meglio, per l’appunto, un “gigante”. E, in effetti, quella dei giganti non è una storia diversa da questa.

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