Dialoghetto scettico e destrutturalista

Dialogo scettico e destrutturalista

Dialoghetto scettico e destrutturalista

Dialogo scettico e destrutturalista

Strutture, credit Mary Blindflowers©

 

Angelo Giubileo & Mary Blindflowers©

Dialoghetto scettico e destrutturalista

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A: Ogni rivelazione non è altro che una nuova rappresentazione, iconica e alfabetica, dell’eterno “velo” di Iside e tutte le altre divinità consimili, passate presenti e future. Iside non è altro che il “deus sive natura” di Spinoza.

 

M: La sostanza infinita da cui tutto “deriva” si fa per dire e da cui tutto “dipende”…

 

A: Una cosa che non ha fine è comunque una cosa determinata. Illimitata è invece una cosa che non ha limite, termine e quindi indeterminata e indeterminabile. Anche il tempo, che dici infinito o eterno, è una categoria.

 

M: Le categorie sono un’invenzione che serve alla sola specie umana per ordinare il mondo a propria misura, per rimpicciolirlo rendendolo pari alla propria esigua altezza, al proprio significato di punto perso nell’Universo. Le categorie servono a noi che del limite, dei limiti, della forza di definizione a tutti i costi, dell’ansia del nome definente e catalogante, dell’etichetta esibita, abbiamo fatto divinità a buon mercato, dato che abbiamo riportato tutto a spazio e tempo, abbiamo riportato tutto a noi stessi. Ma la prospettiva destrutturalista e anti-antropocentrica sa che sono soltanto “leggi”, “costruzioni artificiali”. Sa che in fondo nulla di tutto ciò veramente è, né il tempo, né il nome, né la fama, né le illusioni di ordine e controllo delle vite altrui e del mondo.

 

A: E allora di via resta una sola parola che: “è”.

 

M: Che è come lo intendiamo?

 

A: No, è il “Senza Nome”.

 

M: Che significa “Senza Nome”?

 

A: Il Senza nome è lo stesso che l’è senza alcun predicato, neanche quello dell’esistenza. Senza una struttura e senza alcuna possibilità d’individuarne una…

 

M: Non possiamo tuttavia parlare di assenza di struttura ma di una sua per così dire relatività.

 

A: Esatto. Una struttura c’è ma non è conoscibile né quindi trasmissibile. Tutto diventa quindi relativo.

 

M: Il concetto di relatività della struttura ben si accorda con il Destrutturalismo. C’è la consapevolezza della relatività della struttura, che diventa la radice di ogni possibile libertà di pensiero. Chi è conscio di questa relatività non assolutizza mai la struttura né le sue leggi morali o politiche. Qualsiasi sistema umano, artificiale, può essere smontato e compreso punto per punto, scoperto nei suoi meccanismi essenziali che, disuniti, rivelano i limiti e l’evidenza della necessità di eliminare qualsiasi posizione che non parta da un punto di vista relativo, e quindi non sia dogmatico e assolutistico; capace pertanto di giudicare anche l’immagine antropomorfa del dio da cui l’a-cosmismo spinoziano si è ampiamente discostato, rompendo l’immagine tradizionale di Dio e della Natura, quella natura di cui Leopardi sosteneva l’assoluta indifferenza rispetto agli uomini: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?” (G. Leopardi, Dialogo della natura e di un Islandese). E così Spinoza nell’Etica: “Tutti i pregiudizi che sto per segnalare dipendono da uno solo e cioè che gli uomini comunemente ritengono che tutte le cose naturali, e loro stessi, agiscano in vista di un fine; addirittura si ritengono certi che dio stesso diriga le cose verso un fine preciso; dicono che dio abbia creato tutte le cose in vista dell’uomo, e poi avrebbe creato l’uomo affinché lo adorasse”.

 

A: Infatti, come dice Plutarco: l’impulso che ci spinge ad agire non ha bisogno di alcun assenso, in forma di immagine, parola, idea o quant’altro.

 

M: Tutti i pregiudizi dipendono da uno solo, il delirio antropocentrico dell’uomo che pensa che l’universo e dio siano fatti a sua immagine e somiglianza, pregiudizio avallato da religioni e filosofie antropocentriche dure a morire e che hanno fortemente e negativamente influenzato lo sviluppo sociale dell’uomo che superbamente riconduce tutto a sé in tutto ciò che fa. La letteratura, le arti in genere, sono state negativamente influenzate dall’antropocentrismo della struttura dominante che ha decretato il trionfo del nome sul talento, del rumore sulla riflessione e l’interiorità, privilegiando l’inganno delle apparenze e l’imbroglio di una libertà apparente e fittizia in cui l’uomo comune pensa e s’illude di scegliere e così di stare al centro del mondo senza di fatto decidere nulla.

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