Tommaso Landolfi, Rien va

Tommaso Landolfi, Rien va

Tommaso Landolfi, Rien va

Tommaso Landolfi, Rien va

Tommaso Landolfi, Rien va, Vallecchi, terza edizione 1963, credit Antiche Curiosità©

 

Lucio Pistis©

Tommaso Landolfi, Rien va.

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Tommaso Landolfi, Rien va, premio Bagutta 1963, mi ha penosamente colpito. Chiunque pensi di trovare nel testo la magia surreale de La pietra lunare, libro meraviglioso, rimarrà inevitabilmente deluso. In Rien va, come dice il titolo stesso, niente va, lo scrittore abdica al se stesso letterario a favore di confessioni intrecciate con tediose almanaccanti riflessioni filosofiche di ordine cosmico-esistenziale che forse uno psicanalista potrebbe trovare interessanti. Il lettore però non è tenuto ad essere un patito di psicanalisi né di rinunce allo stile letterario in virtù del nome che porta un autore. Rien va, a dispetto di quanto afferma la critica, è un polpettone a tutti gli effetti, il classico libro che se fosse stato scritto da un Pinko Palla, non soltanto non avrebbe vinto alcun immeritato premio, ma non sarebbe stato nemmeno pubblicato.
Ma quanto sono noiosi gli scrittori che parlano di se stessi pensando che il libero e poco controllato scorrere della penna sul foglio, possa interessare un lettore che non sia loro amico.
Le notazioni personali non si universalizzano, oltretutto sono buttate sulla carta a casaccio, e questa casualità che può permettersi solo chi è già arrivato, lungi dall’essere sintomo di una rinuncia alla letteratura come protesta ai generi convenzionali, è soltanto un pastrocchio mal riuscito, perché più che altro esibisce verità piuttosto banali, come quando afferma che gli orgogliosi e protervi, gli fanno pena. Tenta di universalizzare un sentimento che però è già universale e piuttosto comune anche tra gli intellettuali, in disistima spesso gli uni degli altri. Ma a che serve cercare di universalizzare un sentimento che è già universale? Non diciamo forse, mi fai pena, mi fai pietà, quando litighiamo con qualcuno? E c’è davvero bisogno di metterlo per iscritto?

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Sono tormentato soprattutto da una pietà senza confini, tanto radicale e generale e direi universale, che mi sarebbe difficile darne un’idea. Essa investe le creature nella loro fase o essenza prima e costitutiva… non c’è proprio nulla di loro che non susciti la mia pietà… il loro orgoglio, la loro protervia e sufficienza e pretensione e che, infine tutto quanto non dovrebbe destare pietà ma anzi far scattare un sentimento avverso, determinare un irrigidimento e una ferma opposizione… e anche perfin tutto questo, o meglio tutto questo, suscita la mia pietà…

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Le considerazioni generali non hanno profondità, condivisibili e apprezzabili ma poco originali, frutto di una saggezza popolare piuttosto scontata, esplicitata attraverso una serie di frasi da bar sport:

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L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro: ma bravi! Dicesse almeno sulla bontà o sull’intelligenza o che so io. Sul lavoro: che non è neppure un che ma un mezzo e perdi più un mezzo inteso come indispensabile (benché non sia punto vero). Come dire l’uomo è un essere fondato sulla necessità di mangiare e su quella di andare al gabinetto. Fondata su un mezzo indispensabile, cioè sulla schiavitù (e difatto…)! Beh, ciò che i magni legislatori intendono lo capisco perfino io, che chiudo la mia mente alle bestialità pubbliche, ma non potevano essi risparmiarci una tale stolta formulazione? L’Italia è una repubblica democratica, non sarebbe stato fin troppo, ahi quanto troppo? E i posteri? Figuriamoci le loro risate; codesti nostri beneamati progenitori non avevano nulla di più nobile su cui fondare le loro repubbliche?

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Domanda ineccepibile, ma è un quesito che migliaia di italiani si sono posti e continuano a porsi ogni giorno. Niente di nuovo, da quando è nata la Repubblica a oggi.

“La letteratura non è vita”, scrive lo stesso Landolfi e ha ragione, Rien va è tutto tranne che letteratura. Chapeau al Landolfi romanziere, più di qualche riserva per questo Zibaldone che, data la banalità delle domande, non riesce nemmeno ad essere polemico.

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Rivista Il Destrutturalismo

 

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