Storia, storie, giovani, donne, scuola

Storia, storie, giovani, donne

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Storia, storie, giovani, donne

Il volo, credit Mary Blindflowers©

 

Anna Maria Dall’Olio©

La Storia e le storie: la memoria, i giovani, le donne (anni ‘60-‘80)

È indubbia una profonda demotivazione degli studenti nei confronti della Storia.
Vari sociologi hanno studiato la soggettività dei giovani e la loro percezione del passato-presente-futuro. Si è appurato che i ragazzi vivono la scuola come luogo di socializzazione e il momento di stare in classe come tempo vuoto: mentre il vivere insieme offre un’identità di gruppo, la differenza generazionale crea incomunicabilità tra docenti e studenti. Perciò i ragazzi vivono la loro vita senza passato né futuro (presentificazione).
Con tali premesse, una storia di tipo manualistico non può interessare gli studenti. Tanto più che, secondo Alessandro Cavalli, i maschi vedono il tempo senza passato né progettualità, mentre le femmine pensano a un futuro immediato e concreto: sentono molto il senso del tempo nella direzione del mutamento, dal momento che lo esperiscono nel loro corpo. A ciò si aggiunge il rapporto di relazione fondato sul senso della cura, oggetto di studio di Carol Gilligan sulle giovani americane.
La classica comunicazione scolastica Emittente – Ricevente non tiene conto delle singole soggettività degli studenti. Sarà, perciò, prioritario sapere la storia dei ragazzi, tutt’altro che recipienti da riempire di nozioni. Quando parlano di sé, inoltre, si comportano come gli storici: periodizzano e spiegano le ragioni delle loro scelte. Per esempio, i ragazzi sono particolarmente colpiti dalle nascite e dalle morti (inizio e fine), nonché dai singoli momenti del cambiamento, paragonabili ai fatti storici periodizzanti. Nella “Metafisica della morte” Georg Simmel definisce la nascita e la morte elementi in grado di tingere la vita del soggetto.
Un altro elemento da considerare è la soggettività dell’insegnante, che porta alla gerarchia della rilevanza. Il docente di Storia dovrebbe tenere presente anche l’uso delle fonti: un laboratorio delle fonti può costituire un’esperienza didattica attiva, dove ciascuno entra in gioco con tutta la sua soggettività. Riambientando le conoscenze, e quindi il sapere personale, si crea l’esperienza, incorporando il passato nel presente.
Tutti abbiamo la memoria, ma i ricordi devono essere fatti riaffiorare in modo da comprendere il presente. Dal presente biografico si va al passato e poi di nuovo al presente sociale. In tal modo, si dà un senso al presente proprio ricorrendo al passato. Per biografia si intende l’affermazione della soggettività e, perciò, comparare le diverse biografie produce un confronto con i diversi da sé e, quindi, una biografia sociale.
Secondo Luisa Passerini, per quanto riguarda la storia del ‘900, le fonti più immediate sono quelle orali, difficili da controllare perché dipendono dalla narrazione (la memoria infatti diventa linguaggio ed è specchio del narratore): nello stesso tempo in cui si parla, si ricrea l’evento. Tuttavia, la memoria individuale si forma all’interno di una memoria collettiva: nelle varie generazioni il rapporto con la memoria collettiva muta, per cui cambia anche la memoria individuale.
Nei giovani d’oggi, invece, manca quella progettualità che aveva formato la memoria collettiva, punto di forza di altre generazioni (anni ’60-70). A tal fine, sarebbe opportuno dare spazio in classe a materiali e questioni relative, per esempio, alla “storia di genere”.
Fare una “storia delle donne” implica scardinare le gerarchie delle rilevanze date finora per scontate e, quindi, ritenute immutabili. Considerare la storicità di tali rilevanze (lavoro, amore, famiglia, ecc.) significa mettere in evidenza il fatto che la stabilità è sinonimo di assenza di storia. Tuttavia, anche in presenza di grandi mutamenti esterni, non è automatico che anche alle donne sia cambiato qualcosa. Tale affermazione è solo apparentemente paradossale.
Cerchiamo ora di capire che cosa si intende per “storia di genere”. Anzitutto, anche in passato si è parlato di “storie delle donne”: pensiamo alle donne illustri (le sante, le patriote, le scrittrici); parimenti, le donne si sono occupate di ricerca storica (folklore). Tuttavia, anche in tal caso, si trattava di presenze isolate, specialmente da quando la storia si è staccata dalla narrazione. L’assenza della donna dalla sfera pubblica e dei luoghi del “potere” ha fatto considerare a lungo l’identità femminile legata più alla sfera della natura che a quello della cultura.
In tal quadro, la “storia delle donne”, teorizzata come tale in pochi studi in gran parte fuori e lontano dalle accademie, parte negli anni ’60, prendendo in esame la condizione femminile. Mentre nel Regno Unito il filone della storia sociale è già molto consistente e negli U.S.A. alcune storiche tentano di elaborare una storia al “femminile”, in Italia si approntano 3 testi fondamentali: Eugenio Garin “La questione femminile”; Franca Pironi Bortolotti “Alle origini del movimento femminile in Italia. 1848-1892”, Paola Gaiotti De Biasi “Le origini del movimento cattolico femminile”.
Negli anni ’70 femministi si fa tabula rasa del passato, poiché tutto deve ruotare attorno all’autocoscienza. Naturalmente, le rivendicazioni del femminismo si svolgono in nome di un rigoroso separatismo dalla cultura maschile. Muta anche la metodologia: non devono più esistere un soggetto o un oggetto della ricerca, bensì un interscambio. Si vuole dare voce alle donne, o vittime di abusi (donne emarginate, povere, pazze, ecc.), o militanti o matriarche (contadine) o reduci da esperienze difficili (deportate). Le fonti privilegiate sono orali ed esprimono forme di volontariato culturale (Laura Mariani, Rachele Farina, Anna Maria Bruzzone, Anna Bravo). Dinanzi alla mole di testimonianze e di dati ricavati si elaborano nuove si elaborano nuove categorie: per esempio, il lavoro e il corpo. Alla storia si affiancano la psicanalisi, l’antropologia e la sociologia.
Negli anni ’80 lo sviluppo è molto intenso e si formulano nuovi problemi teorici e metodologici. Si utilizzano strumenti di analisi che evidenziano come, nei diversi contesti, l’identità sessuale abbia definito destini di uomini e donne: un’interdipendenza presa in esame dalla gender history di Joan W. Scott. Secondo la studiosa, infatti, il gender è tale non per motivi biologici, ma dipende dall’organizzazione sessuata della società che separa gli uomini dalle donne.

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