Filastrocchette, invettive, gruppo, clan

Filastrocchette, invettive, gruppo, clan

Filastrocchette, invettive, gruppo, clan

 

Filastrocchette, invettive, gruppo, clan

The phallocracy, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

Di Mary Blindflowers©

Filastrocchette, invettive, gruppo, clan

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Lo stucchevole quanto falso buonismo di una classe medio-mediocre di artisti tesi all’insulto gratuito, ha annullato un genere letterario storicamente importante, l’invettiva. Essa presupponeva il più delle volte, uno scontro artistico-letterario tra due parti in disaccordo, la “tenzone”. I poeti si rispondevano tra loro “per le rime”. Famoso per esempio lo scontro di sonetti tra Dante e Forese che si lanciarono una serie di tremende offese. Se ne dissero davvero di tutti i colori attraverso uno stile comico-giocoso tendente al basso che ricorda anche il sarcasmo di Cecco Angiolieri.

Il seguente sonetto di Dante, «Chi udisse tossir la malfatata», apre la “tenzone”tra l’Alighieri e Forese:

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Chi udisse tossir la malfatata
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata
ove si fa ’l cristallo in quel paese.

Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogni altro mese!
E non le val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.

La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia
non l’addovien per omor ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella sente al nido.

Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: «Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ ’n casa del conte Guido!».

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Dante, dipinto come poeta triste ed impegnato del Dolce Stil Novo, in realtà non disdegnava la poesia giullaresca come forma d’arte che, lungi dal denigrarlo, lo eleva, lo trasporta in una dimensione più terrena. È stato proprio Dante dopo una bisboccia con gli amici a intingere per primo la penna contro Forese il quale risponde così:

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«L’altra notte mi venn’ una gran tosse,
perch’i’ non avea che tener a dosso;
ma incontanente dì [ed i’] fui mosso
per gir a guadagnar ove che fosse.
Udite la fortuna ove m’adusse:
ch’i’ credetti trovar perle in un bosso
e be’ fiorin’ coniati d’oro rosso,
ed i’ trovai Alaghier tra le fosse
legato a nodo ch’i’ non saccio ’l nome,
se fu di Salamon o d’altro saggio.
Allora mi segna’ verso ’l levante:
e que’ mi disse: “Per amor di Dante,
scio’mi”; ed i’ non potti veder come:
tornai a dietro, e compie’ mi’ viaggio».

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Dante controbatte:

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«Ben ti faranno il nodo Salamone,
Bicci novello, e petti delle starne,
ma peggio fia la lonza del castrone,
ché ’l cuoio farà vendetta della carne;
tal che starai più presso a San Simone,
se·ttu non ti procacci de l’andarne:
e ’ntendi che ’l fuggire el mal boccone
sarebbe oramai tardi a ricomprarne.
Ma ben m’è detto che tu sai un’arte,
che, s’egli è vero, tu ti puoi rifare,
però ch’ell’è di molto gran guadagno;
e fa·ssì, a tempo, che tema di carte
non hai, che·tti bisogni scioperare;
ma ben ne colse male a’ fi’ di Stagno».

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Forese rinfaccia a Dante la sua povertà:

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«Va’ rivesti San Gal prima che dichi
parole o motti d’altrui povertate,
ché troppo n’è venuta gran pietate
in questo verno a tutti suoi amichi.
E anco, se tu ci hai per sì mendichi,
perché pur mandi a·nnoi per caritate?
Dal castello Altrafonte ha’ ta’ grembiate,
ch’io saccio ben che tu te ne nutrichi.
Ma ben ti lecerà il lavorare,
se Dio ti salvi la Tana e ’l Francesco,
che col Belluzzo tu non stia in brigata.
Allo spedale a Pinti ha’ riparare;
e già mi par vedere stare a desco,
ed in terzo, Alighier co·lla farsata».

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Ecco la risposta di Dante:

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«Bicci novel, figliuol di non so cui
(s’i’ non ne domandassi monna Tessa),
giù per la gola tanta rob’ hai messa,
ch’a forza ti convien tôrre l’altrui.
E già la gente si guarda da·llui,
chi ha borsa a·llato, là dov’e’ s’appressa,
dicendo: “Questi c’ha la faccia fessa
è piuvico ladron negli atti sui”.
E tal giace per lui nel letto tristo,
per tema non sia preso a lo ’mbolare,
che gli apartien quanto Giosep a Cristo.
Di Bicci e de’ fratei posso contare
che, per lo sangue lor, del mal acquisto
sann’ a lor donne buon’ cognati stare».

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L’ultima parola spetta a Forese:

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«Ben so che fosti figliuol d’Allaghieri,
e acorgomene pur a la vendetta
che facesti di lu’ sì bella e netta
de l’aguglin ched e’ cambiò l’altr’ieri.
Se tagliato n’avess’ uno a quartieri,
di pace non dove’ aver tal fretta;
ma tu ha’ poi sì piena la bonetta,
che no·lla porterebber duo somieri.
Buon uso ci ha’ recato, ben ti ·l dico,
che qual ti carica ben di bastone,
colu’ ha’ per fratello e per amico.
Il nome ti direi delle persone
che v’hanno posto sù; ma del panico
mi reca, ch’i’ vo’ metter la ragione».

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Dante e Forese sono morti ma le loro invettive sono più che mai vive e vegete.
La grande stagione della comicità letteraria si è conclusa. La poesia oggi è vista come una dea sacra e i poeti, o perlomeno gente che pensa di fare poesia, come cultori di una religione per soli adepti. Ma quel che è peggio è che gli scriventi italiani riproducono un sistema da clan mafioso. Navigano a branchi per sentirsi protetti o forse parte di qualcosa. Così accade che tutti i componenti di un branco-clan sono solidali tra loro. In realtà nemmeno si leggono, né comprano gli uni i libri degli altri, semplicemente fanno parte della stessa comunità. Se fai parte di un gruppo-clan devi seguirne le regole. La regola numero uno è non criticare mai nessun componente del gruppo. Questo abolisce ogni tipo di dialettica che è naturalmente vista come inopportuna, deleteria, insomma roba da miserabili o peggio da criminali. Così accade che ci siano scriventi molto risentiti per interposta persona. Se per esempio si fa un’invettiva contro un poeta di un gruppo, giocando sulle parole, molti altri componenti del clan di quel poeta, si sentiranno feriti ma anziché rispondere con gli strumenti artistici che dicono di avere a loro naturale disposizione e per inclinazione, sfogheranno la loro rabbia repressa sui social, attaccando chi ha osato contestare un componente del gruppo anche soltanto con qualche innocua allusione in una poesia, degradata ovviamente al ruolo di filastrocchetta.
È morta l’invettiva, la libertà intellettuale, la capacità di prendersi in giro e di prendere in giro, in nome di una intoccabilità di matrice borghese ottocentesca che ormai è diventata stucchevole posa priva di poesia e perlopiù in scarsa prosa.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

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