Perosa, Il precario equilibrio

Perosa, Il precario equilibrio, Stampatori, 1980

Perosa, Il precario equilibrio

Di Mary Blindflowers©

 

 Perosa, Il precario equilibrio

Sergio Perosa, Il precario equilibrio, Stampatori, 1980, credit Antiche Curiosità©

 

La critica letteraria, materia tanto odiata quanto osannata. Nessuno recensisce testi di critica letteraria, vuoi perché in pochi li leggono vuoi perché non si discute con gli accademici e sono questi ultimi che in genere fanno i critici e criticano sempre e soltanto il nome la cui urgenza di fama li spinge a pronunciarsi, altrimenti tacciono.
La materia certo potrebbe annoiare se non si sono letti tutti gli autori trattati dal saggista, se a questo limite uniamo una mia naturale avversione per gli accademici, si può dire che il giudizio potrebbe esserne inficiato.
Eppure, tocca dirlo, per amor del vero, il saggio di Sergio Perosa, Il precario equilibrio, pubblicato da Stampatori per la collana Nuova Cultura, finito di stampare nell’anno 1980, ha il pregio di spiegare piuttosto bene al lettore i momenti della tradizione letteraria inglese, come recita giustamente il sottotitolo stesso.
Perosa si addentra nei meandri della letteratura inglese con proprietà di linguaggio, scorrevolezza, semplicità e bello stile di scrittura. Il saggio scorre sotto gli occhi del lettore, la critica è puntuale, precisa, mai banale anche se a tratti opinabile e celebrativa, esprime tuttavia in modo chiaro e senza barocchismi inutili, il concetto di ambivalenza problematica shakespeariana, il trionfo dell’immaginazione in William Blake, il senso dell’esclusione-seppellimento in Baron Corvo, la riproposta della poesia metafisica, il mercantilismo borghese di Defoe, la dissoluzione narrativa della Woolf, gli studi di Lewis, etc.
Il saggio è ricavato probabilmente da lezioni universitarie poi raccolte e sistemate in un unico volume. L’insieme è un excursus gradevole e istruttivo che di certo non ha la pretesa di essere esaustivo, però fa una carrellata abbastanza interessante che dà al lettore più di un’infarinatura sul Rinascimento ritardato della letteratura inglese e sul concetto di passaggio da una forma letteraria all’altra. Su alcune affermazioni si può anche non essere d’accordo, per esempio Perosa giudica deliziose le Cronache di Narnia di Lewis ma dà scarsa motivazione al suo giudizio che appare così piuttosto soggettivo e contestabile:

L’attività narrativa di Lewis si completa con una saga di sette deliziosi libri per bambini (Le Chronicles of Narnia, 1950-56), in cui il gusto per l’avventura, la fiaba e la magia, sostenuto da un esplicito senso didattico e morale, trova nel velo leggero dell’allegoria la misura per conciliare fine educativo e poesia, la serietà di intenti e la necessaria semplicità del racconto infantile, per giungere a quella mescolanza di earnest e game che è per Lewis segno della grande letteratura (pp. 18-19).

Il guaio è che la grande letteratura non dice esattamente ciò che dice e basta, esaurendo il suo compito nella finitezza della parola stessa. La letteratura per il fatto stesso di essere un farsi letterario, dovrebbe andare oltre e le Cronache di Narnia non volano a sufficienza per un lettore colto, arrivando ad essere semplicemente banali.
Altro afflato contenutistico contengono la favola di Pinocchio o la simbologia dantesca, ma si parla di piani differenti, simbolici e carichi di significati che Lewis non è certamente riuscito a dare alla sua saga che rimane un fantasy molto fine a sé stesso, auto-conchiuso nella banale prospettiva di un mondo onirico sovraccarico di simboli medioevali ma incapace di una comunicazione superiore. Parlare addirittura di poesia appare eccessivo, nonché scarsamente motivato. Ma la critica letteraria è il mondo dell’aleatorietà, del tutto e del suo esatto contrario perché le belle lettere non sono un’operazione matematica.
Le parti più interessanti del libro di Perosa sono invece quelle dedicate a Shakespeare e alla divided attitude che investe sia i personaggi che la stessa drammaticità della storia narrata:

Svanite – o abbandonate – le certezze di un conflitto storico codificato nei suoi termini, com’era nelle histories, la realtà storica (e non più soltanto storica) si fa sfuggente, e in primo piano balzano le questioni sul comportamento individuale nella storia: che nel caso specifico assumono un andamento tragico perché rispondono al principio dell’ambivalenza problematica. Se ci fosse certezza, occorre insistere, non si darebbe vera tragedia (p. 88).

Un libro da leggere come un manuale di appunti dotti e critici insieme che può invogliare a riprendere in mano i testi originali degli autori citati perché comunque un critico, per quanto possa essere preparato, è sempre e soltanto un fallito che ce l’ha fatta.

 

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=AeMnzhQR4xQ

 

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