Tipografo celeste o fuffa-inchieste?

Tipografo celeste o fuffa-inchieste?

Tipografo celeste o fuffa-inchieste?

Di Mary Blindflowers©

Tipografo celeste o fuffa-inchieste?

Il tipografo celeste, credit Mary Blindflowers©

 

Paola de Sanctis Ricciardone nel 1987 dà alle stampe un titolo dall’apparenza interessante: Il tipografo celeste, il gioco del lotto tra letteratura e demologia nell’Italia dell’Ottocento e oltre, con la prefazione di Vittorio Lanternari, Edizioni Dedalo serie nuova biblioteca, nuovi saggi.

In quarta di copertina si precisa che all’epoca in cui scrive, l’autrice è ricercatrice universitaria e glottologa, Dipartimento degli Studi Glotto-antropologici dell’Università di Roma, la Sapienza.

La prefazione ha alcuni periodi che lasciano perplessi: “Così il puntare la sorte, da un lato è tendenza ben confacentesi con la natura della società capitalistica, la “massa”, autopercependosi, in essa, insicura e insieme assettata di “miglioramento” sul piano materiale”.

A parte la pastosa e arzigogolata costruzione della frase che sembra quasi inconchiusa, si nota subito che poche righe sopra il prefattore sostiene: “scommesse, lotterie, giochi d’azzardo sono esistiti da sempre nelle più varie culture, perché rientra nella struttura psichica dell’uomo – al di fuori delle differenti condizioni storico-culturali – la spinta a sfidare la sorte”. E poi continua: “La spinta proviene da fattori combinati di ordine psichico-culturale, spontanei e di base e per altro verso dalla programmatica manipolazione perpetrata dalle sfere dell’industria consumistica”.

A questo punto Lanternari deve prendere una decisione seria: la spinta al gioco dipende dalla struttura psichica dell’uomo “al di fuori delle differenti condizioni storico-culturali”, come ha affermato ab initio, oppure dipende anche dalle condizioni storico culturali? Non si capisce bene, dato che si afferma ciò che immediatamente dopo si nega, a poche righe di distanza.

Chi ha curato la prefazione comunque assicura che il libro della De Sanctis è brillante, perspicace, scritto non senza gusto né senza un pizzico di ironia.

Il Tipografo celeste si risolve in un polpettone di pseudo-erudizione piuttosto confusa che non offre nuovi spunti di ricerca, ma accatasta spesso in modo incoerente nozioni risapute e citazioni di autori noti, (da Giusti a Matilde Serao, da Pitré a Croce e Gramsci), sul famoso gioco del lotto, senza approfondire nulla.

Ci sono ripetizioni che potevano tranquillamente essere evitate, anche perché sciorinate al lettore a distanza di poche pagine. Per esempio l’autrice ripete parecchie volte che molti cabalisti e giocatori pensano che l’edizione non espurgata del famoso almanacco di Rutilio Benincasa, sia quella del 1550, ossia un’edizione che precede di cinque anni la nascita dell’autore. Non contenta di aver molestato il lettore ripetendolo più e più volte, ripete ancora una volta nel piccolo glossario antologico che segue il saggio e che esordisce così: “Almanacco Perpetuo di Rutilio Benincasa. Opera curiosa non meno curiosa per il contenuto che per la leggenda che vi si è formata attorno… Alcuni cercano la chimerica edizione del 1550…” e poi prosegue: “Rutilio Benincasa autore di un almanacco del XVI secolo. Il Rutilio del 1550 è considerata dai giocatori del Lotto l’edizione non espurgata. Un’edizione che precede cioè di cinque anni la nascita dell’autore”, e ancora per chi non avesse capito: “se non le femminucce, certo i cabalisti tutti, dal primo all’ultimo, conoscono Rutilio Benincasa, identificando il nome dell’autore e il titolo dell’opera sua (Pitré)”. E non contenta: “Alcuni si sono dati a credere, che Rutilio Benincasa, eccellente filosofo, matematico, ed astronomo, che sortì li natali in Tursano nella Provincia di Cosenza della Calabria Citeriore, abbia esposto la tavola de’ numeri per regolare la vincita dell’estrazione del lotto, e a tal’effetto sono andati in traccia della prima edizione del suo almanacco. Ma se essi avessero combinata l’epoca dei tempi, si sarebbero avveduti delle inutili e vane ricerche. La prima edizione del suo Almanacco… ci offre la data in Napoli del 1593…”.

A pagina 99 però aveva già scritto che “L’almanacco di Rutilio Benincasa, ben noto agli studiosi di letteratura popolare italiana, è un testo che in realtà non ha nulla a che vedere con il gioco del Lotto… esso comparve per la prima volta a Napoli nel 1593 ed il suo autore nacque a Tersano in Calabria nel 1555”.

A pagina 98 compare la stessa citazione del glossario, nel caso il lettore fosse un attimo tardo ad apprendere: “Se non le femminucce, certo i cabalisti tutti dal primo all’ultimo conoscono Rutilio Benincasa…”

Praticamente il glossario antologico ripete le citazioni che si trovano dentro il libro e che forse sarebbe stato opportuno riportare semplicemente in nota dentro il testo o limitarsi a commentare durante lo svolgimento della materia del libro.

Che bisogno c’era di fare un glossario per ripetere allo sfinimento le stesse citazioni? La sua utilità pratica mi sfugge. Forse occorreva allungare il brodo per arrivare almeno a 200 pagine in modo da poter parlare di saggistica? Il sospetto è più che legittimo.

I capitoli sono sgranati, sembrano ravioli che l’autrice ha riempito di informazioni risapute, prese qua e là e messe anche un poco a casaccio. Il discorso infatti ha una scarsa continuità logico-filosofica. Le analisi sui vari autori sono superficiali, stereotipate, senza passione. I periodi non scorrono, hanno l’ipnosi degli elenchi del telefono. Inoltre che senso ha stampare un saggio che non dice nulla di nuovo?

Da perdere.

Più che di tipografo celeste si tratta infatti di mere fuffa-inchieste richieste da un’editoria che bada sempre più al titolo accademico che alla reale qualità del testo.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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