Prosa e poesia di Guido Ceronetti, profondità e limiti tecnici

Prosa e poesia di Guido Ceronetti, profondità e limiti tecnici

Prosa e poesia di Guido Ceronetti, profondità e limiti tecnici

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Pinocchio e la notte, linocut 1/1 by Mary Blindflowers©

Pinocchio e la notte, linocut es. unico, by Mary Blindflowers©

 

Avere di anni e anni allungato la durata della vita ha esposto tutte le vecchiaie, dai settanta in poi, alle predazioni demoniache della memoria.  

 

«Hai portato in farmacia la ricetta salvavita». «Accidenti, alle sette ho dimenticato di prendere le gocce!».

«Come si chiama quel medico svedese consigliato da Massimina?». 

 

In buona parte i buchi di memoria hanno a che fare con l’intera salute e soprattutto lo scudo immunitario. E le sue perdite corrispondono puntualmente al deperimento del corpo. 

 

Le idee, quando te ne vengano ancora, se non le incolli su un foglio immediatamente, puoi ritenerle già perse. Ma non sforzarti di riacchiapparle subito, fossero anche il principio di indeterminazione di Heisenberg o il cavaliere della Mancha: lasciale andare come un pane sulla faccia delle acque e dopo molti giorni le ritroverai. 

 

Al termine di ogni capitoletto lascio da compiere qualche esercitazione. 

Scrivi dieci nomi di utensili di cucina dei più in uso: cucchiaio, passino, mestolo, formaggera, cavatappi, e li ripeti a sazietà anche conoscendoli fino al logoramento. 

 

Impara a memoria con rassegnazione le strofe più note, e anche meno note, dell’Inno di Mameli e cerca di cantarle intonate bene. Impara a memoria le parole dell’«Andante» della Traviata di Francesco Maria Piave immaginando di cantarlo girando la manovella di un organo di Barberia in una via silenziosa periferica del 1930 (vedi Ascolto il tuo cuore, città di Alberto Savinio).  

 

Più acrobatico. Scrivi dieci parole fuori uso della lingua italiana (gavigne, latebre, latrina, onomatopeico, propugnacolo, istoriato, asciolvere, diacritico, licantropo, gavocciolo, ecc.). O comunque ignorate dai giovani e dai cellulari. Se hai voglia e tempo ricomincia da capo questi esercizi.  

 

Se ogni uomo come dice Büchner nel Woyzeck è un abisso ( Jeder Mensch ist ein Abgrund ), la nostra memoria è un abisso parallelo. Guardiamoci dal dimenticarlo e dal trascurarla anche minimamente. Le sue rapine sono fulminee e i recuperi sempre ci appenano. 

 

Allora? Il ricorso abituale alla E-Memoria vanifica la fatica che in condizioni difficili, anche di memoria, vado facendo qui sisifeggiando a quasi novant’anni del nostro sventurato percorso d’uomini. Purtroppo c’è una fretta e una brama di rimbecillire che mette i brividi. (La vivo come un attacco alla specie: dove e come schivarlo?). Questo mio umile lavoro non è fatto semplicemente per divertirvi, ma anche per un poco istruirvi. «Se puoi istruiscili, se non puoi sopportali» (Marco Aurelio Antonino). 

 

Da molti anni mi affido all’enciclopedia Zanichelli ma non posso più sollevare il volume senza aiuto e la mia memoria ne soffre.  

 

Scrivo questo testo in una clinica, privo di dizionari e perdendo e recuperando ininterrottamente memoria. Finché si danno risposte coerenti il timoniere è al suo posto ma ci manca per sempre il capitano Mac Whirr. Mai dimenticare, tra i più bei versi del mondo: 

 

Triste corps! Combien faible et combien puni!  

PAUL VERLAINE […] 

 

La memoria perdente è una sventura d’uomo; il combattimento, è da Giacobbe e lo Sconosciuto in Genesi 32 e ti lascia con un brutto ricordo nell’anca che un cerotto Voltadol non ti risolverebbe […]. 

 

Stimolare, esercitare, mai rassegnarsi! Questo mio trattato filantropico potreste averlo incontrato appena in tempo. Il morbo di Alzheimer comincia da precoci turbamenti di memoria; che ci incalza di avvertimenti… Avere letto una infinità di libri, a decine averne scritti non ti scampa da quei becchi tremendi di avvoltoio. Può essere utile pregare? Pregare, senza riparo d’ombra di edificio religioso – sinagoga, moschea, chiesa con o senza statue o icone, nel buio di una stanza, o in un sottobosco? Davanti a un’immagine devota? Macchinalmente, come sostiene Pascal? La preghiera appresa dopo il latte materno è la prima a cullare il bambino in un’aura fuori della vergogna della realtà materiale in cui ancora prima di nascere già siamo immersi. Un bambino se è figlio di genitori non fanatici appartenenti a una religione o ad una setta può avere più chances di vivere un’infanzia passabilmente felice.”  

 

Rimaniamo attoniti nel rileggere questa lucidissima prosa di Ceronetti, tratta da uno dei suoi ultimi libri, “Per non dimenticare la memoria”, in cui analizza il disastro sulle facoltà mnemoniche operato dal morbo di Alzheimer. Essa contiene un afflato comunicativo ed un’invocazione al coetaneo lettore che crea una simbiosi sensitiva più forte di 1000 versi di poesie, specie quelle composte dallo stesso! È la creazione lirica in prosa di un uomo sofferente che si universalizza lanciando un’ipotetica ciambella prescrittiva, una sequenza d’istruzioni per l’uso all’umanità, sentendosene intimamente fratello, al di là delle paratie di credo religioso, politico e quant’altro. Le ragioni della nostra meraviglia si fondano proprio sul contrasto evidentissimo che la produzione in prosa dell’uomo rivela rispetto alla qualità della sua poesia. La comunicazione immediata, che sgorga dalle linee di questo estratto (di un’opera composta già quando la nitidezza della mneme svaniva), lascia il posto nei suoi versi ad un’oscurità involuta e criptica, corredata da uno stile assolutamente privo di musicalità e scorrevolezza. Diamone un esempio:

Come un uscio che aspetti e fuori è il male
Quest’uomo vedi e le staccate mani
Il tormento vitale senza fine
E un dolore di vita vesperale
E il suo languore di vuoto intestino
Stringere e a piedi e visi s’attaccare
E una lampada messa sul malore
Notturno le miserie senza nome

Si parte con una prolessi del complemento oggetto non essenziale all’edulcorazione del verso; si procede con un conato di rima incatenata (male-vesperale) che rimane abortiva nelle linee che incornicia; ci si attenderebbe un recupero dell’assonanza clausolare (dolore, languore, timore) ed invece l’autore vira per l’asimmetria mescolando omeoteleuti acrostici con clausolari in una variatio degna di miglior causa; si passa all’enjambement (vuoto intestino/stringere; sul malore / notturno) che è un ritrovato stilistico cui bisognerebbe essere avvezzi (si prendano lezioni in tal senso dal grande Caproni!); meglio stendere veli pietosi su quel “s’attaccare”; l’elisione rende oscurissima l’essenza di quel che parrebbe un pronome riflessivo! Una poesia che ha un terribile sapore di stantio e che ricorda una prosa vetusta, ottocentesca, frusta. Il ritmo è ben lontano da qualsiasi tentativo di sperimentazione. L’orecchio non è gratificato dal suono delle parole, ma è complicato da associazioni di parole che sembrano buttate a caso, come frammenti senza senso.


Tra i segni della camera evocate
Torcere arroventare dilatare

Lividezza di grazia lapidata
E’ dappertutto nell’immaginata
Violenza dei misteri delle vite
E la canaglia umana sui teatri
Del suo a rompere rovine darsi
Emette una colomba senza ali

Un bagno vivo di vita distrutta
Una miseria su tutte affacciata
Risposte oscure di vita scavata
Di male proprio nel male di tutti

Si passa ad un’orgia di participi passati di verbi della prima coniugazione coordinati al genere femminile (evocate, lapidata, immaginata, affacciata, scavata) che grava acusticamente nella fruizione della musicalità, un rimbombo fastidioso ed invasivo, che lascia peraltro nelle altre linee assenza pressoché costante di assonanze! Ed è questa difformità endostrofica dello stile che lascia perplessi e fa interrogare sulla sua attitudine al verso. Inoltre l’eccessiva cripticità della poesia la rende inane, priva di un vero significato. Il poeta non ha la minima preoccupazione di far cogliere al lettore un lampo che consenta un’interpretazione sensata del testo. Diventa così una semplice esercitazione letteraria invasa di participi che rendono la composizione stilisticamente ridondante.

Viso illunato in un velo sanguato
Stringendosi alla bocca di ogni buio
La luce dentro i corpi torturata
Disegna un malinconico bel viso
Col lungo sangue della sua ferita
E tu eri il suo rantolo infinito
Un gesto oscuro e vago della vita

Questa è una delle poesie che reputiamo riuscite rispetto alle altre. Ha una sua musicalità, un suo senso del dolore umano, con la luce torturata che disegna il viso, e la bocca del buio che evoca immagini. Si transita attraverso neologismi di participi passati di verbi in vocabolario inattestati (si registra l’aggettivo illune, ma non ci è dato atto di conoscere il verbo illunare e la sue eventuali forme coniugate! Altrettanto dicasi per il verbo sanguare, vero àpax eiremènon in lingua italiana!). Il neologismo ci piace, è sintomo di creatività in un poeta. Tuttavia la ripresa delle rime alternate resta riservata solo a tronchi disomogenei di strofa, a riprova del limite tecnico dell’autore. E sempre un vago sapore d’Ottocento ci invade gli occhi, rileggendo.

La tortura di essere la vita
In una carne breve e sciagurata
Tutto il diabolico viso velato
In una camera senza uscita
E i testimoni delle solitudini
Gli occhi di tutto avulsi e sanguinosi
E le vesti sporcate e senza vita
Della bellezza e del terrore umano
Eccoli grande muta testa farsi
Il viso triste che patisce sparso

Tra i sigilli e gli arcani dolorosi
Col suo sangue alla bocca sempre nuovo
Per rovesciarlo in quei silenzi un uomo
Vedi da inutile zelo prostrato;
Dentro il cuore vivente delle ciglia
E’ una lettura di come cucite
Labbra che persero il cielo notturno
E il loro tendere parola muta
Tanto è pensiero d’abisso chiuso
Che lo vedi tramare, essere corpo

Tra le mute ali del contatto umano
Il suo letto d’amore e di tortura
Si disfà si rifà sotto la luna
E il curvo ho sete del piantato umano
Grida alla terra sciagura sciagura

Tu che vortichi vortichi sul piano
Ahi come dentro a con quanto dolore
La luce sfanga nel segreto umano
Vieni al mio espiante anelito creatura o creatura
Vieni inginòcchiati al mio tormento umano

Crediamo possa bastare perché la difformità e l’abortività stilistica prosegue ad occhio nudo in tutte le strofe. La ripetizione di umano è snervante, il piantato umano, il segreto umano, il tormento umano, il contatto umano. Una ridondanza sgradevole. Il ritmo è praticamente assente, come sferzato da una mancanza cronica di scorrevolezza, come se faticasse a volare.

Eppure, Ceronetti viene definito dalla critica un eclettico che spazia con livelli analoghi di resa dalle traduzioni alla saggistica alla prosa alla poesia. Mah…la differenza di gradevolezza si fruisce a prima lettura e di fronte a questo panegirismo diffuso che la critica gli ha riservato ci vien naturale pensare che, fatti salvi i meriti specifici e settoriali di ognuno, quando in Italia quest’ognuno assurge al rango di qualcuno, ovvero di numero uno, egli ha il passez-par-tout per scrivere ciò che vuole, perché tanto anche declamando l’elenco nominativo delle Pagine Gialle edite da Telecom Italia le recensioni sarebbero sempre di livello apicale.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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