La verità è sempre il dubbio©

La verità è sempre il dubbio©

Di Pierfranco Bruni©

L’erranza, credit Mary Blindflowers©

 

La religione è un segno dell’antropologia dei popoli. Per questo è una tradizione. Credere per fede nel dio che illumina non è una teologia. Mai stata tale nelle civiltà dei popoli. Non è un fatto etico. Neppure morale. Perché allora si crede? Perché si ha paura della solitudine. Perché abbiamo bisogno di sapere che esiste la salvezza. Perché abbiamo la necessità di sbagliare e ci siamo inventati il perdono. Perché si ha paura di morire e di diventare nulla.

Ma il senso del religioso è una questione culturale dei popoli.
Il credere nel dio che illumina è un fatto individuale. La Chiesa o la Moschea o l’angoscioso cammino ebraico è (sono) la più grande illusione che si è potuta inventare. Ed è una ferita nel pensiero dell’intelligenza. Non parlo di ragione. Ormai ragione e fede stanno insieme. La contraddizione dei chierici.
Parlo di intelligenza (ovvero Intelligenza non da intelletto ma da Illuminazione non affine alla ambiguità neo-illuminista).
La notte appare sempre quando l’alba ha raggiunto il suo orizzonte.
È lì che le parole si consumano per dare un senso alla CONTEMPLAZIONE che accompagna il nostro viaggio come segreto. I segreti sono il nostro mistero. Sono la prova che ci siamo. In fondo la verità resta sempre un segreto.
Come la notte!
Si pone, allora, altresì un’altra questione che tocca il concetto di cattolico. Non è un fatto strisciante che sfiora l’ecumenismo o/e l’ecumenesimo. Piuttosto il termine (o concetto) di bigotto. Fare delle “cose” perché è così!
Nelle religioni – antropologie non ha senso un tale termine. Nel cattolico sì. Non guardo con distacco tali aspetti.
Cristo è un ebreo errante.
L’erranza non può essere teologia. È mistero. Il mistico errante che attraversa i luoghi dei deserti e i mari come naviganti del superamento dei sottosuoli.
Ma io non credo alla teologia. Perché è la finzione che cerca di educarci alla salvezza.
Non esiste una educazione alla salvezza. Esisto io. Noi. Io nella singolarità.

Poi si vedrà… Sono padre o figlio? Voglio essere padre o cerco di restare figlio? Erede errante. O l’errante che cammina con le eredità?
Non mi faccio più domande. A questo punto. Non chiedo la salvezza e non cerco di capire la perdizione.
Cerco invece con la pazienza che mi è data di non giudicare mai. Guardo spesso il mare. Il mare che ha colori cangianti e ascolto gli orizzonti.
Abito ormai le stanze che mi accolgono. Non entro mai dove il mio abitare è superfluo. Solo così posso convivere con le onde e dialogare con il vento del mio giardino. Osservo tutto senza la Croce della Ragione. Non mi interessa l’etica e tanto meno la morale.

La metafisica sì. Io sono un errante nella metafisica del dubbio che non cerca verità. Perché la vera verità è la disubbidienza. Anche questa è religione. La disubbidienza è la Antropologia del cerchio e degli orizzonti.

L’antropologia, comunque, è il cerchio delle religioni che hanno bisogno del mito per essere esperienza espressiva. Il dubbio si fa verità e la verità è sempre il dubbio. Ma non so se sono Ulisse o Telemaco.

Forse vorrei essere e restare Ulisse e Telemaco!

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