Chi vive sulle stelle? Non si sa©

Chi vive sulle stelle? Non si sa©

Di Mary Blindflowers©

Mutanti, paste on paper by Mary Blindflowers©

 

Negli anni 30 del Novecento un filosofo argentino di nome Desiderius Papp, diede alle stampe un curioso libro edito da Bompiani nel 1937: Chi vive sulle stelle?

Sebbene il libro sia datato, la domanda circa il fatto che probabilmente non siamo soli nell’universo, ancora oggi non cessa di incuriosire le coscienze.

Perché la Terra dovrebbe essere l’unico pianeta abitabile? Chi o cosa ci dà questa certezza?

Scrive Papp: “Noi, abitanti di un piccolo astro, in un appartato angolo dell’universo, dovremmo essere le uniche creature sensibili e pensanti, isolate e abbandonate tra una schiera di morti mondi? Se fosse così, a che scopo scruteremmo con giganteschi cannocchiali gli abissi del cielo, fabbricheremmo razzi per viaggiare nelle profondità spaziali, mentre l’intero universo non è altro che un deserto, una solitudine senza principio né fine, una sterminata tomba?”

E in effetti appare ancora oggi piuttosto inverosimile che solo sulla Terra, un pianeta che si trova in un sistema solare che a sua volta fa parte di una galassia che conta milioni e milioni di stelle, ci sia la vita.

Ma allora gli extraterrestri esistono o no?

Secondo Papp ci sarebbero chiare evidenze della presenza della vita anche in altri pianeti.

Si addentra dunque a descrivere in un saggio scorrevole come un romanzo di fantascienza, le deduzioni logiche che gli farebbero credere nella presenza degli alieni, descrivendo, ad esempio, i canali di Marte, che secondo lui, sarebbero costruzioni umane, elaborate da una civiltà probabilmente scomparsa in seguito a evoluzioni climatiche o cataclismi che potrebbero aver sconvolto il pianeta rosso. Secondo Papp i canali servivano proprio a raccogliere acqua per coltivare piante utili alla sopravvivenza: “da tempo immemorabile, da quando videro sorgere il pericolo di morire di siccità o di inaridimento, e generazioni di marziani si posero a lavorare a quelle colossali opere idrauliche, che non hanno le loro uguali in tutto il sistema planetario: la loro costruzione deve essere durata migliaia di anni. Ora la loro gigantesca rete abbraccia l’intera superficie del pianeta, da un polo all’altro… Quando i raggi del sole estivo ammolliscono e sciolgono la cappa di neve e di ghiaccio del polo sud di Marte, l’acqua comincia a riempire i canali, e il suo benefico umore desta a poco a poco il mondo vegetale dal suo sonno invernale. E si svolge un mirabile spettacolo, magnifico e grandioso, sul rosso astro. I canali, ancora pochi giorni prima invisibili, come avvolti da un nebbioso vapore, emergono all’improvviso”.

Sui famosi canali di Marte scoperti da Schiapparelli verso la fine del XIX secolo, si era sollevata una querelle tra chi sosteneva che fossero strutture naturali, chi affermava che fossero illusioni ottiche e chi invece diceva che erano opere di una avanzata civiltà poi probabilmente scomparsa.

Scrive a tal proposito Mario Cavedon:

Schiaparelli assegnò alle principali configurazioni stabili della superficie di Marte i nomi (oasi, monti, ecc.) che ancor oggi si usano e chiamò le linee che aveva osservato ‘canali’. Si trattava di un nome convenzionale, simile a quello di ‘mare’ dato alle macchie scure della Luna, ma sembra che nel farne la traduzione in inglese sia stato usato il termine canal (che si attribuisce ai canali artificiali, come quello di Suez) e non quello più opportuno di channel (che si usa per i canali naturali, come quelo della Manica). Ora, se esistevano canali artificiali dovevano esistere anche i marziani che li avevano costruiti; e doveva trattarsi di esseri abilissimi, capaci di progettare e costruire opere grandiose, che si estendevano larghissime dai poli all’equatore, per convogliare la scarsa acqua esistente sul pianeta fino a irrorare le oasi. La fantasia poteva sbrigliarsi a immaginare questi esseri come tecnologicamente avanzatissimi (gli uomini stavano scavando il canale di Panama proprio in quegli anni, un’opera minima al confronto), e qualcuno arrivò a pensare che i satelliti di Marte fossero artificiali: su un pianeta arido, con un’atmosfera ridottissima, sicuramente più freddo della Terra, la vita doveva essere molto difficile e gli scienziati marziani potevano aver creato delle isole spaziali per trasferirvisi, pur senza allontanarsi troppo dalla loro patria d’origine”1.

Una confusione generata da una cattiva traduzione dall’italiano all’inglese del termine “canale”?

Sembrerebbe di sì. Scrive l’astronomo Paolo Maffei:

Il quadro generale di Marte sembrava dunque semplice e ormai definitivo: un pianeta simile alla Terra, più piccolo, meno caldo, con atmosfera più rarefatta, ma vivo, cioè sede di una vita, almeno vegetale. Nel complesso, dunque, un pianeta ben conosciuto. Questa visione crollò nel luglio del 1965, quando la sonda Mariner 4 effettuò le prime fotografie da breve distanza. Fu una visione inattesa che stupì tutti. Il suolo marziano appariva sparso di crateri di varie dimensioni, che lo rendevano simile non a quello terrestre ma a quello lunare. Molto di più non si poteva dire, poiché il potere risolutivo era scarso e il puntamento approssimativo: non si sapeva quali regioni erano state fotografate e, mancando fotografie delle stesse regioni a largo campo e minor ingrandimento, non era possibile raccordare quelle immagini con le osservazioni effettuate al telescopio”2.

Ma insomma la vita su Marte esiste, è esistita, oppure sono tutte fantasie?

Alcuni sostengono che le recenti sonde hanno fotografato una piramide e sculture simili a quelle egiziane o dell’Isola di Pasqua.

Tutte illusioni ottiche anche quelle, come i canali?

Le recenti scoperte scientifiche poi hanno dimostrato che non è vero che Marte è come la luna, infatti sul pianeta rosso c’è l’acqua. Abbiamo le prove chimiche che si manifesta anche in forma liquida, come sulla Terra. Ci sono perclorati, ossia sali che si manifestano solo in presenza di acqua.

«Tre miliardi di anni fa – scrive Jim Green, direttore del settore scienze planetarie della Nasa – Marte possedeva un’atmosfera e un oceano».

Ma è davvero così fantascientifica l’ipotesi che anche in altri pianeti ci possa essere la vita, considerando la grandezza dell’universo e le recenti scoperte?

Siamo davvero soli?

La verità è che non sappiamo niente e che forse non ci dicono nemmeno tutto, ma sembra davvero improbabile e antropocentricamente presuntuosa l’ipotesi che solo sulla Terra ci sia vita.

Il libro di Papp può servire come spunto per un approfondimento tra verità e fantasia. Leggetelo dunque ricordando che la scienza è in continua evoluzione.

1Mario Cavedon, Astronomia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1980, pp. 142-143.

2Paolo Maffei, Al di là della Luna, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1974, pp. 53-54.

Comment (1)

  1. Rita

    Ma che senso avrebbe in universo infinito e solo noi come abitanti? Io propendo per il no, non siamo soli

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