Virgilio, Eneide, profondità, Badisco

Virgilio, Eneide, profondità, badisco

Virgilio, Eneide, profondità, Badisco

 

Strumenti classici, credit Mary Blindflowers©

 

Mariano Grossi©

Virgilio, Eneide, profondità, badisco

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“Crebrescunt optatae aurae portusque patescit

iam propior templumque apparet in arce Minervae.
Vela legunt socii et proras ad litora torquent.
Portus ab euroo fluctu curvatus in arcum;
obiectae salsa spumant aspergine cautes,
ipse latet: gemino demittunt bracchia muro
turriti scopuli refugitque ab litore templum.”

“Crescono le brezze sperate, e già il porto si apre
ormai vicino, e sulla rocca appare il tempio di Minerva.
I compagni raccolgono le vele e volgono a riva le prue.
Il porto è curvato ad arco dal flutto orientale;
le rocce protese spumeggiano di spruzzi salmastri;
ma esso è a riparo: turriti scogli abbassano
le braccia in duplice muro, e il tempio s’addentra dalla riva.”

Con questi versi, Virgilio nell’Eneide (III, 530-536) descrive il primo approdo di Enea in Italia. Secondo fonti antiche, tale descrizione si riferisce all’insenatura che in italiano oggi ha il nome di Porto Badisco; Francesco Pepe su www.puglialand.com collima con noi: ”Il termine “badisco” deriva dal greco e significa profondo, infatti, si tratta del punto finale di una depressione compresa tra i centri di Poggiardo, Palmariggi e Otranto”. Λιμὴν Βαθίσκος, Portus Badiscus è davvero un’opera di badile operata dal mare nelle rocce della splendida costa salentina.

Vediamo ora se da un’analoga panoramica sull’uso della radice isognomonica latina, presente in profundus si ricava la stessa poliedricità riscontrata in quella greca. Innanzitutto a differenza del sostantivo greco βάθος così molteplicemente attestato, quello latino profunditas, si trova solamente in Macrobio, nel IV secolo d.C.. Molto più utilizzato è l’aggettivo corrispondente; nel lessico idrografico lo attesta Cicerone Pro Plancio, 15 in mare profundum con una similitudine riferita alle onde dei comizi che ribollono appunto come un mare profondo ed immenso; in senso orografico Livio Ab Urbe condita, XVIII, 23, parla di profundae altitudinis convalles; Virgilio ne predilige l’uso metaforico sia in chiave ctonia (Eneide IV, 26 nox profunda, la tenebra infernale, ovvero nel I libro delle Georgiche Manes profundi, le anime dell’Averno) che in chiave eterea (Ecloga IV, 51 caelum profundum); l’idea della densità connessa col mistero si evidenzia in Lucrezio che nel De Rerum Natura V, 42 parla di profundae silvae, le foreste dense e cariche di vegetazione (o come intendeva Johann Friedrich Reitz nel suo commento alle opere di Luciano, per esprimersi de dimensione horizontali) nonché in Apuleio che parlando di somnus profundus nelle Metamorfosi crea il calco del βαθὺς ὕπνος di Teocrito (interessante in tal senso sarebbe approfondire la ricerca di Mirko Deanovic che ha parlato diffusamente di queste sovrapposizioni semantiche tra le due lingue nel suo articolo “Sul carattere mediterraneo della parlata di Ragusa”); la figuratività ed i traslati riscontrati nell’uso poetico e filosofico del termine sono analogamente rinvenibili in latino: Cicerone Contra Pisonem, 20 parla di profundae libidines per indicare l’abisso delle passioni, così come Sallustio Bellum Jugurthinum LXXXI di profunda avaritia per indicare l’insaziabilità dei Romani secondo la visione infiammata di Giugurta, mentre Orazio Carmina IV, 2 vv.7-8 per descrivere lo spessore dell’impeto pindarico dice ruit profundo Pindarus ore, letteralmente “si slancia Pindaro con bocca profonda”, con riferimento alla capacità del poeta di confezionare parole composte e dunque complesse da pronunciare per gli organi fonatori.

L’aggettivo sostantivato profundum,i, neutro della seconda declinazione, ribadisce la valenza negativa delineata da Perniola ad inizio capitolo: “Quis enim ignorat, si plures ex alto emergere velint, propius fore eos quidem ad respirandum, qui ad summam iam aquam adpropinquent, sed nihilo magis respirare posse quam eos, qui sint in profundo?”; esse in profundo per Cicerone De Finibus 04, 21-25 significa “essere in fondo all’acqua, nell’abisso”, mentre nel Digesto XXXII, De Legatis la stessa espressione significa “essere ignoto”: hae res testatoris legatae quae in profundo esse dicuntur, quandoque apparuerint, praestantur; Tacito, Agricola 25 dice: ac modo silvarum ac montium profunda, modo tempestatum ac fluctuum adversa, hinc terra et hostis, hinc victus Oceanus militari iactantia compararentur. “venivano raffrontati con spacconeria militaresca adesso i profondi recessi delle selve e dei monti, adesso le avversità delle tempeste e delle onde di qua la terra e il nemico, da là l’Oceano battuto”. Mentre la stessa valenza assoluta per il mare aperto riscontrata in tÕ b£qoj nel Nuovo Testamento ritroviamo in Virgilio, Eneide XII 263-264 “Petet ille fugam penitusque profundo vela dabit”, “egli fuggirà via e metterà le vele in mare aperto” Manilio Chiromantia, Astrologia V lo usa per indicare l’incommensurabilità del cielo (quarta profundum coeli, angulus terrae, domus parentum) ricalcando il βάθος αἰθέρος di Euripide in Medea 1279. Cicerone Academica Priora. 2, 10, 32: “Democritus (dixit) in profundo veritatem esse demersam,” vuol significare l’abisso interiore in cui si nasconde la verità, tenendola completamente celata. Valerio Massimo 2, 10, 6 in profundum ultimarum miseriarum abjectus vuol indicare il precipizio di un abisso di sventure. 

Ricapitolando, ci troviamo davanti a due radicali, *baph e *fud, che travalicano il concetto dell’interramento, riservato nelle due lingue ad altre radici, precisamente quelle rintracciabili rispettivamente nei verbi θάπτω e sepelio, specificamente riservate allo scavo ctonio per la deposizione delle entità organiche.

E sembra cogliere nel segno Perniola individuando in profundus un valore misterico ed estremo che ne negativizza il sema nella misura in cui non ne vengono attestati usi al superlativo (questa tendenza è del resto confermata in italiano, laddove le attestazioni del superlativo sono circoscrivibili a rarissimi casi, uno dei quali quello pregnantissimo in funzione ossimorica dell’Infinito di Leopardi 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quïete

io nel pensier mi fingo, ove per poco

il cor non si spaura.

L’incommensurabilità dell’abbandono determinato da quell’annullamento nell’eterno è scaturigine di turbamento per il poeta! Come precipitarsi in una voragine il cui termine pare non arrivare mai!

Altrettanto interessante è rilevare la valenza misterica data all’immergibilità nei due lemmi, poiché si è avuto modo di notare che sia in greco che in latino entrambi sono attestati per indicare in maniera assoluta gli abissi marini.

Ma gli esempi riportati in greco per βάθος e βαθύς dissimilano la radice greca dalla statica negatività di quella latina, così ben delineata da Perniola e perfettamente intuita da Guglielmo Campione a pag. 41 della prima edizione del suo libercolo “Immergersi nella mente, immergersi nel mare – L’immersione come metafora psichica”, (Ed. Mediaterraneum, 2015: “Questa ambivalenza di sentimenti negativi e positivi si trova nella semantica antica: l’idea di profondità implicita nel pensiero greco arcaico che utilizza la parola bathýs sta ad indicare un che di positivo, sinonimo di folto, fitto, ricco, spesso del tutto diverso dal significato negativo che i latini attribuivano alla parola profundus, intesa invece come mancanza di misura, smodato, fondo, come spazio vuoto smisurato in grado di inghiottire e divorare uomini e navi”.

Sintomaticamente l’uso nel lessico geometrico e le attestazioni dei comparativi e dei superlativi connettono la radice greca proprio al concetto di misura, quella che la latina aprioristicamente esclude!

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