Poesia, vecchia befana, pensieri

Poesia, vecchia befana, pensieri

Poesia, vecchia befana, pensieri

Luigia Sorrentino, l'allieva di Borges?

Foglia secca, credit Mary Blindflowers©

 

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Luigia Sorrentino, l’allieva di Borges?

 

La poesia è una vecchia befana intristita dall’uso e dall’abuso di tanti recensori e sedicenti poeti. In Italia ci sono più poeti che lettori, tutti si sentono in dovere di scrivere i loro micro-macro-pensieri sulla carta bianca, scandalo intollerabile, vuoto imponderabile e insuperbito di nulla. Tutti si autoproclamano poeti. Basta prendere un mucchio di parole, spesso molto a caso, e andare a capo. E non lo fanno ormai più solo i dilettanti allo sbaraglio, i vecchi tromboni incartapecoriti dalla nostalgia e dall’ottocento romantico, ma tutti, anche quelli che pubblicano con grossi editori. Leggere per credere:

tutti i giorni erano caduti sul suo viso

le ore di tutto l’essere erano

invase dalla sete

nell’angolo spento

cercò il riflesso dell’oceano

l’aveva attraversato uscendo dalla madre

la pioggia di vetro sulla strada

deserta aveva memoria di un uomo…

 

e ancora:

 

il silenzio era entrato nella stanza

gli aveva infilato il freddo nelle ossa

poi lo aveva raccolto in una nuova terra

nessuno gliene aveva parlato prima

era venuto nell’incertezza

in quello che sarebbe stato dopo

dopo la nascita, dopo la morte

Inizio e fine (Stampa 2009, 2016)

 

Leggiamo ora la critica a questi versi:

 

Versi intensi, dallo stile inconfondibile. Scrittura in cui si intrecciano profondamente vita e profonda necessità della parola universale, riflessa pure dall’eco riconoscibile dei grandi maestri come Walcott, Heaney, Borges. Aspetto la prossima raccolta.

annamaria ferramosca , 30 marzo 2017 at 9:59

Così commentando Luigia Sorrentino, Annamaria Ferramosca individua in lei intensità ed intreccio di vita e parola universale. E l’eco di Walcott, Heaney e Borges…

I

En su grave rincón, los jugadores
rigen las lentas piezas. El tablero
los demora hasta el alba en su severo
ámbito en que se odian dos colores.

Adentro irradian mágicos rigores
las formas: torre homérica, ligero
caballo, armada reina, rey postrero,
oblicuo alfil y peones agresores.

Cuando los jugadores se hayan ido,
cuando el tiempo los haya consumido,
ciertamente no habrá cesado el rito.

En el Oriente se encendió esta guerra
cuyo anfiteatro es hoy toda la Tierra.
Como el otro, este juego es infinito.

II

Tenue rey, sesgo alfil, encarnizada
reina, torre directa y peón ladino
sobre lo negro y blanco del camino
buscan y libran su batalla armada.

No saben que la mano señalada
del jugador gobierna su destino,
no saben que un rigor adamantino
sujeta su albedrío y su jornada.

También el jugador es prisionero
(la sentencia es de Omar) de otro tablero
de negras noches y de blancos días.

Dios mueve al jugador, y éste, la pieza.
¿Qué Dios detrás de Dios la trama empieza
de polvo y tiempo y sueño y agonía?

 

Questo è “Ajedrez” di Borges, uno dei maestri di Luigia, a sentir Anna Fieramosca, universalizzazione fantastica della simbologia degli uomini mossi a burattino sulla scacchiera del mondo e della percezione limitatissima che l’uomo ha del teatro in cui è volgarissimo pedone. Per non parlare del lessico raffinatissimo e a ventaglio del grande argentino.

Trovare analogie con i versi liberi della nostra poetessa ci pare francamente irriguardoso se non blasfemo. Trovare intensità nelle liriche della Sorrentino ci sembra quanto meno capzioso: che vicenda umanamente universale narra la “poetessa”?

Avete letto i pochi versi riportati? Siamo di fronte alla presa d’atto di un gravame di anni sul volto della protagonista senza nozione di scaturigine, né tampoco è dato sapere che cosa ha cagionato in lei questa arsura scandita dal tempo trascorso; altrettanto incomprensibile e irrisolvibile pare l’ermetismo del trittico centrale laddove si tenta di dipingere un traumatico passaggio dalle angustie di un utero materno alle vastità terrificanti del mare privo di sponde. Infine il picchiettio della precipitazione atmosferica sul manto stradale susciterebbe il ricordo di un essere maschile le cui simbologie ci restano ignote.

Essere ermetici senza un filo forte del tessuto interiore è esercizio piuttosto vano e sterile e alquanto velleitario ai fini di un’universalizzazione dei contenuti che si comunicano. Altro che intensi! A noi sembrano righe asfittiche.

Ci sembra inoltre ancor più nebulosa nella indistinta immagine di un uomo “freddato” dall’assenza di vociare umano o di dialogo; il microcosmo iniziale fisicizzato in una camera pare diventare macro proiettando la stessa situazione tombale sul palcoscenico del mondo (tentiamo di parafrasare, ma ci costa fatica francamente…). Questo essere viandante vaga dunque in una verosimile ed inesplicabile insicurezza di ciò che sarà il suo percorso (la vita si direbbe) sia nella sua parentesi eminentemente terrena, sia in quella ultraterrena.

Le metafore di Borges invece sono esplicite manifestazioni dell’idea della limitatezza umana nella formulazione del proprio destino e il lettore ha ben poco da interpretare perché la simbolistica è manifestamente chiara e metastorica: che sia dunque egli uno dei maestri di una Sorrentino così criptica ed involuta nella manifestazione del suo sostrato concettuale ci pare davvero poco probabile.

Notiamo una tendenza nei giovani contemporanei versificatori a scimmiottare la criticità e il trismegistismo dei grandi con risultati pessimi, manco a dire: “Più oscuro e indecifrabile sono più mi diranno bravo!”

Ragazzi, il gioco non vale la candela; scrivere così senza dar nozione degli antefatti che sostanziano le nostre emozioni da liricizzare a noi pare il gioco dei sarti imbroglioni spubblicati, (e non è un refuso), alla sfilata regale dal bimbo innocente: “Ma il re è in mutandine!”

Qui la stoffa in realtà appare inesistente e intravedere matrici culturali talmente elevate ci pare davvero azzardatissimo. Non sarà che il fatto che la Sorrentino lavori in Rai abbia favorito un attimo la sua carriera “poetica”? Dopo aver letto una sua poesia dedicata a Van Gogh, l’ipotesi prende sempre più piede:

sono ora al tuo cespuglio
in quella tinta cresciuta
dalla nostra sostanza immensa
la voce staccata dal corpo
segna l’opera il taglio della carne
nel frammento
tutto l’occhio avanza
fino a te che ascolti
il gocciare, piccole macchie
sulla tela,
quel lampo
che ferisce il sogno colpendolo
in pieno viso
la mutilazione,
la sagoma del tronco diviso
il ricovero della carne
nella separazione
con i mattini ventosi sull’acqua
tutta colma
la materia del giardino colpita
così illuminata e sola la luce
da sé sparsa
scorporata
il cespuglio, il cespuglio caro

Una lirica assolutamente sgranata nella composizione, un elenco che si sforza di sembrare qualcosa di più attraverso un parossismo di immagini tipiche, suggerite da tanta abusata letteratura biografica sul grande artista, immagini che però non raggiungono mai afflati di originalità poetica. A noi pare una specie di puzzle di sensazioni già viste e qualche azzardo in incipit, abortito però. La tinta di Vincent sarebbe cresciuta in virtù della nostra sostanza immensa. Cosa vuol dire? La sostanza di chi? Poi immediatamente dopo la “poetessa” interviene con la storia della mutilazione espressa dal gocciare sulla tela in versi molto elementari per una che pubblica con Manni (editore comunque a doppio binario) e Mondadori. Non stiamo parlando di poesia facebookiana, ma di Poesia con la p maiuscola, signori, la poesia dei grossi gruppi editoriali, dei circoli che contano.

O si è creativi o non lo si è. Nemmeno le raccomandazioni del caro cespuglio possono comprare il talento che non c’è. Lasciamo in pace Borges e gli altri… per favore, non siate patetici.

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