Comunità Arbereshe in Italia

Comunità Arbereshe in Italia

Comunità Arbereshe in Italia

Fiori tipici, credit Mary Blindflowers©

 

Pierfranco Bruni©

Comunità Arbereshe in Italia

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I paesi che registrano usi, costumi, lingua, tradizione e storia arbereshe in Italia sono 50. In Puglia ce ne sono tre. Nella sola Calabria ci sono 33 comunità arbereshe. I beni culturali, (il patrimonio culturale in senso più generale) di questi paesi, rappresentano una chiave di lettura per un processo non solo di conoscenza ma soprattutto di valorizzazione e di fruizione sia sul piano scientifico che didattico – pedagogico.

La conoscenza del loro patrimonio è conoscenza dei territori nei loro elementi di raccordo tra passato e presente e tra presente e sviluppo culturale. dalla tradizione ai processi informativi. Un percorso che interessa la loro identità e la loro antica e attuale presenza nei territori. Sono interessati Regioni come la Puglia, la Calabria, la Sicilia, La Basilicata, la Campania, il Molise, l’Abruzzo.

Ci sono beni culturali e testimonianze storiche che hanno un loro travaglio culturale marcato dovuto ad un intreccio non solo epocale che si portano dentro, ma soprattutto ad una consapevolezza che proviene da una interazione di civiltà. Soprattutto in alcune realtà meridionali questo sentire storico e civile è profondamente rimescolato da processi che sono etnici, antropologici, religiosi. Mi riferisco, dunque, ai beni culturali dei paesi (o delle comunità) arbereshe.

Non è che abbiano, questi beni (e guardo con interesse alle chiese, ai conventi, ai monasteri, alla realtà ambientale e paesaggistica dei paesi stessi), una loro strutturazione scollegata dalla storia monumentale e architettonica greco – bizantina tradizionale, ma l’incontro tra la tradizione e la “modernità” greco – bizantina ha sviluppato una realtà storica che ha connotati orientali.

E i riferimenti che si leggono sui monumenti dei paesi albanofoni hanno non solo questo richiamo grecanico e di matrice bizantina ma la loro storia patrimoniale e culturale è strettamente legata ad una identità religiosa. E’ come se i beni culturali fossero l’espressione costante di un culto. In realtà costituiscono una testimonianza di una spiritualità non solo di un popolo ma anche di un tempo. Si pensi alla diffusione mariana che è collegata ad una struttura di chiesa madre ben evidenziata dalla facciata aperta e dagli spazi circostanti.

C’è, insomma, uno stretto legame, nei beni culturali dei paesi albanesi d’Italia, tra il patrimonio architettonico (il patrimonio storico – culturale) e il culto. Questo vuol dire che i beni culturali rappresentano, in tali territori, una espressione della condizione liturgica che si manifesta nella simbologie delle strutture. C’è da precisare un fatto che è significativo per queste comunità e si legge come un dato laico. Il centro storico è quasi sempre il centro abitato e il centro abitato è quasi sempre nel centro storico.

Una splendida visione del genere si registra a Civita. Ma penso anche a Farneta, ad alcuni ambienti di San Marzano di San Giuseppe, ad alcuni paesi della siciliana Piana. Penso al paesaggio – presepe di San Paolo in Basilicata o a Ururi. Cioè il bene culturale che si percepisce nella storia delle abitazioni diventa una manifestazione della vivibilità e quindi una manifestazione del quotidiano e mai un retaggio antropologico. Ed è un fatto positivo che incide su quattro aspetti. Uno sociologico. Uno storico. Uno artistico. Uno documentario.

Ma la storia di queste comunità è vissuta come decodificazione di un processo artistico. Infatti le chiese o i conventi (si pensi a San Demetrio con il suo Sant’Adriano e il suo Centro Studi o a Spezzano Albanese o alle comunità di Piana degli Albanesi) sono i contenitori non solo di un “apparato” storico e architettonico dalle radici o matrici Orientali ma costituiscono soprattutto l’immagine di una proiezione d’arte.

La Calabria è al centro di questo itinerario. Dalla provincia di Cosenza a quella di Crotone a quella di Catanzaro. Un itinerario che tocca il paesaggio e la cultura, i riti e le forme di tradizione. Un viaggio tra gli Arbereshe della Calabria è un viaggio che ci mette al centro di un rapporto tra Occidente ed Oriente. La chiesa dell’Assunta di Firmo è la tipica fotografia che mette insieme semplicità della struttura e culto delle civiltà albanofone. Mentre la cattedrale di Lungro è l’incontro tra il raffinato stile medio orientale e il desiderio di occidentalizzazione dell’arte. Una cultura di stampo prettamente bizantino. Il bizantino qui si svolge in un incrocio tra il romanico e il barocco.

Dalla semplicità della chiesa di Firmo alla esuberanza e sobrietà della cattedrale di Lungro. Dalla semplicità lineare di Macchia alle forme “barocche” di San Demetrio. Dal bizantinismo restaurato del campanile della chiesa di San Pietro e Paolo di Spezzano Albanese, al decorativo piano di Barile. Agglomerati urbani che si dichiarano artisticamente attraverso una tradizione che ha come bene fondante il culto. I beni culturali, per la maggior parte, in questi paesi, sono beni di culto. Mettiamo insieme queste due forme e il discorso che si faceva all’inizio ha una sua corposità storica e artistica. Si mantiene fede alla storia ma l’arte è qualcosa di più che si concilia con la fede. La storia invece con il culto. Le tre navate di questa cattedrale sono la dimostrazione di uno stile e di una forma che chiaramente caratterizzerà e si imporrà nella cultura di queste comunità. Le quali comunque rimangono fedeli, nella loro visione storico – artistica ad una identità illirica sia nello stile che nelle forme.

Per restare, ora, nell’antica Terra d’Otranto ci sono alcune sottolineature da cesellare. In Puglia, dunque, vi sono tre comunità Arbereshe (italo – albanese). Una in provincia di Taranto, San Marzano di San Giuseppe, e le altre due in provincia di Foggia: Chieuti e Casalvecchio di Puglia. Cultura popolare e identità etnico – linguistica, qui, si intrecciano. Un processo di civiltà che ha come fondamento storico il valore della tradizione. Sono territori che risultano interessati da una cultura “minoritaria” ma che hanno una grande valenza antropologica.

San Marzano di San Giuseppe è una di quelle comunità etnico – linguistiche, la cui lingua Arbereshe è un patrimonio da tutelare e sul quale si sta lavorando attraverso un progetto finalizzato. Anche il Ministero per i Beni e le Attività culturali è interessato a queste comunità italo – albanesi. San Marzano è un paese della Puglia (ce ne sono altri che fanno parte del progetto ma sono estesi su le sette Regioni d’Italia che presentano realtà Arbereshe), che, in base alla Legge 482/99, è entrato, con i suoi istituti scolastici, a far parte dei “Progetti finalizzati a scuole della minoranza linguistica Arbereshe”.

Si fa sempre più interessante riconsiderare le minoranze etnico – linguistiche. La tutela dell’identità nazionale e della lingua italiana è, chiaramente, un punto fermo. C’è una varietà di geografie territoriali che pone in evidenza il problema. Nel Sud: dal provenzale al grico, dallo slavo all’arbereshe. Ci sono connotati storici che vanno ricontestualizzati e ci sono elementi identitari sui quali occorre riflettere. Tra queste minoranze, quella Arbereshe ha una sua valenza più corposa. Nella Chora tarantina c’è una scacchiera che presenta tasselli importanti.

Va dato chiaramente anche uno sguardo a quei paesi della Puglia ionica che hanno perso la lingua e la tradizione Arbereshe. Hanno un’origine italo – albanese, infatti, alcuni paesi della provincia di Taranto, i quali si caratterizzavano per le forme di rito greco – ortodosso. Tra questi paesi si annoverano comunità come Carosino, Faggiano, Monteiasi, Montemesola, Monteparano, Roccaforzata, S. Crispieri, San Giorgio Jonico. Sono paesi che hanno perso la loro identità albanofona e le testimonianze risalenti ad una cultura Arbereshe sono ben poche.

Solo San Marzano di San Giuseppe ha mantenuto una tradizione Arbereshe che è, comunque, oramai, anch’essa ben diversa da un percorso culturale e religioso greco – ortodosso. La sua eredità italo – albanese ha una consistenza storica, che non va dispersa e va difesa perché è parte integrante di un processo culturale ed esistenziale.

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