Bei tempi andati? Frottole!

Bei tempi andati? Frottole!

Bei tempi andati? Frottole!

Bei tempi andati? Frottole!

Under ice, credit Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Bei tempi andati? Frottole!

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Tiritere costanti e mai esauste né esauribili sui bei tempi andati, si spappolano in raffronti anti-storici che sanno di sentenza vecchia. La secchia è tutta vuota e si quota migliore il passato soltanto perché non lo si conosce o si finge che sia esistito, almeno una volta, un mondo ideale di giustizia ed onesta equità. Frottole simili al buon anziano impotente anche da giovane e che dice al nipote, eh io ai miei tempi… La verità ch’egli ai suoi tempi non faceva un granché e lo stesso ragionamento calza a pennello anche alla letteratura. Una volta sì che gli editori potevano essere definiti tali, che i giornali erano giornali e gli scrittori scrittori perché erano in pochi a scrivere, i pochi che lo sapevano fare… Niente di più falso. Scrivevano in pochi perché la scrittura è sempre stata elitaria e soltanto un nobile o un ricchissimo borghese o uno che si metteva alle dipendenze di un Signore, poteva permettersi il lusso di non guadagnare nulla con la letteratura, senza contare che in pochi sapevano leggere e scrivere. Quindi il fatto che ci fossero pochi scrittori non era indice di benessere sociale, ma di ignoranza diffusa… E tra quei pochi oltretutto ve n’erano alcuni davvero pessimi. I giornali sono sempre stati condizionati dai partiti, ma non lo dico io, che non so nulla, ce lo dice Lorenzo Sterne: “Mio zio era un uomo di partito, mentre io non lo ero affatto, ed è perciò che ho sempre detestato il mestiere di giornalista, che ritengo indegno di me”. Eppure Sterne che era dotato di sottile e geniale umorismo, non era nemmeno uno stinco di santo, dato che, cattivello, si servì dell’Anatomia della malinconia di Burton (1624), senza nemmeno usargli la cortesia di citarlo, però non ebbe mai lo stomaco di fare il giornalista perché aveva troppo a cuore la sua indipendenza e sapeva che l’avrebbe persa per sempre se avesse dato retta allo zio e avesse scritto per i giornali. Quindi preferì, per sua ma soprattutto nostra fortuna, scrivere La vita e le Opinioni di Tristan Shandy in più volumi.

Sterne nacque in Irlanda di venerdì, esattamente il 24 novembre 1713 a Clonmel e morì giovane, sempre curiosamente di venerdì, il 18 marzo 1768, e il cerchio si chiude per dire che, insomma, non stiamo parlando di oggi ma di quei famosi bei tempi andati di cui dicevo prima e in cui c’era anche un’usanza piuttosto bruttina, quella di fare le dedicatorie ai potenti, usanza protrattasi in alcuni casi disperati, fino ai nostri giorni. Basta aprire un qualsiasi libro antico per leggere All’Illustri.mo Reverendi.mo, Pregiati.mo Cavalier tal dei tali, ai Contini Eccellentissimi Cip e Ciop, al Marchese della mela guasta ma che impasta Frik e Frok, al Cardinale cuccagnoso e meraviglioso Shit e Shot, insomma tutto uno sfavillio di inchini e piroette stucchevoli e laudative e un apparato di frasi fatte che facevano parte dello stock di ogni buon scrittore reverente e devoto al padrone di cui ovviamente si dichiarava sempre “umilissimo servo”, quello era il minimo. Questa formula tra l’altro, è confluita anche nelle lettere ottocentesche come saluto retorico al posto dell’odierno con stima, cordialità et similia. Il letterato che fa carriera era un servo ed è un servo anche oggi. Cambiano le formule ma la sostanza poco. Prima non c’era la televisione, c’erano le case dei potenti e i salotti, ma il risultato è sempre lo stesso.
Sterne nel suo Tristan Shandy sfotte le dedicatorie e ne scrive una divertentissima “All’Onorabilissimo Mr. Pitt”, congedandosi ironicamente con “Illustrissimo Signore o meglio (ciò che è più in vostra lode) MIO BUON SIGNORE, io mi dichiaro coi più devoti auguri il vostro umilissimo AUTORE”.
Successivamente nel capitolo IX scrive una ipotetica Epistola, precisando:

 

Premetto una solenne dichiarazione. Questa dedica non è stata fatta per alcun principe, papa, prelato o uomo di governo; duca, marchese, conte, visconte, barone. Essa non è stata offerta direttamente o indirettamente, pubblicamente o privatamente, a nessun personaggio, grande o piccolo che sia. È una dedica assolutamente vergine perché non è stata letta da anima viva… Avanti amatori, essa è in vendita. La metto al pubblico incanto. Ogni autore ha un sistema suo personale per trarre il maggior vantaggio dal proprio lavoro. Per conto mio, poiché detesto il mercanteggiare e non m’importa di qualche ghinea di più o di meno, ho deciso sin dal principio di trattare apertamente quest’affare coi Grandi; e -chi sa? – forse vi troverò il mio tornaconto. Dunque, se vi è negli stati di S.M. Britannica qualche principe, duca, marchese, conte, visconte o barone che abbia bisogno di una dedica elegante e che ritenga che la mia faccia al suo caso, essa è a sua disposizione… Se dunque la vuole, gliela do per cinquanta ghinee… (L. Sterne, La vita e le opinioni di Tristan Shandy, Formiggini, 1922).

Sterne venne tradotto in Italia soltanto nel 1922, da un editore, uno dei pochi, degno di questo nome, Formiggini, e tradotto da Ada Salvatore con le xilografie di Benito Boccolari.

 

 

Bei tempi andati? Frottole!

Tristan Shandy, I edizione italiana, vol. I, 1922, credit Antiche Curiosità©

 

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