Cibo, disagio di civiltà

Cibo, disagio di civiltà

Cibo, disagio di civiltà

Cibo, disagio di civiltà

Breakfast Belle, pubblicità vintage, credit Antiche Curiosità©

 

Fluò©

Cibo, disagio di civiltà

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Se il disagio di una civiltà passa anche attraverso il cibo, si può dire che oggi siamo parecchio disagiati, per una sovrabbondanza spesso non qualitativa e importata da una cultura, quella dei fast-food U.S.A., che si impone ultimamente in fatto di gusto anche in Europa. Improbabili influencer alcuni dei quali sicuramente pagati per far pubblicità, vanno in giro a propagandare come cibo di qualità panini inverosimili pieni di schifezze, inondati di ketchup, trionfo dello zucchero e del benzoato di sodio e altre salsette industriali ingrassapopolo. Queste hanno il principale scopo di coprire i sapori specie della carne, non sempre troppo fresca, insaporire le patatine fritte, poi ecco il pane raggrinzito con una striminzita foglietta di lattuga e carne post-choc termico con sopra appiccicata una sottospecie di meschinetta sottiletta color giallo canarino morto chiamata coraggiosamente formaggio o ceddar. Dunque, infine, per sciacquare la bocca e digerire tutto il mattone, voilà un po’ di bollicine, la famosa coca-cola, un mix micidiale di zuccheri, acidi e caffeina che di certo bene non fa, più utile magari come disgorgante per rubinetti intasati che per la gioia di stomaco e intestino.
Mangiare questa roba che richiede stomaci di ferro ben temprati e abituati a tutto, renderebbe sani e soddisfatti, poi se il fegato e altri organi interni finiranno probabilmente per organizzarsi in una protesta generale e in una ribellione ben concertata, che sarà mai?
Si distrugge sistematicamente la tradizione culinaria locale e la buona cucina immettendo sul mercato altro cibo spazzatura.
Nessuno sfugge a questa barbarie. Anche l’Italia, nota come patria del buon gusto in cucina, non sfugge alla moda da fast-food che si sta diffondendo a macchia d’olio nelle principali città europee.
Non che tutto il cibo italiano sia buono, per nulla. Anche nei supermercati italiani è possibile trovare delle chicche alimentari degne del peggior panino made in U.S.A., per esempio la nutella, croce e delizia del popolino, è un vero obbrobrio alimentare che alcuni influencer pubblicizzano come delizia dentro i cornetti surgelati o no o su dolci che pretendono di essere artigianali. Certo se fai un dolce a mano e poi ci metti la nutella anziché una crema con del vero e buon cacao, forse ci siamo persi qualcosa per strada sul concetto di sano e di buono. Ma del resto bisogna pure vendere e si deve pur campare e andare avanti.
E che dire dei risotti già pronti e conditi? Li avete mai assaggiati? Nemmeno il cane, insomma, oserebbe mangiarli. Per non parlare di certe gommose pizze surgelate, delle vongole già sgusciate vendute in comodi barattolini di vetro, o dei sughi pronti dal sapore indefinibilmente disgustoso, sintesi del non-cibo, apoteosi di schifezza supremamente abominevole. Ma anche biscotti di note marche, a guardare bene gli ingredienti, sono pieni di sostanze dai nomi fantasiosi e chimicamente allettanti preceduti da varie lettere dell’alfabeto tra cui il consumatore fa fatica a districarsi.
Avendo ciascun Paese le sue, di porcherie, non vedo perché dovremmo aggiungerne altre importate. Se il globalismo ha permesso di conoscere cibi esotici e tradizioni culturali di altri popoli, ben vengano, massima apertura mentale. Adoro il cibo orientale, la cucina indiana, per esempio, anche quella messicana, ma aborro il cibo spazzatura, qualsiasi origine esso abbia e detesto la nuova moda di infilare l’avocado ovunque e a tutti i costi, perfino sulla pizza chiamandola gourmet. Ma che vuol dire poi gourmet? Alta cucina. Fai una pizza o un panino qualsiasi, ci metti l’avocado sopra o dentro e lo chiami gourmet spacciandolo per alta cucina? Che bel termine, come suona bene! L’abuso delle parole è la regola per imbonire, per convincere che si stia consumando un prodotto di altissima qualità e farlo pagare molto più del dovuto. E che dire poi di quei cibi che possiamo chiamare portatori di assenze? Non hanno latte, non hanno burro, non hanno glutine. Quest’assenza si paga. Se sei allergico al glutine devi pagare di più, se non sopporti latte e derivati, devi andarti a cercare con il lanternino prodotti che non contengano queste sostanze e, trovatili, li devi pagare di più, perché siccome sei intollerante, pretendi pure di non essere avvelenato. Son lussi questi, esattamente come la frutta e la verdura bio. Se non vuoi ingerire pesticidi, devi pagare, per cui chi viene penalizzato è sempre il povero, quello che non può attraversare gli scaffali di un supermercato scegliendo il reparto gioielleria riservato invece a chi può spendere di più. Il privilegio passa anche dal cibo. Come diceva Maria Antoniette, che poi ha perso la testa pure lei, se avete fame mangiatevi le brioches. Un ministro inglese di recente invece, ha consigliato ai poveri di mangiarsi i fagioli da 60 centesimi per riempire lo stomaco spendendo poco. Notizia che in Italia nessuno ha riportato, perché? Che differenza c’è tra questo ministro e Maria Antonietta di Francia?
Nessuna, temo.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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