L’Ulisse, libro comico-satirico

Joyce autore difficile? No!

L’Ulisse, libro comico-satirico

Joyce autore difficile? No!

Ulisse, II edizione italiana, credit Antiche Curiosità©

Mary Blindflowers©

L’Ulisse, libro comico-satirico

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Io ritengo che l’Ulisse di Joyce sia un libro comico-satirico con mascheramenti enciclopedici e una fitta rete di riferimenti che in parte hanno il compito di sviare piacevolmente il lettore, in parte di farlo concentrare sui punti importanti. Nel romanzo è esplicitato abbastanza chiaramente che la religione non è affatto evoluzione, ma causa di arretratezza per l’Irlanda.
La critica insiste molto sui riferimenti omerici che secondo me sono un pretesto, poco invece sugli argomenti cardine del libro che ricorrono ovunque, l’imperialismo britannico e la prepotenza della religione. La polemica non è pesante, acida, ma condotta sul sentiero di una ironia che, se compresa, fa anche ridere. Si utilizzano giochetti oppositivi, metafore, accostamenti arditi, ipotesi suggestive, fantasiose ma probabili, ispirate alla storia vera e nomi veri a suffragare l’effetto comico. Di continuo Joyce innesta in vari episodi uno sfottò religioso contro il cattolicesimo, ma anche contro il protestantesimo. C’è un insistito, scettico e blasfemo nichilismo in Leopold Bloom che guarda con evidente ironia al rito della messa, alle missioni per la conversione delle anime europee illustri ed extraeuropee, alle persone che accorrono in chiesa in nome di dio, ancora prima di entrare nel sacro luogo:

Predica del reverendo John Conmee S.J. su S. Pietro Claver e la missione africana. Salvare milioni di anime della Cina. Chissà come lo spiegano al cinesino pagano. Preferiscono un’oncia d’oppio. Celestiali. Eresia smaccata per loro. Preghiere per la conversione di Gladstone fecero pure quando aveva quasi perso conoscenza. I protestanti lo stesso. Convertito il Dr. William J. Walsh D.D. alla vera religione. Budda il loro dio disteso su un fianco del museo (Ulisse, p. 111, II edizione Mondadori, 1960).

In poche righe quante cose dice Joyce! Qui c’è un gioco oppositivo molto divertente che in sostanza cerca di annientare sia la credibilità dei cattolici che dei protestanti, nell’idea che nessuna religione sia vera. I cattolici, dice, vogliono convertire i protestanti importanti e i protestanti vogliono convertire i cattolici illustri, per cui sono entrambi della stessa pasta, vogliono fare propaganda e rafforzare il loro potere politico. William Joseph Walsh era infatti arcivescovo cattolico di Dublino dal 1885. Joyce lo nomina perché non mancavano degli entusiasti che speravano di poterlo convertire al protestantesimo. Riuscire nell’ardua impresa avrebbe giovato moltissimo ai protestanti che avrebbero potuto così propagandare la notizia ai quattro venti, uscendone rinvigoriti.
Sullo stesso piano il desiderio di vedere William Ewart Gladstone, famoso politico britannico liberale, convertito al cattolicesimo. Gladstone fu Primo Ministro del Regno Unito per dodici anni. La speranza di conversione nasceva in certi spiriti ardenti, perché il politico aveva appoggiato alcune riforme gradite ai cattolici irlandesi che si sentirono così incoraggiati a sperare che lui potesse unirsi a loro. Gifford infatti sostenne che mentre Gladstone giaceva nel suo letto di morte, nel maggio 1898, l’arcivescovo Walsh scriveva una letterina ai “fedeli della diocesi”, esortandoli caldamente a pregare per lui. La lettera non parlava direttamente ed esplicitamente di conversione, come fa invece argutamente il pezzo ironico di Joyce, tuttavia faceva capire il clima che si respirava e il fatto che la religione fosse soprattutto un’esigenza politica.

I pensieri di Bloom esplicitano anche come si potesse entrare nel coro della chiesa, “lavorandosi” le persone giuste:

Martin Cunningham lo conosce: ha un’aria distinta. Peccato che non mi sono lavorato lui per far entrare Molly nel coro invece di quel Padre Farley che sembrava uno sciocco ma non lo era (p. 111).

Bloom a questo punto entra in chiesa, il flusso di coscienza continua, sempre più critico, divertente. L’aspersorio è “un coso”, chiaro riferimento fallico rafforzato dalla scena successiva dell’ingestione di un “cadavere”, l’ostia consacrata, cannibalismo rituale del dio che viene ingoiato:

Donne in ginocchio nei banchi… il prete passava davanti a loro mormorando, tenendo il coso in mano. Si fermava davanti a ognuna, tirava fuori un’ostia, ne scuoteva una goccia (le tengono nell’acqua?) e gliele metteva per benino in bocca. Cappello e testa sprofondavano… Corpus. Corpo. Cadavere. Buona idea il latino. Per prima cosa l’imbambola. Ospizio per i moribondi. Non sembra che la mastichino: solo la ingoiano ( p. 112).

Le persone in chiesa sono “maschere cieche” con “pentole” in testa, allude ai cappelli ma si riallaccia all’ingestione, è nella padella infatti che si prepara il cibo, gioco gastrico di rimandi satirici densissimi.

Joyce va letto così, punto per punto, occorre un lettore che abbia semplicemente voglia di leggere. E lasciate perdere le castronerie di certi critici che dicono che per leggere L’Ulisse occorra la mappa di Dublino (che ridere!) Occorre il cranio, nient’altro.

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Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Corpus in Latino infatti fa terribile assonanza con corpse che in inglese significa cadavere, salma.

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