Quando eravamo beceri colonialisti

Quando eravamo beceri colonialisti

Quando eravamo beceri colonialisti

 

Quando eravamo beceri colonialisti

Zucca, Il paese di madreperla, 1926, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Quando eravamo beceri colonialisti

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Giuseppe Zucca, Il Paese di Madreperla, Edizioni Alpes, Milano, 1926. Si tratta di un resoconto dal vivo e dal punto di vista di un becero colonialista, della conquista della Somalia che rientrava perfettamente nel programma fascista e razzista di dominazione dei popoli. Zucca va dunque nelle colonie e le descrive, definendo, il suo, “un libro d’arte”, autodefinendosi poeta e reiterando termini come Patria, scritto proprio così, con la p maiuscola (che tristezza!), e maschie virtù. L’autore esalta, con fanatica retorichetta, il vessillo italiano su una terra repressa e sfruttata. Zucca ritiene la colonizzazione giusta ed eroica, è molto riverente e sottomesso alle autorità italiane ed è straconvinto che il colonizzatore sia un benefattore:

Il mio cuore d’italiano, quando si correva in gran fretta tra un approdo e un imbarco, per gli stradoni ben catramati di  Porto-Sudan e di Aden (città prodigio: testimonianza della più dura e vitttoriosa volontà di impero che abbia mai armato l’anima di un popolo dopo la leggendaria storia di Roma) il mio povero cuore di italiano, dopo dilatati in blocco orecchiette e ventricoli per la necessaria ammirazione, si era contratto in uno spasimo di umiliazione e d’invidia: e anche di timore. Pensavo: – Chissà, dopo visto questo, cosa diavolo vado a veder nelle colonie nostre! E ho visto Massaua e vedo ora Mogadiscio. Vedo quest’ordine, vedo questa impegnata disciplina di lavoro, sento in tutti una fede nuova nel domani… (p. 25).

Poi diventa esplicito parlando di dominatore bianco e di neri dominati, di opere di bene, tese, però, precisa, a sfruttare le risorse. Non può non nascondere tuttavia, un senso di ammirazione che ogni tanto, tra una maglia retorica e l’altra, gli sfugge, ma subito lo sguardo ammirato viene ricondotto alla propria cultura, al proprio piccolo mondo. È come se il colonizzatore fosse incapace di riconoscere una peculiarità artistica perfino ad una danzatrice:

La classica bellezza degli atteggiamenti, delle movenze, dei gesti è, nelle donne, così perfetta, da far pensare assiduamente a certe figurine danzanti di Tangra, a non so più quale leggiadrissima danzatrice tutta velata di bianco che forse ho veduta in qualche pittura di Pompei (p. 102).

Tutto viene ricondotto alla propria ansia dominatrice, ogni azione di sfruttamento diventa lecita in nome del popolo italiano e di quell’ideale veramente stantio di patria tanto caro al fascio. Ma il top lo si raggiunge con la riproposizione delle poesie che i fascistoni cantavano:

D’oltre-Giuba noi faremo

Un novello gran paese:

noi l’erario aggiusteremo

dell’Italia e le sue spese.

Chisimaio pagherà!

 

Non mancava poi una buona spolverata di misoginia cantata:

 

Se l’inglese qualche donnina

ci dovesse consegnar

dovrà pure la piccina

italiana diventar:

la sapremo colonizzar! (p. 16)

 

Questi erano i vecchi fascisti, e i nuovi? Oh i nuovi si dividono in due tipi: i nostalgici del fascio che fingono di essere democratici e i fascisti dell’antifascismo, anche loro fascisti, anche loro fingono di essere democratici, come tutti.

Non si sa se ridere o piangere.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comments (2)

  1. Mariano Grossi

    A quell’ordo prisco e avito
    già ci voglion riportar
    i Vannacci e il suo spartito
    zeppo di gran sproloquiar!
    Nuove note intoneremo
    che riportino il ruggito
    figli di Romolo e Remo
    e nipoti di Benito!

    (Canzone da intonare gravida di note e di refrain di impronta neocoloniale).

    1. Destrutturalismo

      Mariano, ma che ti senti un musico da Faccetta nera?

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