Le rivoluzioni? Tutte fallite!

Le rivoluzioni? Tutte fallite!

Le rivoluzioni? Tutte fallite!

Le rivoluzioni? Tutte fallite!

Bugie da marionette, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers & Angelo Giubileo©

Le rivoluzioni? Tutte fallite.

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Le rivoluzioni sono tutte fallite. Questo è un fatto storico innegabile. Soltanto chi non si rassegna alla propria sconfitta non è in grado di accettarlo perché vive in una utopia da avanspettacolo e da parrocchia. La pannocchia del tempo è spietata. Il revisionismo pietoso, ridicolo. La rivoluzione russa del 1917 è fallita perché ha sostituito una dittatura con un’altra. Lo stesso Marx che è pur stato un filosofo importante, non ha capito che usare il termine dittatura è già di per se stesso la squalificazione di giustizia e democrazia. La dittatura, di qualsiasi tipo, è aberrante, da qualunque angolazione la si guardi. Non ci sono giustificazioni per chi usa questo termine. Oltretutto Marx era borghese. Le rivoluzioni le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso (Battiato). La borghesia che si autodefinisce rivoluzionaria è un bluff. Marx stesso ha fallito, proprio perché borghese e incapace di comprendere fino in fondo la vita di chi borghese non era e non è. Gli intellettuali marxisti che, spesso, come del resto quelli fascisti o cattolici, hanno distorto la storia, sono stati un sottoprodotto che ha rafforzato la dipendenza della letteratura dal potere politico padrone della Tecnica.

Infatti, la Tecnica è quel Sacro Fuoco che, nella mitologia greca, è prima conteso tra la stirpe dei Giganti in lotta con gli Dei e quindi, a seconda del trionfo dedicato agli uni o agli altri, diventa dono per la stirpe degli Uomini. Eschilo è forse colui che meglio di tutti, tra i classici, estrinseca tale relazione di potere, impersonificandolo nelle figure di Prometeo e Zeus. E dunque una relazione tra due classi di potere, emblema del Potere che si struttura e si sviluppa in ogni cultura. In base a un fondamento di principio che, in Oriente più chiaramente che in Occidente, è comune sia al dominio del capofamiglia che del sovrano o sacerdote del feudo. In quanto UNO, l’upper class – come diremmo piuttosto oggi – ha in sé con sé e per sé il potere di determinare la FORTUNA (ovvero i possedimenti o i beni ereditati e conquistati) della class down, come dovremmo piuttosto dire ancora oggi. Così che la Virtù, ovvero il Potere, alla base della propria UNITA’ è DUE: perché essa è una sintesi dello Yin e dello Yang: in essa si uniscono e si contrappongono le Virtù concorrenti del Cielo e della Terra, del Sovrano e del Ministro, dell’Alto e del Basso, della Sinistra e della Destra… (M. Granet, Danze e leggende dell’antica Cina, Adelphi 2019, pag. 475). Potere pertanto che, essendo uno e duplice, diventa in qualche modo anche TRIPLICE e diviso tra Dei-Dio, Semidei-Eroi e Uomini. E allora l’intera Storia diventa ed è teatro, purtroppo, di questa contesa, tra due (o tre) stirpi o classi di appartenenza la cui esistenza è drammaticamente innegabile.

La critica è sempre stata upper class. Un critico inoltre dovrebbe criticare e non essere fascista, marxista, cattolico o altro. Dovrebbe analizzare il testo indipendentemente dall’area politica di appartenenza. Utopia? Sì. La critica è fallita proprio perché ha rifiutato e rifiuta tuttora di essere super partes e di accettare l’dea che anche chi non appartiene a classi sociali alte, possa essere creativo o geniale. Coloro che non vogliono fare politica e desiderano mantenersi neutrali nei giudizi, vengono ostracizzati dal sistema. Piuttosto che essere dei signori nessuno, i critici dunque, si allineano ai desideri delle classi alte. La conseguenza di questo allineamento è la devastazione della letteratura e dell’arte. Il critico ha così perso la sua credibilità ed è anche giusto che sia così. Il borghese rimane borghese, il lavoratore è altra cosa, due mondi diversi, destinati a non incontrarsi. La letteratura è diventata per soli ricchi. La rivoluzione borghese di chi gestisce l’arte, ha la pretesa di salvare il mondo imponendo un ordine artificiale, dall’alto, senza penetrare nella consapevolezza individuale. I collettivismi e tutti gli ismi schiacciano l’individuo parlando di cooperazione. Ma come può esservi coooperazione quando il soggetto viene costretto a rinunciare alla sua libertà individuale in nome dello Stato o del denaro? Quando viene annientata la sua capacità di analisi oggettiva, cosa resta?

I chierici e laici ministri del Potere ci raccontano continuamente di epoche diverse della Storia, in cui il buongoverno del Santo-salvatore trionfa e subentra al regime della Bestia-tiranno, così che, potremmo dire eternamente, il Nuovo e Moderno Patto subentra al Vecchio e Antico Patto. Ma, questo, è solo uno schema o modello, trito e ritrito. Forse che già nel 5-6000 a.C. le navi non solcavano l’intero Mediterraneo e si recavano a Lipari per commerciare l’ossidiana, più tagliente della selce? E allora il mondo moderno è solo un’altra invenzione degli storici organicisti, allora colonialisti, al servizio del Re. Oggi, globalisti.

Ecco cosa diceva in sintesi del Nuovo Mondo dei mercanti, l’Eschilo di allora, ovvero il ben noto Adam Smith: “Un paese che abbondi di mercanti e di manifattori, necessariamente abbonda di una categoria di persone per le cui mani passano non soltanto i loro capitali ma i capitali di tutti coloro che hanno prestato loro denaro o hanno affidato loro merci (…) Nello stadio primitivo delle società non vi sono grandi capitali commerciali o industriali. Gli individui che tesoreggiano tutto il denaro che possono risparmiare e che nascondono quel tesoro, lo fanno per sfiducia nella giustizia del governo, per il timore che se si sapesse che hanno un tesoro, e se questo venisse trovato, ne sarebbero subito derubati” (A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Utet 2013, pag. 1098, s.) E allora a questo fabbisogno e incremento del potere sovrano provvede la classe mercantile di quella che sarà la nuova borghesia ovvero una nuova middle class che si aggiunge alle due tradizionali, upper e down.

La rivoluzione cinese è fallita. Mao voleva una grande Cina e se fosse vivo oggi si renderebbe conto che l’ha avuta. La Cina è una potenza economica mondiale, ha messo le mani ovunque, perfino in Africa. Gli occidentali hanno spostato le loro fabbriche in Cina. I grandi marchi producono in Cina. La manodopera non costa granché perché deve lavorare per rendere grande la nazione. Ma a che prezzo? L’individuo ha perso la sua capacità di pensare e di opporsi per partecipare al sogno di una grande Cina che non esiste se non nella mente dei borghesi che si sono illusi di fare le rivoluzione per le classi lavoratrici. Il collettivismo è un fallimento perché crea robot per la nazione, alieni a se stessi, uomini incapaci di riconoscersi allo specchio. L’individuo muore per un’idea astratta in ogni democrazia contratta ed abortita. Le rivoluzioni falliscono perché sono tutte borghesi, e il borghese che monopolizza la cultura, non sa nulla di come vive la working class né un operaio capisce i suoi discorsi elucubranti, sa solo che deve lavorare e fare lo schiavo per far contenti i padroni che lo sfruttano e che cambiano i padroni ma la sua condizione resta la stessa. Quindi parlare di rivoluzioni è parlare di aria fritta, negando la storia.

L’unica rivoluzione veramente riuscita è stata la sostituzione dell’aristocrazia con la borghesia finanziaria. E allora si ritorna al principio: addio middle class. Nell’era della nuova globalizzazione finanziaria, il potere delle Grandi Imprese – che Colin Crouch chiama Giganti, esattamente come la stirpe di Prometeo cantata da Eschilo – si estende ovunque a macchia d’olio e supera, oltre che i confini, addirittura il Potere delle Nazioni. La Politica soggiace alla Finanza, ed entrambe continuano a servirsi della Tecnica, frapponendo nuove e più forti barriere tra l’Olimpo degli dei e la Terra degli uomini. E allora non vi dovrà sembrare affatto strano il linguaggio e i termini usati da Crouch: “Al cuore dell’enigma c’è il fatto che il neoliberismo realmente esistente è meno favorevole, di quanto dica di essere, alla libertà dei mercati”. Breve parentesi: chissà se sia stato così anche nella Lipari del sesto millennio a.C.? Cosa di cui, sinceramente, dubitiamo… E ancora: “Esso, al contrario, promuove il predominio delle imprese giganti nell’ambito della vita pubblica. La contrapposizione tra Stato e mercato, che in molte società sembra essere il tema di fondo del conflitto politico, occulta l’esistenza di questa terza forza, più potente delle altre due e capace di modificarne il funzionamento. Agli inizi del ventunesimo secolo la politica, proseguendo una tendenza iniziata già nel Novecento (altra nostra breve parentesi: qui Tecnica ci cova!) e accentuata dalla crisi, non è affatto imperniata sullo scontro tra questi tre soggetti, ma su una serie di confortevoli accomodamenti tra di loro” (C. Crouch, Il potere dei giganti, Laterza 2012).

Un padrone si è sostituito ad un altro nello sfruttamento delle classi socialmente svantaggiate. La mobilità sociale è immobile, specie in Italia, come un mobile tarlato destinato a sfaldarsi del tutto. Il figlio di un professore universitario avrò accesso ad ogni grosso editore che conti, il figlio di un operaio, a meno che non si venda ad un partito, dovrò fare l’operaio e se oserà dire di non aver avuto le stesse possibilità del figlio della borghesia, verrà accusato di invidia dai borghesi bene che si spalleggiano l’uno con l’altro e si riempiono la bocca di democrazie fittizie, mentre compatti si stringono la mano per la rivoluzione finta e tinta di vari colori dell’armocromia che possono essere pure cambiati, all’occorrenza, dipende da dove tira il vento e quando occorra buttare la lenza.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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