Nessuno mai ne parla

Nessuno mai ne parla

Nessuno mai ne parla

Nessuno mai ne parla

L’occhio clinico, credit Mary Blindflowers©

 

Jo Fluò

Nessuno mai ne parla

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Piero Calamandrei scrisse un’Epigrafe per la madre dei fratelli Cervi. Se cercate in rete troverete innumerevoli post che riportano anche il lamento di Calamandrei sul fatto che a scuola si studi Muzio Scevola e Orazio Cloclite ma non i Fratelli Cervi. Chi riferisce la parole di Calamandrei, non mette mai la fonte precisa, il testo o il discorso da cui le frasi del suddetto sono state prese, perché ormai i social sono quanto di più approssimativo possa esistere al mondo. Le frasi vengono citate e copincollate senza nessun riferimento bibliografico, tanto chi legge più nulla? Meglio stare in rete a commentare cose senza fonte precisa, tanto tutti credono a tutto. A volte è pure capitato che le frasi attribuite all’uno fossero dell’altro, ma che importa? Tutto fa brodo nel maremagnum dell’approssimazione.
Ma torniamo a Calamandrei. Ha detto una cosa giusta, perché la memoria è importante, bisogna coltivarla come un fiore.
Tutti parlano dunque della libertà che abbiamo conquistato grazie alle eroiche figure della Resistenza.

Ma siamo veramente liberi?

Credo sia una domanda molto importante. A nessun intellettuale, di nessuno schieramento politico, viene mai in mente di studiare il presente con spirito indipendente. Cosa è accaduto dopo la guerra? A parte essere diventati schiavi degli USA che ci hanno messo le loro basi in casa, hanno influenzato negativamente la società dei consumi e imposto un tipo di arte e letteratura spazzatura, falciando gran parte della nostra tradizione letteraria e imponendo uno stile di scrittura sciatto e commerciale, siamo liberi?
Certamente siamo più liberi di certi Paesi comunisti, per esempio, io in Europa posso scrivere quello che sto scrivendo ora, e criticare, entro i limiti della corretta educazione, il sistema. Nessuno verrà a prelevarmi di forza a casa per arrestarmi. Tuttavia non posso esimermi dal constatare che mentre tutti parlano di antifascismo, di personaggi eroici che hanno fatto la nostra storia, dei giovani che non studiano, e bla bla, nessuno parla dei vecchi. Cosa ha fatto la vecchia borghesia? Si è presa tutto. Da una parte l’istruzione è stata migliorata. Oggi anche il figlio di un operaio va all’università, quella pubblica, perché quella privata è per soli ricchi. Ma di fatto il miglioramento dell’istruzione non ha corrisposto ad un miglioramento sociale. La borghesia italiana fa in modo che non ci sia ricambio sociale. “I posti buoni” sono destinati ai ricchi, i poveri che vadano a fare lavori umili. La filosofia imperante è questa. Una sorta di fascismo post-fascista tipico del bipensiero che mentre ti schiocca lo slogan delle “pari opportunità per tutti”, sa bene che il figlio di un operaio, a meno che non si venda anima e corpo ad un partito, non diventerà mai ufficialmente scrittore, anche se ha il talento, mentre il figlio di un accademico o di un regista nasce scrittore se vuol fare lo scrittore, pagliaccio se vuol fare il pagliaccio e spesso scrittore e pagliaccio diventano anche la stessa cosa.
Quindi a che serve studiare il sacrificio dei Cervi, che, tra parentesi, erano contadini, se ancora l’alta borghesia monopolizza ogni spazio e non consente a chi non è della sua stessa classe sociale, di avere una possibilità?
Questa è la libertà che abbiamo conquistato?
Perché nessuno ne parla? E non solo non se ne parla per nulla, ma molti negano addirittura questa evidenza, sostenendo che lo scrittore famoso X era povero in canna e poi, grazie al suo talento, è diventato ricco. Frottole! La borghesia è arrivata al punto di costruire biografie finte, concertate a tavolino, ad uso e consumo del popolino, per farlo stare buono e per coltivare l’illusione populista che un poveraccio abbia le stesse possibilità di un ricco. Niente di più falso. L’editoria è in mano ai ricchi. E se la testa è in mano ad una sola classe sociale, il punto di vista sarà sempre e soltanto unilaterale e falsato. Anche quando la borghesia parla della vita degli operai, è inautentica, perché quella di cui ciancia, non è la sua vita reale, ma la vita di altri che il borghese osserva dal suo guscio sicuro, dal suo salottino, con le sue manine candide e senza calli. Quello che ci dice, quello che vede, lo filtra dagli occhi di un uomo che ha tutto e non ha mai veramente provato cosa significhi appartenere ad una classe sociale non privilegiata come la sua.
Di cosa parla dunque? Delle vite degli altri, interpretandole?
Ancora i genitori ti dicono: “studia e vedrai che prima o poi arriverai”. Dove arrivi se non sei ricco in un mondo in cui il mercimonio e l’edonismo sono diventati la regola costante? Dove vai in un mondo in cui la stessa cultura si è venduta ed è in mano a pochi che gestiscono tutto e negano anche l’evidenza, come se fossimo degli autentici imbecilli?
I ricchi e i venduti diventano scrittori, artisti, primi attori di una scena in cui l’essere è confuso con l’avere, gli altri sono comparse in un teatrino di cera in cui non passa un alito di vento.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

 

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