Inizio, principio, linguaggio mitico

Inizio, principio, linguaggio mitico

Inizio, principio, linguaggio mitico

 

Inizio, principio, linguaggio mitico

Indonesian carved panel, credit Antiche Curiosità©

 

Angelo Giubileo©

Inizio, principio, linguaggio mitico

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L’inizio – e il principio, che però presuppone già il passaggio da una forma di linguaggio mitico a una forma di linguaggio logico e viene quindi inteso come causa – è declinato essenzialmente come l’Uno. Originariamente, l’Uno è concepito come l’intero e pertanto indiviso e indivisibile. Immagine dell’Uno è il Sovrano del Tempo e dello Spazio. Originariamente, si tratta del Signore del Mondo, del Cielo e della Terra, di Colui che esercita il potere indiviso del Trono e dell’Altare.
Nel linguaggio morfologico del mito, l’Uno assume la forma dell’Antenato e del Padre che necessita, nel rapporto di filiazione, di assoluta fede e obbedienza. L’Antenato o il Padre è ciò che, per primo, diventa sacro. Come altrimenti dire, ciò che è intoccabile, inavvicinabile, inesprimibile. Traccia di questa sacralità era ancora diffusa ai tempi di mio padre, quando si rivolgeva al proprio padre, mio nonno, dandogli del Voi.
Ma c’è molto di più caratteristico di un’era che potremmo dire del Padre, ma allo stesso modo ancor prima della Madre, e in specie quando, in merito al potere di successione e quindi di trasmissione del potere dell’Antenato al Figlio, il diritto di successione è stato definito come prima uterino e poi agnatizio.
Gioacchino da Fiore, contrapponendosi alla profezia dell’Apocalisse di Giovanni, scrive che sono e saranno tre le età del Mondo: la prima del Padre, la seconda del Figlio e la terza dello Spirito. L’interpretazione gioachimita segue per così dire una linea evolutiva, che viceversa non riteniamo di condividere. Piuttosto crediamo che le tre età siano immagini di una medesima realtà, sempre in qualche modo uguale a se stessa, che viene invece rappresentata e quindi narrata a seconda del linguaggio prescelto.
E così, in Grecia, il logos giovanneo prende forma dalla dottrina pitagorica dei Numeri: l’uno, dice Pitagora, è par-impari. Il discorso del Logos si apre cioè al Figlio, e stabilisce pertanto una relazione regolata civilmente (secondo la legge del Trono) dal diritto successorio. In ambito religioso (secondo la legge dell’Altare), la relazione diventa duale o trinitaria attraverso la presenza di un terzo elemento, che è lo Spirito. Ciò che Plutarco chiama, in tutta la sua immediatezza: “impulso”.
In “La fine degli oracoli”, Plutarco lamenta, a suo dire e nell’ambito di una lettura parimenti evoluzionistica della Storia, la fine del tempo degli oracoli allorquando costoro in precedenza avrebbero come hanno prevalentemente svolto la funzione di raccordo tra Dio o gli Dei e gli uomini. Plutarco accusa Platone e in particolare la sua teoria delle idee di avere generato una contrapposizione insanabile tra i due Elementi (è l’epoca in cui in Grecia nasce la Geometria) relazionali, tale per cui gli uni credono che tutto sia regolato dalla Provvidenza, gli altri invece che la Provvidenza non c’entri per niente.
L’età del Figlio, funzionale a un principio di divisione del potere assoluto, genera tuttavia una contraddizione logica, che si dimostra in definitiva insanabile. Lo Spirito è l’unico elemento che si ritiene capace di ricondurre lo schema all’unità perduta. E tuttavia, come sapeva bene Plutarco e tutti gli altri saggi ancor prima di lui, l’età dello Spirito non può che rivestirsi di una prospettiva essenzialmente oracolare. E quindi si tratta pur sempre di una profezia (nuova) di un Mondo regolato dall’incertezza.
Sulla scia di Gioacchino, Fukuyama scriverà al termine dello scorso millennio di Avvento dell'”Ultimo Uomo” e di “Fine della Storia”. Previsione ampiamente smentita dai fatti dell’attualità, dato che la relazione e il potere di successione tra generazioni permangono e permarranno per sempre incerti. Questo è ciò che deve sottintendersi parlando di un Paradiso perduto. Nell’ambito della teoria sacrale del cristianesimo, lo Spirito sarà ritenuto emanazione sia del Padre che del Figlio che, alternativamente, soltanto del Padre. In questo secondo caso, evidente è il riferimento all’arianesimo, al principio alternativo di transustanziazione e non consustanziazione del corpo del Figlio, alla questione altrettanto dibattuta, in epoca nazista, del Filioque.
In conclusione, non crediamo che una lettura evoluzionistica della Storia favorisca un dialogo possibile tra gli uomini, così come non crediamo che una teoria, civile o sacrale del potere, serva a connaturare in modo valido ed efficace l'”enigma dell’Essere” e quindi il Destino incerto dell’Uomo.

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