Non fa cielo l’azzurro?

Non fa cielo l'azzurro?

Non fa cielo l’azzurro?

Non fa cielo l'azzurro?

Il bancone del pesce, disegno da quaderno degli appunti by Mary Blindflowers©

 

Non fa cielo l’azzurro?

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

 

La significazione non sembra attualmente importante per tanta poesia contemporanea che diventa di volta in volta atono esercizio di stile oppure prosa, da un estremo all’altro. L’innocuità è il metro essenziale di un verseggiare fine a se stesso, un delizioso quanto lezioso incartarsi nel nulla.
Abbiamo avuto di recente occasione di leggere alcune liriche di Adriana Gloria Marigo, persa tra i lillà, le trame d’aria, il tinto colore di vago e in effetti più vaga e insipida di così, la poesia non può essere:

 

Non fa cielo l’azzurro
che s’incaglia nel vetro
sposo di luce mattinale
manca l’aperto venetico
la trama fine d’aria
che altrove non arrischia
il tinto colore di vago
.
Vaghezza d’aprile
riparata sui racemi dei lilla’
effondi pulviscoli odorosi
lacerti di ere turbinanti
all’imperitura sorte della luce –
vento di corpo sottile

 

Nella prima poesia la poetessa mutua dal lessico marinaro il verbo incagliarsi per comunicarci una verità sconvolgente e di difficile comprensione per noi comuni mortali: il chiarore del mattino che va ad arenarsi, a spiaggiarsi su una finestra non può essere considerato equivalente al cielo in sé. Per quale motivo la scrivente esprima questa considerazione geniale ce lo spiega nella strofa successiva attraccando al lessico tessile: su una lastra di vetro non può passare il filo che costituisce la parte trasversale del tessuto d’aria che è invece facilmente rintracciabile fuori, a cielo aperto; quel filo sottile, en plein air, oltretutto, sta ben al sicuro, mantiene la sua originalità, mentre su un vetro assume contenuti cromatici da volgare pittore patendo inevitabile deriva di genericità.
Siamo rimasti stupefatti: noi non avremmo mai potuto immaginare il contrario di ciò che capillarmente descrive la Marigo e che avevamo notato quotidianamente al risveglio! Ci chiediamo a che serva questo tipo di poesia se non a giochicchiare con le parole senza di fatto dir nulla di sostanzioso. La poesia sembra diventata un gioco di società in cui vince chi meno esprime e meno dà fastidio.

Nella seconda la “poetessa” (sic!) realizza una meravigliosa, si fa per dire, rima in Ring Komposition tra exordium e clausula, deturpandola con quell’espressione a nostro avviso quasi oscena (vento di corpo sottile) che ci induce a pensare ad un flatus ventris in una antipodia immeritata tra l’etereità del verso dell’incipit (vaghezza d’aprile) e la bugliolità (si può creare anche noi un neologismo?) della linea d’explicit. Ma andiamo oltre; come nella prima ode ci si sostenta sul lessico marinaro e tessile, qui abbiamo una capatina nella botanica; sono le infiorescenze caratterizzate da un asse principale da cui si dipartono peduncoli di uguale lunghezza che sorreggono i fior a dare usbergo, a offrir scudo a questo quinto mese dell’anno che pare (a lei) così evanescente anziché potente slitta d’ingresso della corposa primavera cesurante la stagione gelida (Bah?); poi nella linea successiva prima di andare prosaicamente a capo (credendo, ahilei di emettere verso!), ecco una incursione in macelleria (o nella pescheria?) Rimaniamo col dubbio, poiché non ci risulta limpido ciò che l’autrice comunica: i lacerti che cita sono pesci di ere in effetto whirlpool, come direbbero gli anglofoni, ovvero i pezzi corrispondenti al primo taglio della coscia del manzo tra il girello e il soccoscio?
Che cosa sarebbe infine la imperitura sorte della luce? Il suo inevitabile destino caduco, visto che quotidianamente deve cedere all’incombente buio notturno?
Non ci è chiaro, manca la limpidità per nascondere l’inerzia contenutistica. La chiusa d’opera ci presenta un soffio eolico attribuibile ad un non meglio identificato fisico minimo e tenerissimo che a noi suggerisce l’idea della silenziosissima flatulenza di una creatura ammalata.
Ai posteri l’ardua sentenza sul valore poetico della signora Marigo che secondo noi è pari a zero spaccato più zero che ci sembra faccia sempre zero da qualunque direzione lo si osservi.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

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