L’Isola del tesoro? Capolavoro?

L'Isola del tesoro? Capolavoro?

L’Isola del tesoro? Capolavoro?

L'Isola del tesoro? Razzista!

Stevwnson, L’Isola del tesoro, 1944, credit Antiche Curiosità©

 

L’Isola del tesoro? Capolavoro?

Mary Blindflowers©

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L’Isola del tesoro, un capolavoro? Ma anche no!
Trattasi di un esempio tipico di letteratura per ragazzi secondo una mentalità ottocentesca per cui i giovani maschi avevano il compito di uscire di casa per fare carriera o per esplorare il mondo alla ricerca di quel tesoro che li avrebbe resi ricchi ed importanti.
La letteratura destinata alle donne imponeva riserbo, vita domestica, onestà, attività tipo far la calzetta o i ricami a tombolo, amministrare la casa e annoiarsi costantemente in uscite programmate come debutto in società, nella speranza di concludere un matrimonio conveniente e preparato dai genitori.
I romanzi per ragazzi al contrario esaltavano le virtù guerriere, il mito edonistico del denaro. Si lodava il coraggio, la scaltrezza nel destreggiarsi in situazioni impreviste, e così via, perché era il ragazzo, futuro uomo a dover essere furbo e intelligente, per le donne intelligenza e scaltrezza, non erano doti richieste, anzi, troppa istruzione avrebbe potuto guastarne le virtù domestiche.
L’Isola del tesoro è un romanzo che abbonda di descrizioni lunghe e tediose che ad un lettore contemporaneo appaiono veramente pesanti. Un eccesso di descrittivismo che per fortuna la grande letteratura del Novecento, da Kafka a Joyce ma anche già lo stesso Wilde, grandissimo, avevano abbondantemente superato in nome di una maggior fluidità discorsiva, e di quell’arrivare all’essenziale che ha consentito la liberazione dai noiosi dictat della pignoleria ossessivo-compulsiva dell’Ottocento che pur piace anche a tanti scrittori contemporanei.
Francamente leggendo L’Isola del tesoro mi sono annoiata mortalmente ma ho anche notato che si tratta di un romanzo che riflette alla perfezione il punto di vista del colonialista.
La distinzione tra gentiluomini di ventura e pirati giudicati marmaglia, ammutinati che si ribellano al loro capitano, secondo l’idea di chi scrive è distinguere il grano dalla pula, il buono dal cattivo, l’uomo ideale dallo scarto perché i pirati tradiscono per denaro, non sono leali e uccidono per avidità. Tuttavia anche i gentiluomini di ventura che guidano la nave sono avidi, non si sono forse imbarcati e non hanno organizzato una spedizione per trovare un tesoro? Cosa li guida nell’impresa? Lo spirito umanitario? Il desiderio di scoperta? Ma nient’affatto, il valore è sempre l’oro, il vile denaro. Inoltre il loro punto di vista è quello del conquistatore che arriva in un’isola che neppure è segnata sulle mappe e pretende di farla da padrone, chiamando “selvaggi e cannibali” gli indigeni.
Quando Jim incontra Ben Gunn per la prima volta e crede che sia un indigeno, pensa subito a una creatura ostile: “Cominciò a tornarmi in mente quel che avevo sentito dire sui cannibali e per un pelo non gridai aiuto. Però il semplice fatto che uomo fosse, sia pur selvaggio, mi aveva fino ad un certo punto rassicurato… cercai di escogitare qualche piano di fuga, ma mentre stavo così riflettendo, il ricordo della mia pistola mi balenò al pensiero” (Stevenson, L’isola del tesoro, Einaudi, 1944, p. 91).
Jim pensa ad un’arma o a fuggire perché percepisce l’indigeno come essere umano selvaggio, non educato secondo le sue leggi e la sua santa religione, quindi altro da sé, un nemico a tutti gli effetti.
Soltanto quando si accorge che Ben Gunn è bianco e cristiano, Jim si tranquillizza veramente: “Ora fui in grado di accorgermi che era bianco tale e quale me, e che aveva perfino lineamenti piacenti. Quel che della pelle si vedeva era bruciato dal sole, e perfino le labbra eran nere, cosìcché i suoi begli occhi chiari apparivano stupefacenti in una faccia così totalmente buia”.
Un colore diverso è percepito da Jim come negativo, perché la mentalità del XIX secolo era di base colonialista e razzista e Stevenson non fa affatto la differenza nel suo romanzo, segue semplicemente la moda della sua epoca. I suoi eroi positivi non precorrono affatto i tempi ma si muovono in piena mentalità ottocentesca.
La valutazione di un testo letterario non può avvenire senza una lettura approfondita e critica, illudendo gli studenti che sia tutto oro colato.
La faciloneria con cui si bollano tanti classici con l’etichetta di capolavori soltanto perché hanno superato la revisione dei critici titolati della loro epoca, è segno che oggi non si legge più o si legge con superficialità, ripetendo i giudizi comuni, le solite fanfarate sulla grandezza di questo e di quell’altro scrittore, senza nemmeno capire cosa scrivano in realtà, leggendo come in trans, sulla base del giudizio altrui, perché influenzati dal fatto che trattasi di libri scritti da autori canonici, suggeriti nei programmi scolastici, anche se i loro testi sono per molti versi superati e per molti altri versi limitati e perfino razzisti. Ora non mancherà chi dirà che ogni libro andrebbe contestualizzato e che non si possa giudicare un testo con il senno di poi, ma io ritengo l’obiezione del tutto ininfluente perché la letteratura dovrebbe avere il compito di andare oltre le convenzioni. Soltanto la grande letteratura resiste infatti all’usura del tempo, il resto è classico alla moda e sembra scritto in un tempo che non ci appartiene più ma viene giudicato, nonostante questo “educativo”, parola che assume un significato molto discutibile per chi ha un grammo di cervello e spirito libero.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    E che dire poi del vomitevole coro : “Quindici uomini! Quindici uomini sulla cassa del morto! Uoooo! Uoooo! Ed un barile di rhum! Inno alla sooraffazione e all’etilismo patrimonio maschio indefettibile! Che schifo!!!

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