“Flussi”, percorsi, l’uomo kafkiano

"Flussi", percorsi, l'uomo kafkiano

“Flussi”, percorsi, l’uomo kafkiano

"Flussi", percorsi, l'uomo kafkiano

Paolo Durando, “Flussi”, copertina.

 

“Flussi”, percorsi, l’uomo kafkiano

(Dalla prefazione)

Mary Blindflowers©

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Flussi di Paolo Durando traduce in versi liberi il percorso dell’uomo kafkiano, diviso, separato dallo sfondo di superficie e talvolta estraneo perfino a se stesso.
Si tratta di un vero e proprio viaggio iniziatico verso la consapevolezza non priva di spunti critici verso una realtà egoistica e sgomitante di fronte alla quale il poeta si pone come osservatore e nello stesso tempo uomo che vive.
Lo sguardo lucido dell’autore si allunga dall’io al fenomeno esterno, in modo che l’intimismo sia ampiamente superato a favore di un “oltre” dalla visuale poliedrica. E proprio questo superamento dell’inanità del sé fine a se stesso, dà forza e vigore all’intera raccolta che dal solipsismo e dalle sensazioni individuali e soggettive, migra efficacemente e con coraggio artistico verso il giusto disincanto e la critica del mondo così com’è, ossia imperfetto, falso, frammentato, anche talvolta ridicolo nelle sue manifestazioni.
Gli argomenti attraverso i quali avviene il percorso spirituale di Flussi, sono vari. Dall’inferno particolare degli ego per cui ciascuno pensa di esser buono e giusto e tutti gli altri cattivi e in torto, si passa ad argomenti di importanza collettiva, alla guerra, per esempio, rispetto alla quale chi narra, avverte l’inesistenza, l’estraneità, il forte desiderio di confondersi con la natura: Se c’è la guerra io vado, mi imbosco… / mi ritiro, mi stropiccio /perché mi avvedo del non vedo… /Se c’è la guerra allora non esisto…/perché nulla conta se per gli altri la terra è fango…
Il tempo è incapace di guarire l’umanità dato che l’idiozia è preda di una “impettita transumanza nelle savane del tempo” e il delirio circolare delle epoche che distruggono e ripristinano “i formicai di cervelli strozzati”, ricorda molto da vicino la filosofia nietzschiana dell’eterno ritorno tra resurrezioni e abissi in cui solo di quando in quando la maschera corrisponde al viso e supera la “folla dello shopping” e il fascino delle etichette che ciascuno afferra inevitabilmente nel suo cammino di vita, vittima di una società edonistica.
Si avverte per tutta la raccolta il legame tra passato e presente risolto in una dissolvenza che tutto annulla per poi ricominciare, ripetendo: nel mondo di ieri si nasceva e moriva,/ come oggi nello stivale del “frittume nazional-peristaltico”, nel Paese delle “promesse mai conchiuse”.
Flussi di vita, dunque, ma per fortuna nostra senza esplicita lezioncina moralistico-populista, tanto cara a certi poeti nostrani. Qui c’è invece un fiume che dalle individuali matrici perinatali, come la coscienza che si supera, arriva a portare creature nelle sue acque, e attraversa mondi, e il buono e il cattivo e una realtà depauperata talvolta di senso, in cui perfino l’amore è un delirio di separatezza, così vediamo anche la pelle, il profilo di chi ammiriamo /acquistare la preziosità/ di un privilegio da onorare,/ una separatezza/.
Il languore non è disgiunto dal male, le glorie sono tutte effimere, i piaceri passeggeri perché il fiume non è solo coscienza, è anche un corpo che comunque si ammala, proiettato dentro il meccanismo oliato e casuale del mondo in cui tutto è movimento, in un panico calderone di anime che ricorda la filosofia di Massimo Scaligero. Il mondo è infatti per Durando una “eruzione ancestrale di manifestante pensiero”.
I riferimenti mitico-religiosi non mancano, segno di una tensione esoterica che si avverte lungo tutta la raccolta in cui l’uomo totale è come prigioniero di un labirinto dei sensi, oltre il quale scopre nient’altro che “nidi di loop” “nell’incauto barbaglio dell’umano”.
In Multiverso, a fine raccolta, si torna infatti al perinatale preannunciato all’inizio con il riferimento a Thule, la caverna-madre, il mondo sotterraneo, e il cerchio si chiude. Non mancano incursioni nel surreale: “feti di ircocervi” in un salire e uno scendere continui, dal “cyberspazio” al “caos dell’ora”, dalle “tasse stellari” fino all’“acqua di ognuno”, in un gioco di saliscendi che universalizza e porta il piccolo uomo che confonde il desktop con le galassie, a ridimensionare notevolmente se stesso in nome di quella che si chiama insignificanza cosmica.
Il poeta indirettamente sembra voler dire al lettore: “occhio che non siamo niente”, siamo polvere che si muove dentro un pianeta a sua volta in eterno caos-movimento.
La spiritualità proposta è scevra dai super-io impositivi delle religioni che qui vengono sostituite da un movimento libero di pensiero. La danza di Shiva, il Padre, il Dio figlio, sono infatti analizzati con scetticismo, sono “gioie al capestro”. I cieli erano sgombri quando si aveva “una genesi senza serpente”, senza “scenografie montate e colluse”.
Lo stile è raffinato, denota una vasta cultura letteraria e filosofica.
Ogni poesia va riletta più volte perché si può trovare sempre qualcosa di nuovo, qualche collegamento, qualche metafora o simbolo che ad una prima lettura può sfuggire, data la poliedricità dei sensi che esprime.
L’abolizione della rima è una precisa scelta stilistica che non grava sulla musicalità dei componimenti. Questi comunque trovano il giusto ritmo nelle parole stesse, scelte con cura certosina, con attenzione ai particolari giocati tra passato e presente in cui si immagina un futuro votato al razionale disincanto.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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