Sull’orlo della psicosi

Sull'orlo della psicosi

Sull’orlo della psicosi

Sull'orlo della psicosi

Il tuttologo, mixed media on canvas pad, by Mary Blindflowers©

 

 

Sull’orlo della psicosi

Mary Blindflowers©

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In Appunti di romanzo, i personaggi di Jerome K. Jerome, hanno le idee molto chiare in fatto di letteratura:

Mio caro Brown, noi scrittori… romanzieri, drammaturghi, poeti… siamo venuti al mondo sotto l’ombra del serpente… corrispondenti speciali dell’esercito del diavolo e riportiamo le sue vittorie sui nostri romanzi… ma non è il letterato solo che traffica in disgrazie. Il dottore, l’avvocato, il predicatore, il proprietario di giornali, il profeta del tempo, difficilmente saluterebbero l’avvento del regno di dio sulla terra… (Jerome, Formiggini 1928, p. 160).

La borghesia si nutre delle disgrazie altrui, ci lavora, ci studia, ci guadagna.

Un messaggio provocatorio e politicamente scorretto quello di Jerome che si spinge anche oltre quando afferma ironicamente:

 

Come sono utili i poveri!… Io non credo che noi imbrattacarte ci faremo mai un concetto preciso di quel che dobbiamo ai poveri. Noi abbiamo bisogno di dimostrare che la fanciulla oltre che buona, è bella. Che facciamo? Le mettiamo al braccio un paniere pieno di polli e di bottiglie di vino… e la mandiamo in giro fra i poveri… Ed essi sono utili nella vita reale quanto nel mondo dei libri… è un gran conforto pensare che noi ci saremo sempre per i poveri. Essi sono la scala con cui si arriva in cielo. (Jerome, p. 66).

 

I poveri sono variopinti, tipici, favoriscono la digestione, rinvigoriscono l’ego del ricco, e soprattutto sono utili a chi ha la pancia piena. È tramite il povero che il ricco sente di essere umano, buono, e se il ricco finge di essere povero, ancor meglio! Ultimo fra gli ultimi e per volontà propria, cosa può esservi di meglio di un Basquiat che dorme su una panchina o di un cantante della ricca borghesia che dice di vivere volontariamente in un rudere senza corrente elettrica? Insomma cosa possiamo voler di più? Non andate forse in sollucchero di fronte a tanta poesia?

Così sui social gli estrapolatori si danno da fare e copincollano uno stralcio di intervista, commentando, commossi, “ultimo tra gli ultimi”:

 

Abbiamo passato 16 anni senza l’energia elettrica, in un rudere riattato e con un generatore di corrente. Il generatore funzionava qualche ora al giorno, alla sera, accendevo le candele; prima di dormire, per leggere, avevo creato sul comodino una specie di cimitero di candele; quando, con l’andare del tempo e la perdita di diottrie, queste candele erano diventate veramente troppe, ho buttato via i libri e ho imparato ad ascoltare la notte, a vedere senza bisogno della luce. Ho incominciato a muovermi attorno a casa con l’aiuto di pezzettini di carta bianchi che fissavo durante il giorno come punti di riferimento. Ora, ci vedo bene di notte quanto di giorno e, cosa ancora più importante per un musicista, ho imparato ad ascoltare la musica della notte, i piccoli rumori. Senza l’elettricità, ho imparato a conoscere più cose di quante ne avrei potute conoscere con la luce, e lì ho incominciato a capire che tutti questi bisogni, queste necessità, potrebbero essere solo la proiezione di bisogni indotti». (Fabrizio De André).

 

Poche righe prima De André precisa: “Un primo passaggio in me è avvenuto intorno al 1976, quando mi sono trovato in perfetto accordo con mia moglie nel costruire un’azienda agricola, così, dal nulla”.

Dal nulla proprio no. De André era ricco di famiglia. Qui siamo al ricco che si vergogna di essere borghese, critica la borghesia e finge di vivere come un povero. La differenza è che un povero non ha scelta. Dal nulla non si costruisce nulla senza una base da cui partire. Il vero povero non vuole affatto perdere diottrie perché costretto a leggere con la luce di una candela. Il vero povero non ama la povertà.

Di fronte alle obiezioni che De André aveva una bella villa con piscina in Sardegna, le reazioni sono forti, nevrotiche, piccate, perché l’eroe rimane sempre intoccabile specie se è diventato un feticcio dei più aggressivi radical chic fanatici del pensiero unico.

Non è nemmeno vero che l’eroe renda migliori, anzi immeschinisce le persone, le rende subdole, false, le spinge a censurare tutto ciò che non è gradito perché non rientra nel programma feticcio e pace.

Le stesse persone che fino al giorno prima, discutendo su Carmelo Bene, avevano ammesso candidamente che il genio non ha doveri di simpatia perché la sua funzione è “disturbare”, quando vengono a loro volta “disturbate” da commenti non allineati di semplici comuni mortali, vanno in crisi e censurano fingendo (e questa è arte del delirio) di essere state censurate per far bella figura con quei quattro gatti che le seguono. Meschinità, povertà mentale, narcisismo, desiderio di costante e ininterrotto protagonismo per vite fittizie che corrono tristemente sull’orlo della psicosi contemporanea. La verità è che viviamo in una società di alienati in cui il feticismo del nome è terribilmente contagioso, diventa religione, intolleranza, sopruso, pretesa di far cambiare idea all’altro per costringerlo nella vasca dei luoghi comuni, dell’osceno riduttivismo da slogan globale in cui tutto ciò che non approva è il male.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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