L’ombelico del mondo, notorietà

L'ombelico del mondo, notorietà

L’ombelico del mondo, notorietà

L'ombelico del mondo, notorietà

La notorietà, disegno su quaderno degli appunti by Mary Blindflowers©

 

L’ombelico del mondo

Angelo Giubileo©

Solo qualche anno fa, Michel Houellebecq, pseudonimo di Michel Thomas, è assurto in qualità di scrittore e romanziere agli onori della ribalta internazionale per le sue posizioni critiche nei riguardi dell’Islam, così come in parte manifestate nell’opera letteraria dal titolo Soumission (Sottomissione) pubblicata nel 2015.

Allora, la notorietà si è diffusa in modo tale che mi spinse a consultare e leggere qualche sua opera, naturalmente tradotta in italiano, partendo da Les Particuleres élémentaires (Le particelle elementari) del 1998. Non mi ha mai appassionato la lettura di romanzi, né di storie che in qualche modo tendono all’estrazione o formulazione di un giudizio o principio cosiddetto di vita; all’uopo, preferisco di gran lunga i saggi. Eppure – nonostante le difficoltà incontrate nella lettura di quell’opera prima, di cui ricordo essenzialmente l’ossessività masturbatoria del protagonista – direi senz’altro che la ricerca dell’Autore era già allora orientata sulla condizione esistenziale, credo anche propria, ma comunque inerente ai suoi personaggi. Condizione incentrata su esperienze di vita vissuta che piuttosto s’impongono, in forza del loro stesso destino, sulla necessità di un principio o giudizio etico o sociale. Gli antichi greci, in proposito, ci direbbero che il destino, ogni destino, è più forte della necessità, ogni necessità.

Ad inizio settimana sono stati pubblicati in Italia una serie di Interventi nuovi dell’Autore, raccolti in un volume dal titolo omonimo edito da La nave di Teseo. Il quotidiano Il giornale, martedì in anteprima, ha pubblicato uno di questi interventi, dal titolo Consolazione tecnica. L’articolo è piuttosto interessante, non solo perché riconducibile all’estro letterario che in qualche modo ha sempre contraddistinto le opere letterarie dello scrittore francese oggi sessantaseienne, ma – a mio parere – soprattutto perché, ancora una volta, dimostra come egli ha e sappia avere a che fare con temi e argomenti che emergono dalla realtà quotidiana ma sono misconosciuti da quasi tutti, e in particolare dai critici e i media comuni.

Michel Thomas, chissà perché sedicente Houellebecq (?!), non ha perduto affatto la sua capacità critica d’interpretare e leggere la realtà soggiacente alle cronache di comune buon senso che ci vengono propinate quotidianamente dal potere imperante delle odierne elites culturali. Ogni suo “intervento” rappresenta pertanto un atto di sfida e di mancata sottomissione contro cotal comune buon senso.

La consolazione tecnica – profetizza Michel – sarà quella di avere, ognuno di coloro che sopravviveranno in futuro, “due o tre copie di se stesso” e, nel contempo, quella, sua personale, ugualmente di “morire”, ma: “senza piacere”. Perché, in fondo, sarebbe questo il difetto dell’intera filosofia occidentale, che “parla di progresso e tace sul dominio dell’istinto”.

Bastano dunque poche parole virgolettate per capire che lui, Michel Houellebecq, non abbia mai perduto quello che il comune buon senso definisce, stupidamente, il (proprio) controllo sulla realtà. Ma quale controllo?! Ma quale realtà?! Non ci accorgiamo che viviamo ignari, ma, comunemente, da falsi e ipocriti.

“… Da adolescente, ancora giovane uomo, parlavo di me, pensavo a me, ero come ricolmo della mia stessa persona; ora non è più così. Mi sono estraniato dai miei pensieri…”. L’Autore racconta così che in lui dominano ormai i “sentimenti” e, più tra tutti, predomina in lui “l’odore della morte. E posso confermarlo: la morte puzza”.

Mi si perdoni l’accostamento, che a molti buonisti immagino possa risultare sgradevole o finanche offensivo: questa “puzza” direi che assomiglia molto all’“odore”, piuttosto francescano, di “sorella morte”. Compagna eterna di un viaggio, che crediamo di volere che non abbia mai fine, e invece si tratta solo di una volontà presunta, idolo o immagine di una realtà o, come la definisce Michel Thomas: “nient’altro che (una memoria) la memoria sempre attiva di un istinto biologico dominante”. Un istinto che gli antichi saggi, come ad esempio Plutarco, chiamavano “impulso”.

E allora, sarebbe piuttosto saggio condividere il pensiero dell’Autore: “La filosofia occidentale è un lento, paziente e crudele dispositivo di ammaestramento volto a convincerci di alcune idee del tutto false. La prima è che dobbiamo rispettare gli altri perché sono differenti da noi”. Salvo poi dire che dobbiamo invece rispettare gli altri perché uguali a noi. La stessa idea di rispetto, espressa in forme diverse, ma nient’altro che un’idea. “La seconda è che abbiamo qualcosa da guadagnare dalla morte”. Un’idea, questa, ancora più assurda e atroce, perché si scontra in maniera fondamentale con l’“istinto biologico dominante”, che è il nostro proprio e comune speciale istinto di vitalità o sopravvivenza.

Suvvia, ammettetelo: secondo il vostro comune buon senso, dove risiede quella volontà che, in ogni istante, permette al nostro cuore e ai nostri polmoni animali di battere e respirare? Illusi di divenire dei, “saremo solo cloni senza più l’ombelico”.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

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