La meritocrazia come spauracchio

La meritocrazia come spauracchio

La meritocrazia come spauracchio

La meritocrazia come spauracchio

L’appoggio di ferro, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

La meritocrazia come spauracchio.

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Il termine meritocrazia, oggi diventato sinonimo di governo dei meritevoli, nasce in realtà in modo controverso. In un curioso saggio a proiezione distopica del 1958, ambientato in Inghilterra e intriso di castronerie previsionali, Michael Young, sbagliando ogni previsione, conia il termine di meritocrazia e lo collega impropriamente al concetto di élite. In pratica immagina che la selezione dei migliori non avvenga più per classe sociale ma per capacità individuali, sulla base dell’intelligenza, per cui alla fine quelli con QI alto costituiscono una casta che sostituisce quella precedente e si allontana dalle esigenze del popolo, causandone la ribellione.

“L’istruzione” in passato, scrive Young, “era ben lungi dall’essere proporzionata al merito: certi fanciulli, la cui capacità avrebbe dovuto garantire loro un sottosegretariato, erano costretti a lasciare la scuola all’età di quindici anni per diventare postini. Dei sottosegretari che portano la posta! É quasi incredibile. Altri fanciulli di scarsa capacità ma di famiglia ricca, sospinti attraverso Eton e Ballion, si ritrovavano alla fine nella maturità a essere alti funzionari nel ministero degli Esteri. Dei postini che consegnano note diplomatiche! Che tragica farsa! L’amministrazione statale, lottando con un problema intrattabile, fece qualcosa per compensare l’ingiustizia della società esterna ampliando le possibilità di ascesa entro i propri ranghi. Soprattutto in tempo di guerra sostituì individui di tarda fioritura provenienti dai gradi inferiori a individui precocemente sfioriti che erano riusciti a superare l’ultimo esame universitario solo per andare a sprofondarsi esausti nel Ministero del Tesoro… I funzionari dell’amministrazione statale venivano scelti secondo la capacità intellettuale… Oggi noi ammettiamo francamente che la democrazia non può essere altro che un’aspirazione, e abbiamo il governo non tanto del popolo, quanto della parte intelligente del popolo; non un’aristocrazia del sangue, non una plutocrazia di ricchi, ma una vera meritocrazia dell’ingegno”.

 

Young ironizza poi sul concetto di meritocrazia e lo fa sprofondare in un irreale ridicolo, tant’è che prosegue dicendo: “oggi ogni membro della meritocrazia ha un QI minimo certificato di 125… nel 2018”…

 

Ovviamente non è successo nulla di tutto questo. Chi comanda non ha un QI alto perché la meritocrazia non è stata mai veramente attuata e le derive elitarie che Young fantasiosamente le attribuisce, sono solo fantasie distopiche.

L’idea che la meritocrazia sia un the andato a male in cui i politici intingono il biscotto del populismo, non soltanto è stantia ma rivela la volontà di mantenere lo status quo e la divisione in classi.

Ancora oggi c’è chi sostiene che la meritocrazia sia un’aberrazione perché imparentata addirittura con il darwinismo sociale. Certo confondere la necessità di dare più possibilità al merito di chi non avrebbe alcuna possibilità a causa dell’incatenamento dentro una classe sociale inferiore, con un movimento fondato su basi colonialiste e eugenetiche, richiede davvero una buona dose di peli sullo stomaco!

Poi c’è chi sostiene invece che il grado di soggettività nel valutare il merito umano sia così alto da invalidare l’anti-sistema meritocratico. Insomma riprodurre almeno in parte, la crudele bontà del talento naturale e dell’intelligenza nella società, valorizzando il merito, sarebbe, a detta di parecchi, una follia esclusivista, perché la meritocrazia creerebbe comunque diseguaglianza sociale, dato che i meno talentuosi non avrebbero possibilità alcuna. Questo è vero perché in un regime meritocratico probabilmente Francesco Sole, Valerie Perrin, Franco Arminio, Federico Moccia e tanti altri, anziché pubblicare con la grossa editoria, andrebbero a raccogliere patate sotto il sole. Il loro non-talento è così evidente che occorrerebbe essere ciechi o totalmente digiuni di letteratura per non accorgersi di quanto sia ridicola la loro ascesa.

La negazione della meritocrazia, vista come incubo dai mediocri, ha creato così una visione deformata in cui la giustizia sociale non può essere associata al merito ma ad una dimensione settaria di amici di amici, di figli di, etc.

Si è creata una società artificiale che aborre il talento naturale a favore di sotterfugi messi in atto da imbecilli con la casacca dello stesso colore che, saliti in alto, in virtù di imbecilli par loro, giudicano e approvano altri imbecilli, in un cerchio chiuso che gira all’infinito, e tutto questo viene chiamato democrazia e cultura. Quella stessa democrazia che costringeva un genio come Leopardi a pubblicarsi da solo addirittura pagando e osannava Monti, il re dei salotti, come un dio; quella democrazia che pubblicava senza alcuna difficoltà Virgilio Brocchi,  ma ha rifiutato Fontamara di Silone, per motivi politici. Buona democrazia dei mediocri, dunque e se sta bene a chi conta, uno due tre… senza saperlo fare, sta bene veramente a tutti!

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Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Democrazia ben poco differente da un principato finto illuminato dove i lecchini alla Virgiliorazio campavano e i Cornelio Gallo sparivano.

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