Eroi? Viva Gregor Samsa!

Eroi? Viva Gregor Samsa!

Eroi? Viva Gregor Samsa!

Eroi? Viva Gregor Samsa!

La corda, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Eroi? Viva Gregor Samsa!

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Non credo negli eroi.
Nemmeno la letteratura dovrebbe crederci più.
Una letteratura fondata sull’eroe che muore vincente e supera tutti gli ostacoli senza pieghe o mutamenti alla sua sostanziale generosa natura di uomo eccezionale, non mi ha mai convinto.
Confesso di preferire le debolezze di Gregor Samsa alla forza trascinante e populista dei vari Superman da salotto, l’etica dell’anti-narrazione alla narrazione mitica, la critica della struttura alla convenzionale lode dei santini da teca, così bellini ma imbalsamati e irreali.
Preferisco un cattivo autentico a un buono posticcio, sempre generoso finché non viene coinvolto direttamente, quel che si dice far bella figura col culo altrui.
Mi piace il protagonista dell’anti-narrato che pur nel surreale rimane inetto, debole incerto, umano e mai super-umano, l’uomo autentico che sa conservare quella ambiguità propria di ogni natura umana in cui predomina realmente la sfumatura e non il colore carico.
Non credo ai santi, nemmeno ai miracoli.
Aristotele (Poetica 2, 1-5) traccia una distinzione tra tragedia e commedia. La prima dovrebbe mettere in scena persone migliori di quelle reali, “mimesi di soggetti eroici”, la seconda dovrebbe mettere in scena persone più volgari dell’ordinario, per cercare il ridicolo, la maschera comica, l’eccesso satirico.
Questa distinzione classica così netta e tranciante, ormai è superata, forse perché è definitivamente tramontata l’epoca degli eroi, anche se molti non lo hanno ancora capito.
Un personaggio riuscito, dice György Lukács, è quello che rappresenta il proprio tempo, quello che vive i conflitti e ce li mostra (La fisionomia intellettuale dei personaggi artistici, 1939).
I social sono fermi al mondo classico, si cerca l’eroe a tutti i costi, lo si incoraggia a dare il sacrificio tremendo di se stesso, per un popolino avido di sangue che spinge i suoi beniamini nelle fauci del leone.
L’eroe è un balsamo per le masse, un calmante sociale, uno sfogatoio generale e una manna per i giornalisti. Attraverso l’eroe il giornalista distrae il cittadino comune dai veri problemi.
Se si uccide barbaramente un uomo nel centro di una città e di giorno, la colpa non è mai di un sistema che non funziona, di una sicurezza che non c’è, di uno Stato totalmente assente, bensì del cittadino medio che, di fronte a una rissa di strada, non vuole e non può fare l’eroe. Così i giornali si fanno le domande giuste (per il sistema) al momento giusto e tuonano contro l’indifferenza dei nostri tempi in cui un uomo viene ucciso e nessuno fa niente, non si interviene fisicamente per mettere a posto l’energumeno. Insomma spetterebbe al cittadino fare l’eroe.
La finta indignazione dei giornalai che invece di puntare il dito contro l’assenza dello Stato, colpevolizzano il cittadino, l’uomo che passa, si trasferisce nei social, a macchia d’olio. Così dopo l’omicidio di Civitanova Marche, una specie di demenza collettiva sembra essersi impadronita dei commentatori. Uomini attempatelli che la mattina fanno fatica a cogliere il buco per infilarsi le mutande o donne che non pesano cinquanta chili in tutto, che se soffi su di loro, cadono per terra; vecchiette con la sciatica e nonnini con la dentiera, ancora attaccati al respiratore, diventano eroi virtuali: “Ah se ci fossi stato io… vergogna, cosa stiamo diventando”.
Secondo questi coraggiosi filosofi è facile mettersi in mezzo per sedare una rissa.
Peccato che la realtà sia ben diversa da una seduta di indignazione fittizia su un social.
Se non si hanno i mezzi fisici per contrastare un aggressore, si rischia e pure grosso, basta una spinta, battere la testa, ed è finita.
Demandare al cittadino medio il compito di diventare il giustiziere del giorno e della notte, l’eroe per caso, attiene ad una logica del guardare il dito e non vedere il cielo.
A chi spetta garantire la sicurezza nelle nostre città?
Addirittura c’è chi parla di “omissione di soccorso” senza realmente sapere nulla di come si siano svolti i fatti, dato che i video e le notizie sui giornali, mostrano solo uno spicchio di realtà. Si invoca una megarissa salvatrice, per rispolverare la figura di quell’eroe di cui il popolino che ragiona coi visceri e non con la testa, ha costantemente bisogno.
Si colpevolizza la compagna dell’aggressore perché non si è presa coraggiosamente qualche colpo pure lei nel tentativo di fermarlo, e il signor Rossi e Trik e Trak che passano e che in pochi minuti, avrebbero dovuto tirare l’aggressore o colpirlo con un corpo contundente o la ciabatta della nonna. Si arriva al delirio, la folla sempre un poco bestia, si gasa, come quei vecchietti che raccontano ai nipoti le mirabolanti quanto fantasiose imprese di quando erano giovani.
C’è gente con i muscoli di Fantozzi che afferma con certezza che se non si interviene fisicamente si è vili e subumani. Il dito va puntato in basso, mai in alto, se no il potere si offende. Il colpevole è il cittadino subumano, cattivo, indifferente e di cui non si sa nulla, mai lo Stato, mai il sistema. L’anti-eroe è il capro. Deve espiare i peccati del mondo, come Cristo. Se non si fa crocifiggere è colpevole.
Il cittadino dunque si autosputa, si autoannulla nella dinamica moraleggiante del “non si è fatto nulla”. Le tastiere fremono assieme alle dentiere dei boomer da social, improvvisati cecchini, valorosi guerrieri che a stento riescono a speteggiare senza sporcarsi il pannolone mentre si autopuniscono in una dinamica illusoria ma liberatoria che li fa sentire colpevoli e alimenta nello stesso tempo l’idea che invece loro sarebbero stati eroi, mica come quelli che stavano là, i cattivi. L’etica dei giornalai che servono un sistema che fa acqua da tutte le parti, innesca la reazione a catena di montaggio. I commenti diventano tutti uguali, stancanti. Tutti sono eroi. Tutti tranne chi c’era realmente, ovvio. Quelli sono il bersaglio sostitutivo dello Stato, perché sono persone reali mentre lo Stato cos’è? Un’entità astratta, incomprensibile ai più e i cui meccanismi sono difficili da capire. E gli stessi che il giorno prima hanno applaudito alla notizia dell’aggressione vera o presunta che sia, di Young Signorino alla Stazione di Napoli, dicendo che picchiare uno tatuato sarebbe cosa buona e giusta per insegnargli a vivere secondo la loro etica borghese di cattobigotti, gridano poi all’eroe quando scappa il morto. C’è decisamente qualcosa che non torna. L’interventismo in guerra, nei conflitti privati, insomma un poco dappertutto, le tifoserie, lo sfogatoio per cui la violenza si debba placare con altra violenza, il bersaglio più o meno noto contro cui accanirsi o tessere apologie, a seconda dell’umore del momento,  ebbene, tutto questo minestrone è diventato il nuovo confuso Vangelo. Se non segui questo delirio collettivo di stampo demenziale, sei un anti-eroe, un cattivo, oppure un nerd, un Samsa scarafaggio qualsiasi, un indifferente.
Lo Stato non riesce a garantire la sicurezza e il colpevole è il cittadino. Un ragionamento del tutto surreale che nasconde il fatto che viviamo dentro un meccanismo che non funziona e che pretende dall’uomo della strada di fare quello che dovrebbe fare lo Stato.
E il cittadino ci casca, perché l’eroe che muore giovane e bello, prettamente funzionale al potere, non schioppa mai nell’immaginario collettivo alimentato dai media, loro sì subumani, sottomessi, venduti e monopolizzanti.

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