Andrea Zanzotto, paesaggio inerte

Andrea Zanzotto, paesaggio inerte

Andrea Zanzotto, paesaggio inerte

Andrea Zanzotto, paesaggio inerte

L’albero, credit Mary Blindflowers©

 

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Andrea Zanzotto, paesaggio inerte

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Noi siamo convinti che molti autori del presente e del passato, si reggano su un artificio bluffatorio. Rileggendo anche autori noti, ci rendiamo conto che basano la loro fama sul nome più che sul testo.
Andrea Zanzotto, nato a Pieve di Soligo nel 1921 e morto nel 2011 a Conegliano, è un autore che oggi nessuno legge più, però viene definito poeta tra i più significativi della seconda metà del Novecento.
Zanzotto ha pubblicato la sua prima raccolta “Dietro il paesaggio” con Mondadori nel lontano 1951, e ancora oggi, in un mondo in cui si continua a ripetere che prima si pubblicava solo roba di spessore, non riusciamo a capire perché un grosso editore si sia preso l’onere di pubblicarlo, mentre la critica che lo assimilava all’ermetismo, sviolinava aggettivi e descrizioni, scoprendovi segrete risonanze.

 

Perché siamo

Perché siamo al di qua delle Alpi
su questa piccola balza
perché siamo cresciuti tra l’erba di novembre
ci scalda il sole sulla porta
mamma e figlio sulla porta
noi con gli occhi che il gelo ha consacrati
a vedere tanta luce ed erba

Nelle mattine, se è vero
di tre montagne trasparenti
mi risveglia la neve;
nelle mattine c’è l’orto
che sta in una mano
e non produce che conchiglie,
c’è la cantina delle formiche
c’è il radicchio, diletta risorsa
profusa alle mie dita
a un vento che non osa disturbarci

Ha sapore di brina
la mela che mi diverte,
nel granaio s’adagia un raggio amico
ed il vecchio giornale di polvere pura;
e tutto il silenzio di musco
che noi perdiamo nelle valli
rende lento lo stesso cammino
lo stesso attutirsi del sole
che si coglie a guardarci
che ci coglie su tutte le porte

O mamma, piccolo è il tuo tempo,
tu mi vi porti perch’io mi consoli
e là v’è l’erba di novembre,
là v’è la franca salute dell’acqua,
sani come acqua vi siamo noi;
senza azzurra sostanza
vi degradano tutte le sieste
cui mi confondo e che sempre più vanno
comunicando con la notte

Né attingere al pozzo né alle alpi
né ricordare come tu non ricordi:
ma il sol che splende come cosa nostra,
ma sete e fame all’ora giusta
e tu mamma che tutto
sai di me, che tutto hai tra le mani

Con la scorta di te e dell’erba
e di quella lampada precaria
di cui distinguo la fine,
sogno talvolta del mondo e guardo
dall’alto l’inverno del nord.

(Dietro il paesaggio)

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Anche se non siamo giovanissimi, possiamo affermare che questo tipo di prosa aritmica che gioca sull’onda di un paesaggio eterno protagonista sentimentalizzato, ci annoia mortalmente, perché di base dice senza dir nulla e non apporta nessuna innovazione stilistica al modo di scrivere tipicamente novecentesco.
Uomini consacrati dal gelo tra luce ed erba, un mammismo che percorre la lirica dall’alto in basso, la retorichetta della mamma infatti ci informa che la donna sa tutto del figlio, poi la nostalgia per l’inverno del nord, le sfinenti descrizioni del muschio, del percorso da fare, delle montagne trasparenti, il canto delle formiche e il radicchio, le sensazioni gustative legate ai frutti, etc. Tutto un paesaggio descritto con funzione elencativo-emozionale, procede piatta, innocua. Leggere Zanzotto è come bere un bicchier d’acqua senza avere sete, semplicemente non si sente alcun sapore.

 

Ma vediamo la poesia che ha dato il titolo alla prima raccolta del poeta:

 

Dietro il paesaggio
da “Dietro il paesaggio”

 

Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell’Austria.

Hanno fatto l’aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sulla soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.

 

Che livello di emotività riesca a destare questa continua ed asfittica ricerca del quadretto idillico montano non riusciamo a capire, così come non comprendiamo che sorta di quadro ermetico possa contenere Zanzotto nel quale tutto è trasparentemente inerme ed inerte. Ci pare scarso anche il livello stilistico: in due poesie abbiamo rilevato solo una figura retorica interessante, il bisticcio di tenebre tenere, il resto pare piatta normalità compreso il ricorso frequente alla anafora, la figura retorica dei nequam, e una blanda assonanza (tardi e scarsi).
Anche qui descrizioni naturalistiche e stati d’animo intrecciati. Niente ritmo, tutta prosa che va a capo. Il sole di Zanzotto non scalda, per questo forse ha i brividi.
I meli nudi, i ciliegi, l’aria fresca, il coniglio di pelo, il piccolo albero triste che dovrebbe essere metafora della tristezza umana… il problema è che si descrive e basta, e si innesta l’emotività nella descrizione e lo si fa per tutta la raccolta, senza comunicare che una sorta di primitivismo emozionale che francamente, definire grande poesia, è troppo!
Solo chi non legge non si accorge che buona parte della fama di tanti autori arcinoti e celebrati si fonda su una truffa, complice la critica accademica e la politica che vede in alcuni intellettuali profondità elevatissime mai realmente raggiunte.

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