Cambiare l’acqua ai fiori?

Cambiare l'acqua ai fiori?

Cambiare l’acqua ai fiori?

Cambiare l'acqua ai fiori?

L’agnello al pascolo basso, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Cambiare l’acqua ai fiori?

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Valerie Perrin, classe 1967 è una a cui piace Changer l’eau des fleurs, romanzo super-pubblicizzato in ogni angolo. Si tratta di un libro composto di periodi brevi e semplici, accessibili al grande pubblico per cui è stato appositamente scritto. Inizia con una sorta di elenco del telefono che scimmiotta il linguaggio del pettegolezzo, salvo poi stendere un occhio informativo pseudo-filosofico sulla particolare condizione del “criticato”. Un elenchino di cose ovvie:

 

I miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse né rumore, non hanno l’assistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità…

 

L’autrice continua in modo tristemente elencativo, come se stesse facendo gossip, in modo da creare fin da subito un legame di familiare complicità con il lettore medio-basso, illudendolo di fargli una confidenza pettegola, un po’ come fanno i giornali scandalistici, per poi dire che i vicini di cui parla, sono in realtà morti e che lei è la guardiana del cimitero, che è stata molto infelice, spappagalleggiando il déjà-dit chérie che l’anima pesa 21 grammi! Che originalità! Poi ci racconta come è nata, che si è sposata, che le chiedono se ha fatto danza classica ma lei risponde di no, che è stata licenziata dal suo vecchio lavoro e per questo è diventata guardiana di cimitero. Una serie di informazioni pressocché inutili che potevano essere rese in tre righe.
Lo stile di scrittura è scorrevole ma totalmente piatto, in alcuni punti esteticamente e letterariamente molto discutibile, sempre comunque reiteratamente elencativo:

 

Ho insistito, ho detto che diventando guardiani di cimitero avremmo avuto uno stipendio ciascuno, molto migliore di quello che prendevamo al passaggio al livello, che i morti rendono più dei treni, che avremmo avuto anche la casa e niente spese, che sarebbe stato un cambiamento in meglio rispetto alla casa in cui abitavamo da anni… che avremmo messo tende alle finestre per non vedere i vicini…

 

Dopo l’elenchino eccola tuffarsi in una filosofia da quattro soldi spicci e populisti:

 

Avrei potuto dirgli la verità, dirgli che le tende sarebbero state la mia frontiera tra la mia tristezza e quella degli altri…

 

Qui siamo ben lontani dalla polvere delle tende della Evelyn di Joyce in Gente di Dublino, che riesce, attraverso la dimensione statica dell’oggetto, in opposizione alla dinamicità del movimento esterno, a dare al lettore la misura dell’alienazione umana e della libertà incatenata nel tentativo di movimento risolto nella stasi, raggiungendo esiti universalizzanti che possiamo ritrovare in tutta la letteratura modernista di spessore. Qui siamo al nulla fritto, al passerottino tisico che tenta un voletto e finisce con lo sguazzare bellamente nello stagno del marketing uso pio pollo che pensa di leggersi Apollo.

Poi la Perrin, senza variazioni di stile, passa a parlarci di automatismi quotidiani, degli orari del cimitero, presenta altri personaggi sempre in verve elenco telefonico e ci dà notazioni brevi sui defunti. Ripropone leggende ritrite sui fantasmi che darebbero fastidio ai vivi. Descrive i vialetti del cimitero, dice che la morte non fa distinzione tra buoni e cattivi (che profondità contenutistica! Davvero avevamo necessità che ce lo dicesse lei!) In poche parole intrattiene il lettore pagine e pagine per non dire assolutamente nulla che valga la pena di leggere perché quello che dice è un miscuglio tra banalità populiste in descrizioni terra terra e filosofia da spiaggia per lettori sempliciotti che possono in parte identificarsi empaticamente con il personaggio femminile, eterno carattere di superficie, incapace di rompere il guscio di una protettiva banalità.
Un libro facile facile da leggere, che, purtroppo, dice esattamente quello che dice e niente più. Non ci sono metafore che tradiscano quella profondità necessaria ad ogni buona scrittura che si rispetti e che inducano il lettore a riflettere.
Il libro, al contrario, è strutturato come certi programmi televisivi, scorre in fretta per non dar tempo al lettore di pensare.

Il problema di queste operazioni commerciali non è il libro in sé e il fatto che un prodotto così scadente venda, ma che qualcuno si illuda di leggere in queste 4 notarelle banali, un romanzo degno di questo nome e si offende pure se lo si definisce “roba da polli”. Purtroppo però non è nient’altro che questo dal punto di vista letterario.
Lo stile è assolutamente ordinario, senza impennate creative né alcun tipo di sperimentazione o indagine linguistica, con periodi brevi e fulminanti che anche chi non è abituato a leggere, capisce. Fastidiosissime inoltre quelle frasettine all’inizio di ogni paragrafo che sembrano il periodare melenso dei cioccolatini:

 

Mancherà sempre qualcuno per far sorridere la mia vita: tu; Che il tuo riposo sia sereno come il tuo cuore fu buono; parlare di te significa farti esistere, non dire niente sarebbe dimenticarti…

 

Il tutto si risolve in una grossa operazione di marketing ben lontana dal fare letteratura e che non vale nemmeno i soldi spesi per la carta.
Un romanzo usa e getta, fermo come uno stagno, che potrebbe anche intitolarsi Come cambiare la carta in bagno. Pessimo sotto ogni punto di vista, contenutistico e stilistico.

 

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