Leopardi, Botta, premi letterari

Leopardi, Botta, premi letterari

Leopardi, Botta, premi letterari

Leopardi, Botta, premi letterari

Il concorsone, mixed media on paper by Mary Blindflowers©

 

 

Mary Blindflowers©

Leopardi, Botta, premi letterari

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Concorsi e premi letterari sono veramente utili per capire il livello qualitativo di un’opera?
C’è da dubitarne fortemente.
Opere davvero insignificanti e poesie decisamente sottotono, vengono continuamente premiate nei concorsini del pero e del melo, delle poesie riciclate e delle feste comandate addobbate di riconoscimenti della caciotta e del prosciutto, cotto pure piuttosto male con poco sale e ingegno pari a zero.

Eppure… il fascino del premio resiste.

Nei premi piccolini, un po’ per incompetenza dei valutatori chiamati pomposamente “giudici”, un po’ perché si premia sempre il fratello del cugino del vicino di casa della sorella dell’organizzatore, si resta di stucco di fronte all’insipienza di certi premiati che vantano pure il titolo di “poeti” da esibire negli apericena e nei social, ovviamente. Nei concorsoni nemmeno mancano le mostruosità. Si premia in genere lo scrittore che deve vincere quell’anno perché così ha deciso l’accordo opportunistico-economico tra editori, cronaca annunciata in una sorta di operazione tuono vince il presumibile e discutibile “più buono” che non infrange né il muro del suono né alcunché. Insomma assistiamo a un peto classista nepotista e degli amici degli amici, chiamato concorso importante, basato su logiche ampiamente discriminatorie in cui viene premiato spesso il signor Qualcuno che non sempre è letterariamente degno di questo nome.
Ma il fenomeno riguarda soltanto tempi recenti oppure anche il passato?
La seconda opzione è quella che vale.
Chi era, per esempio, Carlo Botta? Il famosissimo Botta!
Sì, ma chi è? Botta e non risposta era uno storico alla sua epoca valutato un signor Qualcuno, oggi diventato signor Nessuno, perché in pratica chi legge più i suoi polpettoni? Costui venne premiato all’Accademia della Crusca per la sua Storia d’Italia dal 1789 al 1814, e preferito alla prosa filosofica di Giacomo Leopardi che era troppo avanti per la sua epoca. Così il recanatese poté tranquillamente continuare a scrivere che fare letteratura equivale in sintesi a morir di fame e che se egli non morì di fame è semplicemente perché era nobile e poteva chiedere l’aiuto del padre, questua che faceva tra l’altro, anche piuttosto malvolentieri e soltanto quando era spinto dall’estremo disagio economico:

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Ora sono a parlare di un argomento insolito, del quale se mi è molto dispiacevole il ragionare, non mi sarà dispiacevole punto che il mio discorso non abbia verun effetto. Io credo ch’ella sia persuasa degli estremi sforzi ch’io ho fatti per sette anni affine di procurarmi i mezzi di sussistere da me stesso. Ella sa che l’ultima distruzione della mia salute venne dalle fatiche sostenute quattro anni fa, per lo Stella. Al detto fine. Ridotto a non poter più né leggere né scrivere né pensare (e per più di un anno neanche parlare), non mi perdetti di coraggio, e quantunque non potessi più fare, pur solamente col già fatto, accettandomi gli amici, tentai di continuare a trovar qualche mezzo. E forse l’avrei trovato parte in Italia, parte fuori, se l’infelicità straordinaria de’ tempi non fosse venuta a congiurare colle altre difficoltà, ed a renderle finalmente vincitrici. La letteratura è annientata in Europa; i librai chi ha fallito, chi per fallire, chi ridotto a un solo torchio, chi costretto ad abbandonare le imprese meglio avviate. In Italia sarebbe ridicolo ora il presumere di vender nulla con onore in materie letterarie, e di proporre ai librai delle imprese nuove… mi trovo dunque, com’ella può ben pensare, senza i mezzi per andare innanzi… Iddio mi è testimonio che non le avrei mai fatto questo discorso… Non so se le circostanze della famiglia permetteranno a lei di farmi un piccolo assegnamento di dodici scudi al mese… (Lettera di Giacomo Leopardi al padre, da Firenze, 3 luglio 1832).

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Ancora oggi nell’assegnazione dei premi prevalgono logiche ottocentesche. Tra l’altro la storia insegna che valenti scrittori non hanno mai ricevuto premi di nessun genere, mentre altri pluripremiati sono stati dimenticati e ricoperti di polvere.
I libri più importanti di una generazione non prendono premi, questo diceva Pavese, uno scrittore tanto illeggibile quanto osannato, che di premi invece ne ha vinti. Probabilmente almeno in questo aveva ragione.

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