Leopardi, estrapolazione, plagio, salotto

Leopardi plagiario? Favole da salotto

Leopardi, estrapolazione, plagio, salotto

Leopardi plagiario? Favole da salotto

Lumache morte, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Leopardi, estrapolazione, plagio, salotto

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Le estrapolazioni di parti di un testo, a fini dimostrativi di una tesi, sono utilissime se viene rigorosamente indicata la fonte, in caso contrario si può prestare il fianco ad un atto manipolatorio quanto dilettantistico.
Un esempio pratico.
In data 16 agosto 1826, da Bologna, Giacomo Leopardi scrisse una lettera alla sorella Paolina in cui testuale, diceva: “Che meraviglia che i Francesi parlino di me a Sinigaglia? Non sai tu ch’io sono un grand’uomo, che in Bologna sono andato come in trionfo, che donne e uomini fanno a gara per vedermi?”
Queste espressioni potrebbero sembrare le parole di un animo superbo. Però subito dopo Leopardi aggiunge: “Fuor di burla, io spasimo di trovarmi di nuovo tra voi”.
Leopardi in queste frasi unisce il suo sentimento antifrancese con una profonda autoironia.
Il citazionista disonesto estrapola quel che gli fa comodo, omette e non cita mai la fonte, in modo che chi legge non possa controllare e verificare se quel che dice sia vero o falso. Inoltre non indaga sul vero significato delle parole, estirpandole completamente dal contesto, tagliandole e adattandole alla sua personale visione del mondo non sempre edificante.
La moda del citazionismo senza fonti è molto in voga sui social, nei blog e nella carta stampata, dove l’approfondimento, la verifica e la serietà nella consultazione delle fonti, vengono continuamente svilite da condivisioni di contenuti fasulli, estrapolazioni tendenziose e parziali e, nel peggiore dei casi, affermazioni non verificate.
Così Leopardi diventa superbo, gli asini cominciano a volare e la gente, sentendosi ripetere queste favole, finisce pure col crederci, perché ormai i classici vengono più citati che letti.
La nuova moda dunque è dedurre da frasi monche e decontestualizzate, il significato di una vita e di una sensibilità, piuttosto che leggere il testo originale e accertarsi se le affermazioni di Pinko Palla, pupillo dell’editor di turno e del salotto damascato più in del momento, corrispondano realmente al vero.
Nessuno ha più voglia di leggere se non testi di spessore culturale pari a zero, e questo fatto, gravissimo, viene minimizzato dai buonisti con frasi del tipo, è giusto che ognuno legga ciò che vuole, anche libri scadenti, che male fanno?
È questo il punto.
Non è affatto vero che i libri scadenti non procurino danni. Formano le persone all’inutilità, all’innocuità e, le disabituano alla vera lettura.
Così il lettore sommerso da libri superficiali e innocui, non riesce più a fare lo sforzo cognitivo di leggersi un classico e si affida incondizionatamente a chi, a suo parere, dovrebbe saperne più di lui, a chi cita senza fonte, perché lo scrittorucolo arrivato è come l’uomo che non deve chiedere mai di una nota pubblicità del passato, non ha bisogno di verifiche e spara in rete e sui giornali le sue fittizie verità. Siccome ha un suo seguito, perché magari a sua volta fa parte della scuderia di un editor importante, la gente gli crede. Così si diffonde una sorta di pseudo-storia in cui nessuno legge, né lo scrittore che cita senza fonte, né i suoi seguaci. Chi legge veramente il testo originale, non contentandosi di facili soluzioni offerte da altri, viene pure scambiato per un matto.
Così gli autori scomodi come Leopardi che criticò sempre la falsa erudizione dei salotti romani e milanesi, ancora oggi vengono bistrattati da coloro che, per nascita, formazione e metodi con cui arrivano al successo, si sentono lontani da quest’autore, dunque in dovere di denigrarlo costantemente.
Ma lo hanno mai veramente letto?
C’è da dubitarne, dato che estrapolano a casaccio, omettendo parti essenziali ai fini della comprensione del testo, si concentrano più sul gossip che sulla sostanza, descrivendone vizi, golosità e inclinazioni personali, come comari al lavatoio.
L’ultimo grido della pseudo-saggistica è dare a Leopardi del plagiario.
Secondo Sciffo, il passero solitario sarebbe un plagio da certe poesie mistiche e in particolare da un sonetto intitolato Passero solitario di Giuseppe Girolamo Semenzi.
Il sonetto è questo:

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Dove a se stesso fa caro divieto
Dal Volgo alato in dolce Romitaggio,
Mostra l’augel con grato esempio, e saggio,
Ch’el viver da solingo è viver lieto

Canta a se stesso e al bosco ombroso e cheto,
Or contento del pino ed or del Faggio,
E par che dica in sui gentil linguaggio,
M’è pur di quell’orror vago il segreto.

Sto poetando al ciel ne l’erma cella,
Talora e far godo la vita anch’io,
Selvaggia quanto più, tanto più bella

Passero solitario è detto il Pio,
gloria però del Solitario è quella,
onde un Bruto non è ma quasi un dio

(Il mondo creato diviso nelle sette giornate, poesie mistiche del P. D., Giuseppe Girolamo Semenzi, Professore di sacra teologia nella Regia Università di Pavia, nella stampa di Carlo Antonio Malatesta, 1686 p. 274).

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Ora veniamo a Leopardi:

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D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell’aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

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L’unico elemento in comune è la presenza di un passero solitario che canta, diversissimo lo stile che colloca Leopardi oltre il suo tempo, già nella poesia moderna, diversa la tematica e i sentimenti. La comparazione tra la metafora del passero e la condizione umana è gestita secondo livelli ben diversi in Leopardi rispetto al sonetto di Semenzi, in cui l’accostamento non genera nessun tipo di pessimismo, anzi, semmai il contrario: “Ch’el viver da solingo è viver lieto”. Il passero leopardiano ha una indifferenza cosmica sconosciuta all’uccelletto del Semenzi, tant’è che il recanatese canta: “Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi”. Nel Semenzi dov’è il tema tutto umano della gioventù che muore? Il motivo filosofico della caducità del mondo e dell’illusione? Dove la filosofia della natura che è invece ampiamente presente in Leopardi? Dove il raffronto tra la solitudine del poeta e l’allegria della gioventù?
Chi parla di plagio, ignora totalmente che in letteratura esiste il topos, ossia un motivo tradizionale fisso che può venire elaborato creativamente dai vari autori. Per esempio, il topos della campagna, presente nelle Bucoliche e nelle Georgiche, lo ritroviamo dappertutto, nel Tasso, in Paolo Rolli, in Giacomo Leopardi, in D’Annunzio, e dunque? Questo è sufficiente per parlare di plagio? Gli uccelli sono un topos letterario diffusissimo fin dalla letteratura antica e i paragoni tra il poeta e gli uccelli sono presenti ovunque, ma ciascuno li elabora diversamente. Lo stesso Cardarelli cantava: “Non so dove i gabbiani abbiano il nido,/ ove trovino pace./ Io son come loro,/ in perpetuo volo” che ricorda “per lo libero ciel fan mille giri” e l’accostamento degli uccelli al poeta, usato anche da Leopardi. E quindi possiamo dunque dire che Cardarelli abbia copiato Leopardi? Cerchiamo di non essere ridicoli!
Il tema del passero, tra l’altro è presente in Catullo e in Saffo, poetessa a cui Leopardi si è anche ispirato ne L’ultimo canto di Saffo: “Placida notte, e verecondo raggio/ della cadente luna…”
Sempre secondo Sciffo anche l’Infinito sarebbe copiato. Da chi? Dal signor Francesco de Lemene e in particolare da questa poesia:

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… Riempie il tutto, e se fingendo io penso
Oltre al confin de vasti spazi e veri,
Deserti imaginati e spazi novi,
Ivi, col mio pensiero o Dio, ti trovi,
Stendendo ancor non limitati imperi.
Oltre (se dir si puote) oltre all’immenso.
Tutti i luoghi riempi,
occupi tutti i tempi.
Con quell’immoto istante ignoto al senso.
Eterno regni, anzi regnar ti scerno.
Oltre (se dir si puote), oltre all’Eterno.

(Dio, sonetti et Hinni consagrati al vicedio Innocenzo Undecimo, Pontefice Ottimo Massimo da Francesco de Lemene, in Parma, Per gli eredi di Paolo Monti, 1726, p. 53).

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Passiamo a Leopardi:

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

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Sulla base di che cosa si possa parlare di plagio, io non so. Perché entrambi i testi con finalità molto diverse, parlano di spazi e immensità? Un po’ debole come appiglio. Il plagio è perfetta aderenza di contenuti e mi sembra che qua non ci siamo. Dov’è la siepe che segna realisticamente e dolorosamente lo spazio? E dove sono lo smarrimento dell’uomo di fronte all’immensità della natura, il senso di morte e di decadenza anticipatrice del nichilismo, nella poesia di Lemene? Lemene cerca Dio ovunque, “tutti i luoghi riempi, occupi tutti i tempi”, e crede nella potenza di Dio: “eterno regni”. Leopardi segna il crollo totale delle illusioni umane, anticipando le ansie novecentesche.
Per parlare di plagio occorre essere folli o ciechi oppure…
Oppure molto semplicemente Leopardi era scomodo e continua ad esserlo per molti che ancora non digeriscono le sue parole contro l’ipocrisia dei letterati milanesi e romani i cui discendenti e ideali eredi, non sanno più cosa inventarsi per screditarlo. È questa talvolta la sorte dei grandi, dare fastidio ai mediocri.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Rivista Destrutturalismo

Video – The Black Star of Mu

Christ was a female

 

Comments (8)

  1. andrea g. sciffo

    La ringrazio per la doppia citazione delle mie tesi: estrapolate, decontestualizzate, destrutturate (of course) ma almeno senza plagio.

    “Intercedo per tutti i mediocri del mondo…” dice Antonio Salieri nella scena finale del film AMADEUS:
    “Io ne sono il campione e il santo patrono! Mediocri, ovunque voi siate: io vi assolvo, io vi assolvo tutti…”

    sciffo

    1. Destrutturalismo

      Interceda per se stesso allora, e prego. Mary Blindflowers.

  2. Mariano

    Ma al prof. Sciffo Chi dà la sicurezza di non essere lui tra i mediocri? Se la canta e se la suona da solo? Brutta bestia la superbia!!!

  3. Salvatore

    Veramente, Mariano, il commento del prof Sciffo diceva il contrario, basterebbe un po’ di ironia per capire quanta poca superbia.
    Invece non trovo citazioni alle posizioni che si attaccano, posso chiedeLe Blindflowers qualche rinvio – non ha citato fonti – così da poter leggere le posizioni che critica di cui sono ignaro?
    Grazie,

    white

    Ps. Non trovo connessioni tra l’introduzione dell’articolo e la questione del Leopardi plagista, che mi pare possa essere motivo di dialogo a sè stante dalle considerazioni iniziali. Anche qui, se può entrare nel merito Le sarei grato, e mi scuso in anticipo per la mancanza di cogliere nessi forse evidenti nei suoi pareri personali.

    1. Destrutturalismo

      Caro Salvatore, ma veramente fa fatica a capire la superbia di Sciffo? Che non sa nemmeno scrivere il suo nome, tanto che lo mette con le iniziali piccole (freudiana questa). Eppure ha citato Salieri, insomma, mi ha tacciato di mediocrità, senza se e senza ma, e per cosa? Per aver osato dire che Leopardi, a differenza di quanto egli sostiene, non è affatto uno che plagia testi altrui. Un po’ scarsa come confutazione, non trova?Invece di entrare nel merito del testo, dice, sei mediocre, ma io ti perdono, e non lo dice nemmeno con parole sue, ma secondo la moda accademica, ha bisogno di citare. E poi non mi dica, non coglie il nesso del discorso sul plagio con la parte introduttiva? Eppure è ben chiara intro sulle capacità manipolatorie di mostrare bianco il nero e nero il bianco, e di affermare cose che non si possono provare se si ha l’accortezza di leggere bene i testi in oggetto. Cordialità, Mary.

    2. Mariano Grossi

      Caro White,
      da dove dovrei capire che il Prof.. SCIFFO ironizza e non fa sul serio assolvendo i mediocri.
      Le sarei grato se gentilmente me lo spiegasse.
      L’articolo della Blindflowers a me pare articolatissimo e consequenziale nelle conclusioni. Confondere topoi e plagio mi sembra una forzatura evidente.

    3. Destrutturalismo

      E per inciso, caro White, questo articolo non è costruito secondo i vostri criteri accademici che conosco alla perfezione, parte iniziale, centrale e conclusione finale, forse per questo non coglie il nesso perché al di fuori dello schemino imposto dai vostri criteri di scrittura universitaria che esordisce sempre con il dimostrerò in questo articolo, per poi non dimostrare spesso e volentieri un fico secco…, non sapete andare. E non ho nemmeno citato fonti autorevoli a mio sostegno come fate voi che vi citate compulsivamente l’uno con l’altro purché della stessa corrente politica, perché sono perfettamente in grado di leggere da sola due poesie per capire se sono copiate. Questo è un blog non un’aula Magna di Università, è destinato ad un pubblico di semplici lettori, perciò non ho voluto seguire schemi di sorta che renderebbero tutto molto noioso. Buona giornata. Mary.

  4. Pasquale Lenge

    Il commento del Dotto, rifugiandosi tra il lapidario e sentenzioso, non tenta nemmeno di nascondere la polvere sotto il tappeto.
    Se da una flessione di un legno si può creare un arco, senza la grazia del dialogo, resta un pezzo di legno piegato.
    Senza budello alle estremità unite
    nessuna freccia nell’orizzonte.
    Pas.

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