Lombroso, Manzoni, nepotismo, raccomandazione

Lombroso, Manzoni, nepotismo, raccomandazione

Lombroso, Manzoni, nepotismo, raccomandazione

 

Lombroso, Manzoni, nepotismo, raccomandazione

Il grido, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Lombroso, Manzoni, nepotismo, raccomandazione

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C. Lombroso, in Nuovi Studi sul genio, Milano, Sandron, 1901, scrive a proposito di Alessandro Manzoni:

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Fu ingrato col Foscolo, col Torti; amico intimo del Grossi, non volle pronunciare due sole parole che avrebbero potuto salvarlo da gravissime noie nelle polemiche coi critici pei suoi Lombardi alla prima crociata; amico intimo del Fauriel, ne divenne dopo qualche anno quasi un estraneo: poco e male si preoccupò dei figli, non dandosi il menomo pensiero della loro educazione e collocazione. Come Beccaria, dopo aver amato caldamente la prima moglie, ne sposa dopo tre anni un’altra; al figlio Pietro che gli domandava una raccomandazione per riavere un impiego, risponde con una lettera che parrebbe diretta a un ignoto, in cui protesta di non avere relazione con alcuna persona influente, il che non era vero perché lo vediamo – quasi contemporaneamente – raccomandare persona a lui estranea né gran che più meritevole.

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Cosa si nota in questi appunti lombrosiani? Un processo antropocentrico all’uomo, anziché un’analisi seria sul testo. Poi Lombroso rimprovera Manzoni di non aver raccomandato il figlio, che tra l’altro, non era nemmeno Pietro ma Enrico, come si evince da una lettera del 13 maggio 1868. Manzoni avrebbe raccomandato un estraneo ma non il figlio. Lombroso dunque non si scandalizza perché un personaggio noto si abbandona al nepotismo, ma esattamente per il contrario. Questo la dice lunga sulla mentalità italiana. I protocolli della cultura ufficiale prevedevano che ogni buon padre di famiglia, collocasse i figli, questo per evitare che venisse accusato di freddezza o insensibilità verso la famiglia.
Enrico, il figlio di Alessandro Manzoni, era un noto scialacquatore dedito al gioco. Chiedeva continui prestiti al padre. Nel 1855 Alessandro venne invitato dai creditori di Enrico, a pagare i suoi debiti, perché il figlio non riusciva a saldare i conti.
Raccomandare un individuo del genere forse non sarebbe stato opportuno, tant’è che Alessandro preferì farsi garante per un estraneo piuttosto che per il figlio, il quale sicuramente non gli avrebbe fatto fare una gran figura in società.
Da tutto questo si deduce che Alessandro Manzoni era perfettamente integrato nella mentalità salottiera e borghese della sua epoca, viveva la raccomandazione come aspetto normale. Anche Renzo, quando si reca dall’Azzeccagarbugli, per essere ricevuto porta due capponi:

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– Bene, – continuò Agnese – quello è una cima d’uomo! Ho visto io più d’uno ch’era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo essere stato un’ora a quattr’occhi col dottor Azzeccagarbugli (badate bene di non chiamarlo così!), l’ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori. Raccontategli tutto l’accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.
Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l’approvò; e Agnese, superba d’averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell’orto, per non esser veduto da’ ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzeccagarbugli…
Giunto al borgo, domandò dell’abitazione del dottore; gli fu indicata, e v’andò. All’entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore e d’un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un’occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch’egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: – date qui, e andate innanzi -. Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un – venite, figliuolo, – e lo fece entrar con sé nello studio.

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La raccomandazione, il regalo al “dotto” anche solo per farsi ricevere, il servilismo verso chi ha una posizione sociale migliore, erano ritenuti la normalità di una società corrotta in cui prevaleva e prevale nepotismo e divisione in classi.
La società italiana è ancora tristemente così.

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Rivista Il Destrutturalismo

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