Isterismo di felicità, Happycrazy

Isterismo di felicità, Happycrazy

Isterismo di felicità, Happycrazy

Isterismo di felicità, Happycrazy

Castagna matta, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Isterismo di felicità, Happycrazy

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I social sono pervasi da un isterismo di felicità, il bisogno continuo e ossessivo di dimostrare agli altri quanto si sta bene, quanto si è felici e realizzati nella vita. Così non si può aprir bocca senza che mediocri ancelle della felicità a portata di click ti accusino, in caso di parere contrario su qualsivoglia argomento, di condurre “una vita povera e infelice”, come se poi l’infelicità o la povertà fossero una sorta di reato penale imperdonabile.
Sui social è d’obbligo essere felici, vedere il mondo tutto color rosa confetto, vedere la perfezione in ogni foglia, in ogni nuvola, in ogni istituzione e imposizione dall’alto. La realtà viene vissuta come litico stato di creazione intoccabile. Se poi si mostra di essere anche ricchi insomma, si mette la ciliegina sulla torta della perfezione delle perfezioni e ci si sente al top. La povertà è percepita come volgarità, come motivo romantico da leggere sui libri ma non mostrare in caso di difficoltà personale, come cosa che riguarda sempre altri e non noi perché, che figura ci si fa con gli amici snob e altolocati che si fanno le vacanze a Dubai, dopo essersi impegnati l’oro di famiglia, a sembrare dei morti di fame?
Belle tavole apparecchiate a Natale con tovaglie di merletto e sete rosse, foto rubate magari da internet fingendo che siano le proprie, fanno sempre un certo effetto. Così gente mai vista e conosciuta, dopo che hai espresso un parere, per esempio, sull’aleatorietà dei libri e il malfunzionamento dell’editoria, ti taccia di infelicità. Il ragionamento è molto primitivo: se non la pensi come me, sei infelice, quindi persona pessima, out. Ne consegue che: tutti gli autori che pubblicano coi grossi editori meritano di essere pubblicati e se li critichi perché osi avere un parere tuo, sei infelice perché magari non riesci a pubblicare, oppure perché ti è morto lo zio prete o il pesciolino rosso e quindi hai bisogno di sfogarti sui social. Il livello social rimane così sempre basso, qualsiasi tentativo di discussione seria su libri ed editoria, si scontra inevitabilmente con l’isteria da felicità, diventata ormai una vera e propria patologia psichiatrica, happycrazy, che si nutre di pettegolezzi da cortile e accusa gli altri di un sentimento che probabilmente gli isterici finti felicetti a tutti i costi, provano veramente di persona. Mi danno sempre la terribile impressione di essere infelicissimi e questa impressione trova spesso conferma nei loro profili.
La mania di voler trasformare la propria vita virtuale in una vera e propria fiaba per bambini, il cosiddetto vissero felici e contenti del finale di tutte le favole del mondo, induce chi è affetto da happycracy a considerare out se non fuori di testa, chiunque non senta lo stesso bisogno, chiunque abbia ancora conservato un fondo di personali capacità critiche attraverso cui vedere il mondo che lo circonda.
Lo scopo dell’isterismo da felicità è una sorta di rivalsa, infatti postando continuamente immagini felici, si vuole stimolare negli altri un sentimento di invidia, di ammirazione, di considerazione che evidentemente l’isterico non ha nella vita reale.
Ma cosa c’è di più infelice e triste di una felicità imposta che sa di fittizio?
La società post-moderna che di fatto è infelicissima, ha creato perfino un mercato della felicità attraverso innumerevoli pubblicazioni che danno ricettine su come essere felici in pochi giorni, riempiendo totalmente quel bicchiere mezzo vuoto che però sta iniziando veramente a traboccare con conseguenze non proprio positive.
Innanzitutto l’happycrazy appiattisce le capacità intellettuali del soggetto, lo costringe, vedendo tutto positivo e per forza, a non vedere alcunché, stimolando quelle reazioni maniacali tese a creare un sentimento di primitiva onnipotenza: diniego, svilimento, idealizzazione, controllo, tutte fasi descritte molto bene da Melanie Klein.
L’isterico della felicità così si ritrova dentro un mondo non corrispondente affatto a quello reale, diventa la preda ambita dalla pubblicità, dalla propaganda, dal potere, proprio perché sostanzialmente incapace di sentire la propria naturale infelicità che è punto di partenza necessario e sano per la costruzione di ogni possibile sia pur momentanea felicità terrena. Cade l’esame di realtà che viene sostituito da una infantile e patologica euforia riscontrabile spessissimo nei social dove è più facile per certuni costruirsi un piccolo mondo artificiale e finto dove tutto diventa bello e sano e felice. Tutti i libri letti sono bellissimi e meritevoli di essere pubblicati, il cielo è straordinariamente blu (poco importa se è modificato con photoshop), i contatti sono sensibili e apprezzabili solo finché si mantengono anch’essi sul piano dell’isterismo da felicetti, perché se appena appena osano fare un esame di realtà, diventano immediatamente sgradevoli, dato che non accettano di essere totalmente felici, e osano segnalare che forse nel grande orologio del mondo, qualcosa che non va, c’è. E poco importa se felicetto isterichetto si vanta davanti a voi di aver letto un milione di libri, leggere serve a poco se non si ha consapevolezza della realtà e di ciò che si è. La lettura non vi renderà migliori, se siete degli idioti.

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