Kahlil Gibran, Il profeta

Gibran, Il profeta, Guanda, 1991

Kahlil Gibran, Il profeta

Gibran, Il profeta, Guanda, 1991

Gibran, Il profeta, Guanda, 1991, credit Antiche Curiosità©

 

Gibran Kahlil Gibran, Il profeta

Mary Blindflowers©

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Non c’è autore più citato di Gibran, il poeta libanese che ha modificato il suo nome, da Jibran Khalil Jibran, in Kahlil Gibran, per adattarlo alla pronuncia americana. Come ha fatto il figlio di un esattore imprigionato per peculato a diventare famoso non è difficile da capire. Nessuno viaggia solo con la poesia sulle spalle armato soltanto di una penna, e Gibran non costituisce un’eccezione. Fu la sua amante, Josephine Peabody, scrittrice conosciuta nei circoli intellettuali dell’epoca, a introdurlo nel bel mondo letterario. Ma nel 1904 Gibran fece conoscenza con Mary Elizabeth Haskell e si dimenticò della prima amante. Non si trattava propriamente di un amore passionale ma di una relazione platonica. La Haskell aveva dieci anni più di Gibran e a lui servì per rafforzare le sue conoscenze e per fare un viaggio a Parigi, ovviamente pagato dalla Haskell nel 1908, viaggio che permise a Gibran di studiare arte con Rodin e di conoscere artisti importanti. Dopo questo viaggetto la sua fama venne rafforzata ed espose in centinaia di gallerie americane.
Così la scrittura di quest’uomo che intratteneva relazioni di convenienza per fare carriera e ad un certo punto rinnegava la sua stessa lingua, scrivendo in inglese, pretende nei suoi libri ripubblicati all’infinito, di insegnare al mondo cos’è l’amore, cos’è la religione, la libertà, la fede, la morte, l’addio, la parola, l’arte, etc. Lo scrittore ci istruisce e ci dice cosa sia giusto fare e cosa non sia giusto.

Il Profeta è un libro fastidioso che aleggia tra banalità e una pseudo-filosofia popolare da aforisma pronto all’uso, giusto per tutte le occasioni, astorico e privo di qualsiasi polemica.
Non amo le prediche, non le sopporto né in ambito letterario né altrove e Gibran predica. Non c’è in lui nemmeno il gusto della parabola che, invece possiamo ritrovare, ad esempio nei Vangeli. C’è tuttavia la furbizia di affrontare temi generici in cui qualsiasi sciocco possa riconoscersi:

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Allora Almìtra domandò: parlaci dell’Amore.
Ed egli alzò la testa e scrutò il popolo, e su di loro cadde una vasta pace. E con gran voce disse:
Quando l’amore vi chiama seguitelo.
Anche se ha le vie ripide e dure.
E quando dalle ali ne sarete avvolti, abbandonatevi a lui.
Anche se chiusa tra le penne, la lama vi potrà ferire.
E quando vi parla, credete in lui.
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Sembrano frasi lette sui cioccolatini, un monologo da soap-opera, il sermone di un prete appena scappato da un manicomio. Il profeta è tale perché ha una ricetta in formule per tutti gli aspetti della vita e della morte. Sa tutto. Beato lui. Conosce la saggezza del mondo e ce ne fa dono con ammirevole grazia. Una figura stucchevole e anacronistica che si pone su un altare didascalico e non ha mai dubbi, ma solo incrollabili certezze marmoree.
Gibran per me è illeggibile, non perché non si capisca ciò che dica ma perché tutto si riduce a degli aforismi spacciati per poesia in bilico tra l’ovvio e l’inverosimile. Anche gli accostamenti deludono: “la ragione e la passione sono il timone e la vela di quel navigante che è l’anima vostra”. Le definizioni sono scontate: “Oggi non è che il ricordo di ieri, e domani non è che il sogno di oggi… E il presente abbraccia il passato con il ricordo, e con la speranza l’avvenire”. Frasi da libro cuore: “il vostro corpo è l’arpa della vostra anima”. Si tratta di frasette che hanno un bell’effetto ornamentale ma di fatto scarsa profondità e proprio per la sua superficialità forse Gibran è continuamente ripubblicato e spacciato per grande scrittore. Il Profeta in termini contenutistici ha davvero ben poco da dare e da dire, è un grazioso ricamino su un fazzoletto logoro e si legge in poco meno di un’ora. Ma cosa poi resta?
La tanto decantata simbologia, i significati esiziali che alcuni critici dicono di scorgere, sono di una semplicità disarmante. E nel finale questo profeta che guarda dall’alto in basso il suo prossimo, diventa ridicolo e autocompiacente:

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Qualcuno di voi mi ha giudicato distante ed esaltato nella mia solitudine… Siede solitario sulle vette dei monti e scruta dall’alto la nostra città… Ma come avrei potuto vedervi, se non a grande distanza e da grande altitudine?
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È la terrificante saggezza posticcia di chi guarda dall’alto.
Oltretutto nell’edizione Guanda del 91, Gian Piero Bona definisce Mary Askell “una sacerdotessa”, ci dice che Gibran era cristiano ma credeva nella reincarnazione, perché, specifica Bona, “in fondo era un vecchio arabo, non dimentichiamolo”. Certo, lo sanno tutti che i “vecchi arabi”, credono nella reincarnazione. Non si sa se sia meglio ridere o piangere.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=xwtdhWltSIg

 

 

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