“Nemmeno uno” di Ugo Mannoni

"Nemmeno uno" di Ugo Mannoni

“Nemmeno uno” di Ugo Mannoni

Di Mary Blindflowers©

"Nemmeno uno" di Ugo Mannoni

“Nemmeno uno” di Ugo Mannoni, credit Antiche Curiosità©

 

Edizioni del Poliedro nel 1969 dà alle stampe un libro di Ugo Mannoni, “Nemmeno uno”.

L’autore di area comunista, è infatti il padre del noto giornalista rai Maurizio Mannoni (per la serie in Italia se non sei figlio di qualcuno, non sei), offre al lettore un romanzo diviso in due parti ben distinte, la prima parte si svolge durante la prima guerra mondiale, la seconda nel periodo post-bellico.

Il personaggio principale è un americano, Clint Cockren di Miami, un giovane scrittore partigiano che ha l’ossessione per una donna fatua, uno spiccato senso dell’umanità e ovviamente, ideali di solidarietà comunista.

Nella prima parte, Clint si trova in una montagna dell’Appennino, in attesa di essere raggiunto dai tedeschi. Ne incontra uno solo dal quale si difende bucandogli un polmone. Impietositosi vuole salvarlo, in barba al regolamento militare, specialmente dopo che scopre che al tedesco, che nella vita civile faceva il pianista, in fondo della guerra non importa un granché, tanto che si è perso per guardare il paesaggio.

La trama è semplice ma la scrittura raffinata, scorrevole, scandita dai monologhi di Clint e dal suo forte senso morale, da una filosofia che mostra impietosamente l’assurdità di ogni conflitto:

“Nella guerra non c’è nulla di eroico, di romantico: cavalli bianchi e lancieri con il petto spavaldo: niente. C’è soltanto il puzzo di cadaveri. Puzzo di cadaveri e milioni di bambini rachitici. E ci sono i musicisti che devono abbandonare la tastiera per venire a farsi bucare un polmone sul pizzo, a nove ore di distanza dalla strada…”

La seconda parte è decisamente meno convincente, introdotta bruscamente, come uno schiaffo al lettore che aspetta una omogeneità e un collegamento circolare con la prima parte che però quando arriva, non convince. Il romanzo avrebbe potuto concludersi con la fine della guerra. Invece l’autore ci propone un dopoguerra che forse sarebbe stato meglio sviluppare in un libro a parte. Clint dopo il conflitto decide di rimanere in Italia e combatte per i diritti degli operai dentro una fabbrica occupata. L’autore pensa bene di inserire la storia del pugile Garbelli (Milano, 4 ottobre 1931 – Lurago d’Erba, 16 marzo 2013), dall’infanzia alla carriera professionale fino alla delusione e al crollo finale. La storia è molto interessante, scritta bene, ma il collegamento con il personaggio principale del libro e le rivendicazioni degli operai, appare palesemente forzato.

La seconda parte risulta così più sgranata, sembra un proclama di rivendicazioni di sinistra piuttosto che un romanzo ben articolato. Letterariamente il testo cede un poco il passo ad un realismo cronachistico salvato soltanto dalla bella scrittura di Mannoni:

“Gli operai della fabbrica sulla Tiburtina non hanno nemmeno un grammo di polvere da sparo nei loro stipetti. In assemblea hanno detto che resisteranno. Sventolando i contratti di lavoro, i certificati elettorali e le mani piene di calli. Argomenti di poco peso contro i mitra moderni, i fucili lanciabombe e i gas lacrimogeni. La tensione però ha raggiunto vertici roventi… Mi ricorda la mia piazzola sul Pizzo, quando aspettavo che venissero a prendermi… Ora io sono soltanto un conservatore, ma tutti questi uomini si preparano a morire. Forse non correrà sangue, ma il licenziamento, la galera e poi la disoccupazione sono come la morte. Un operaio disoccupato, in coda davanti agli sportelli dell’ufficio di collocamento è un uomo morto. Peggio che morto, perché pensa e soffre”.

I ricordi dell’americano diventano la scusa per parlare dello sciopero operaio, l’unico collegamento tra due diverse guerre. Mentre la prima parte è ben sviluppata e ha un ritmo lento che consente di inquadrare molto bene i personaggi, da Clint al tedesco fino al pastore microcefalo, riuscendo perfino, pur nella semplice evoluzione dei fatti, a creare un inaspettato colpo di scena, nella seconda parte si mescolano le storie ai ricordi di Clint ma corre tutto molto veloce, con la parentesi Garbelli che è inserita piuttosto male nel contesto, e c’è una disomogeneità che salta all’occhio, come se l’autore si fosse lasciato andate alla volontà emotiva di inserire in poche pagine tutte le giuste rivendicazioni post-belliche possibili, dalla corruzione dello sport, dalle tristi condizioni operaie, alla fatuità della canzonetta di Stato con Tony Renis che si arricchisce mentre gli operai muoiono di fame.

La cesura tra la prima e la seconda parte è il difetto del libro. Lo scopo di una cesura è infatti stupire per poi ricollegare i fili di un discorso omogeneo, per una circolarità aperta, riflessiva. Si crea invece un evidente gap che però viene colmato con fili di labile collegamento. 

In ogni caso si tratta di un affresco interessante sia storicamente che letterariamente e sicuramente un libro da leggere perché fa riflettere su un periodo tragico della nostra storia e perché a tratti è poetico ma mai patetico.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

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