Di Pierfranco Bruni©
L’antropologia ha dei modelli valoriali profondi che attraversano elementi che interessano in modo particolare il concetto di “memoria”, di “tempo”, ma anche la definizione di futuro, perché nel momento in cui poniamo al centro l’uomo, o gli uomini, ovvero l’antropos, poniamo al centro il senso della comunità dei popoli e delle identità delle civiltà.
Dovremmo confrontarci con questi concetti che portano alla base una conoscenza del futuro e cercare di approfondire il senso del passato per catturare e percepire un modello di profezia. Quando parliamo di futuro, parliamo di “percezione” del futuro. Entra in gioco il sacro concetto di profezia. Conoscere l’antropologia dei popoli è conoscere quella religiosità laica che è dentro la dimensione di memoria. Se la memoria custodisce il concetto di tempo significa che il confronto dell’antropologo deve essere costantemente all’interno di una dimensione che è quella del tempo.
Parlando di “tempo” pensiamo immediatamente al passato, invece il tempo è la coniugazione di ciò che non riusciamo a spiegare, come dice Sant’ Agostino, con ciò che non riusciamo a rendere percepibile e fruibile, come afferma Plotino. Il tempo misura la distanza, e misurare la distanza significa confrontarsi costantemente con lo spazio. L’antropologia è dentro questa misura dello spazio e del tempo. Ecco perché, avendo la consapevolezza del passato, noi dovremmo cercare di percepire il percorso fruibile per un futuro.
Il compito dell’antropologo non è quello di “etichettare” i frammenti di civiltà, i modelli di etnie, la visione delle contaminazioni, i linguaggi che sono stati e che non devono essere perduti, o i linguaggi da tutelare e da valorizzare, o da far conoscere attraverso una pedagogia dell’educazione dell’apprendimento. L’antropologo ha il compito di una “filosofia della conoscenza” ma anche di una “filosofia di una memoria” che si allontana dalla nostalgia, dal ricordo, dal rimpianto e si inserisce all’interno di una dimensione di futuro.
L’antropologo legge il futuro perché l’antropologo porta dentro di sé una componente alchemica, sciamanica. È conscio della consapevolezza del passato, di una memoria, non ricicla il tempo passato bensì ricostruisce un tessuto in cui le esistenze delle civiltà hanno la capacità di costruire un futuro diverso ma fermo, con i piedi ben saldi in ciò che noi definiamo “tradizione”.
La tradizione è dentro il tempo perché non bisogna tradirla. Il concetto di tradizione è “tradurre” e non tradire la memoria”, per costruire la capacità di un modello e di un processo di sviluppo per il futuro. L’antropologia lavora su delle forme immateriali, ma l’immaterialità dell’antropologia ci permette di capire, attraverso il materiale, il bisogno di ricontestualizzare la storia dei popoli e il destino delle civiltà. Perché dico “attraverso il materiale”? Perché se noi analizziamo una maschera, è chiaro che la maschera è un oggetto in sé, ma è anche il contenitore di un immateriale di cultura, di spiritualità, di esistenza, di sacralità, che ci racconta il percorso che ha compiuto, ed è fatta di segni tangibili. I simboli sono la rappresentazione di questa maschera, la metafisica dell’anima che i popoli hanno costruito intorno ai suoi colori e alle piccole intagliature.
L’antropologo lavora sull’immaterialità, sul bene spirituale ma deve sempre confrontarsi con un realtà concreta. I popoli sono realtà vaganti all’interno delle civiltà dei territori e delle comunità, perché sono fatti di tempo. Il tempo è quella specificità del mondo immateriale. Lo spazio è materiale perché noi possiamo definirlo, il tempo resta sempre immateriale. Lo spazio, invece, è un intreccio tra l’immateriale che è nel tempo e la materialità che si trova all’interno di uno spazio.
Ecco, allora, la necessità che ha l’antropologo di confrontarsi con quelle forme etniche che noi chiamiamo “aspetti contaminanti” all’interno delle etnie o delle razze e, parimenti, ci troviamo di fronte alla tradizione, agli usi, ai costumi, alle danze, al canto, a tutto un insieme che ha una prospettiva in cui le culture sono culture dell’incontro, culture che interagiscono. Il canto popolare è l’esempio di una contaminazione “brillante” di aspetti di culture e di civiltà, come pure le danze.
Questa forma che definiamo “immateriale” deve fare un confronto e tenersi in contatto con ciò che diventa spirituale e che si trasforma poi in materiale. Ascoltare i passi di una danza è immateriale, ma osservare la danza significa anche confrontarsi con i danzatori, con il loro passo, con i piedi che si muovono su un tappeto, su un terreno e verificare questo modello etno-antropologico, antropologico-contaminante e demo-etnico, perché la lingua entra in quella dimensione della demologia.
I dialetti costituiscono l’altro aspetto corale di tutto un insieme. Le visioni demo, etno e antropologico formano una unica dimensione che lega la cultura come bene materiale dell’immateriale e in questo concetto c’è l’opportunità di analizzare un aspetto importante che è quello filosofico del tempo. Il tempo rimane sempre centrale. Questo tempo che potremmo definire letterariamente, proustianamente, “ritrovato”, in fondo è offerto dall’antropologia. “Il tempo ritrovato” è parte integrante di un modello antropologico che è metafisico.
Il tempo perduto e il tempo ritrovato.
Sono del parere che Proust sia stato uno dei grandi autori che ha saputo mettere insieme il vero concetto del tempo in un forma nuova, diversa rispetto alla classicità filosofica. Soltanto uno scrittore poteva mettere insieme quegli elementi vissuti, analizzati in termini ontologici e trasformati in termini metafisici.
L’antropologia e la demo-etnoantropologia rientrano in questa visione che è la visione del “tempo perduto” e del “tempo ritrovato”. Si ha bisogno di ricostruire costruendo il futuro dei popoli, comprendendo le civiltà per dare un segno tangibile alle nuove civiltà e conoscere, in modo particolare, i popoli dell’Africa, dove lo studio dell’antropologia è diventato fondamentale per non restare soltanto ai territori di una cultura nazionale, italiana, contadina, ancestrale.
Significa porre all’attenzione ciò che l’Africa ha rappresentato sia per il mondo orientale che per quello occidentale perché è lì che si formano le civiltà, in quel nucleo in cui l’Africa è diventato il tessuto vero di una comprensione e di una percezione dei popoli e, quindi, delle civiltà.
Noi veniamo da quei popoli, da quelle civiltà. Le nostre danze e canti hanno sempre una componente che rimanda al mondo africano. Ciò significa che il Mediterraneo basso, alto, centrale, o il Sud del Mediterraneo, sono parte integrante di un processo che non è solo esistenziale di quei popoli, ma diventa un processo centrale nel cerchio magico di un visione profetica. L’antropologo deve possedere questa visione, questa percezione alchemica.
Deve avere questa dimensione sciamanica. Il tempo dello sciamano è quel tempo in cui si riesce a leggere e a congiungere il passato-memoria con la memoria-futuro, altrimenti il ruolo dell’antropologo e dell’antropologia oggi non avrebbe senso e il senso al quale io affido il più delle volte l’interpretazione di queste dimensioni di culture è proprio quello di legare la dimensione del tempo con la spiritualità del tempo, l’immaterialità del tempo con lo spazio materiale-immateriale.
È qui che agisce l’uomo, i popoli. È qui che si formano le civiltà. È qui che le etnie dialogano con le razze e le razze dialogano con la tradizione e con la contemporaneità. Credo che l’antropologo abbia un ruolo importante. Deve servirsi anche dei modelli archeologici perché altrimenti non possiamo capire fino in fondo i modelli preistorici, i modelli neolitici, i nodi arcaici di una civiltà, di un popolo.
In quel caso specifico diventa un bene materiale perché abbiamo di fronte il materiale nel campo archeologico e ragioniamo con il materiale, leggiamo il materiale. Le culture diventano, quindi, una articolazione per dare un senso concreto allo sviluppo e alla comprensione di quelle eredità che abbiamo chiamato memoria, trascrizioni, attraversamento di tempo e possibilità di costruire il futuro.
https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/