Perché un classico è un classico?

Perché un classico è un classico?

Perché un classico è un classico?

Di Mary Blindflowers©

Pensiero riciclato, credit Antiche Curiosità©

 

Porsi una domanda essenziale fin dai tempi della frequentazione della scuola dell’obbligo, “perché leggere i classici?”, e non trovare nell’estro programmato di docenti e presidi, una risposta che soddisfi le proprie aspettative, soprattutto alla domanda “perché un classico è un classico?” il corpo insegnante risponde come il prete quando gli chiedi se gli sembra giusto che coloro che sono nati prima di Cristo siano destinati alle fiamme dell’inferno, solo per una questione puramente cronologica. Il prete ripete a pappagallo che dio è grande, che non dobbiamo tormentare la mente di domande inutili, che il Signore è arrivato nella pienezza dei tempi. L’insegnante ripete come una cocorita che un classico è un classico e basta, non si discute, non ci si mette a fare polemiche. Il dubbio così diventa acre fastidio, pungente delirio antidogmatico. La certezza esige il suo tributo di neuroni piatti dentro un cranio stabilmente allineato. Il dubbio che alimenta la scienza, non può essere applicato a tutto, i benpensanti esigono rispetto nei santuari delle certezze da preconfezione super-egotica impostata e già pre-digerita dentro il bolo del subnullista. Gli intoccabili sono dati accertati su cui non vale la pena di discutere, non c’è opinabiltà o storia che tenga. Eppure dietro ogni successo c’è un racconto, un nucleo di verità che fa capire molto cose celate dietro la crosta dell’apparenza. Nessuno o quasi ha voglia di approfondimento, il piatto del fast-food della cultura è caldo, sufficientemente nutriente, certo non è magari genuino ma poco importa, non richiede sforzi mentali eccessivi, e questo è più che sufficiente per coscienze subnulliste che vivono nell’alienazione. Si pensa che questo tipo di atteggiamento sia proprio di coloro che hanno scarsi mezzi e basi culturali piuttosto traballanti, e ci si sbaglia profondamente, perché il precotto piace a tutti, anche agli intellettuali, anche a chi ha letto un milione di libri e se ne fa vanto. L’importante è non creare associazioni che possano infastidire. Il classico fa parte di un pianeta retorico-scolastico che costituisce un mondo separato da quello reale, un mondo staccato dalla vita di tutti i giorni che è fatta di ben altra sostanza che non la filosofia greca o la letteratura fantastica di Calvino, le tragedie di Shakespeare, i drammi di Ibsen, lo sperimentalismo di Ionesco, gli abissi kafkiani. La vita sarebbe decisamente altrove.

Ma sarà poi vero?

No, non è vero. La letteratura racconta il falso per dirci la verità, per squarciare il velo di Maya e farci aprire gli occhi sul mondo; la filosofia è connessione, ragionamento, logica e intuizione che si può applicare alla vita, continuamente, anche quando non sappiamo di farlo. Perciò chi sostiene che la filosofia e la letteratura debbano essere viste come “cose a parte” che non ci riguardano, è uno sciocco che può anche aver studiato tanto, ma di fatto non ha capito niente dei classici. E non si può nemmeno dire che si studiano e si leggono i classici per capire il presente. Il presente, come del resto il passato, non può essere capito fino in fondo, può essere solo sottoposto al vaglio della ragione, perfino della poesia e del sentimento. Il presente è nel passato e il futuro è in entrambi, chi non capisce questo, dicendo che si leggono “i classici perché sono classici”, senza spiegare l’itinerario che ha portato un classico ad esser tale, ha fallito la sua missione pedagogica, sempre che gli insegnanti oggi ne abbiano una che esuli dai pedissequi programmi di Stato.

Squarciare il velo di Maya significa anche e soprattutto capire perché un orologio si ferma ad una determinata ora e non ad un’altra, significa smontarlo e vedere come funziona, capire perché il tempo ha stabilito che un autore è classico, quanto la sua posizione sia dovuta a spinte politiche, sociali e quanto al vero talento, perché anche il classico prima di diventare classico ha seguito un suo percorso, è stato magari dimenticato e riscoperto secoli dopo, per precisi motivi, non sempre edificanti. Quanti scrittori dimenticati avrebbero potuto essere classici e per contingenze avverse non lo sono diventati? Quindi non si leggono “i classici perché sono classici”, ma semplicemente perché essi rappresentano nel bene e nel male, un’occasione per capire, per interrogarsi sul mondo e i suoi meccanismi, per esigere una comprensione che possa spingersi al di là dello scritto stesso, in una dinamica di pensiero in movimento, non nella stagnante certezza dell’ottuso accettato da tutti. In questa prospettiva un classico può anche essere criticato, amato, odiato, e per differenti motivi, può essere oggetto di raffronto con la contemporaneità, ma mai dovrebbe essere stipato nella cantina compartimento stagno di una realtà separata. Ne decretereste la morte.

https://antichecuriosita.co.uk/manifesto-destrutturalista-contro-comune-buonsenso/

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