Scrivere? Prima devi saper leggere

Scrivere? Prima devi saper leggere

Scrivere? Prima devi saper leggere

Di Alessandro Dell’Aira©
 

Foto Mary Blindflowers©

 

Per Giulio Mozzi, padovano, approdato alla letteratura da un ufficio stampa, scrivere è sempre “scrivere a”. Un pomeriggio di qualche anno fa, si trovava a Levico ai corsi d’italiano per stranieri su invito di Amedeo Savoia. Lo hanno accolto Gianni Bonvicini, direttore dell’Istituto Trentino di Cultura, che ha anche introdotto l’incontro dibattito, e Livio Caffieri, direttore dei corsi. I presenti avevano letto il suo ultimo libro, intitolato «Fiction». Da ricordare che sono intervenuti in tanti e in ottimo italiano dopo una breve informazione dello stesso Giulio Mozzi su come era nata l’opera. Un’intervista a più voci, che ha messo in chiaro molti aspetti tecnici e ha dato un’ampia visione della scrittura e della letteratura secondo l’autore. Perché Mozzi scrive? “Perché gli viene bene”. Così bene che quando presenta un’opera prima, quel libro diventa un best-seller anche se ha mezzo migliaio di pagine. Ma non banalizziamo: per diventare autori di libri ci vuole la mano, ci vuole fortuna, ci vogliono le basi. A parte questo, siamo tutti scrittori in potenza, nessuno è mai stato un aspirante scrittore. Quest’ultima categoria non ha senso, la distinzione va fatta tra chi pubblica e chi no, anche se i libri-libri non sono pesci d’acquario, sono creature d’altura che navigano nel mare del mercato da balene o da sardelle. A Padova Giulio Mozzi ha fondato una scuola di scrittura creativa. Adora gli esercizi di retorica barocca. Inoltre se la cava egregiamente e personalmente con l’interattività multimediale, che gli ha messo in testa un dilemma, se il pubblico migliore ha un libro in mano o è seduto davanti a un computer. Come che sia, Mozzi ci tiene a essere localizzato dal pubblico, al punto che fin dall’inizio il suo indirizzo di casa compare nella bandella, o risvolto di copertina, come fosse una e-mail o un sito web. Un gesto di trasparenza, non altro. Mozzi, maestro di racconti, dice di essere negato per i romanzi. Si è fatto largo nel 1991, facendo ciò che fanno gli scrittori che non hanno pubblicato libri e cioè inviando un inedito a una manciata di personaggi di peso. E ha sfondato. Due anni dopo, Theoria gli ha pubblicato. Questo è il giardino, premiato a Mondello nel 1993, Oscar Mondadori nel 1998. Nel frattempo Mozzi si era legato a Einaudi con La felicità terrena, il primo di una nidiata di libri: Fantasmi e fughe, Un libro di storie, Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, Fiction. Poi è venuta l’esperienza di editor per Sironi, coltivata tra le pieghe del mestiere del cuore: maestro di scrittura, cacciatore di teste e di penne pensanti. Ogni occasione è buona, anche l’internet, dove prosperano le comunità di interessi. In internet Giulio Mozzi è un blogger, ossia tiene un diario digitale, e come se non bastasse cura la newsletter Vibrisse, centrale di cyberletteratura per i lettori-scrittori non mediati. Oltre che ottimi segnalibri, le vibrisse sono i baffi sul muso dei mammiferi, fonte di informazioni vitali, pensiamo alle ventiquattro vibrisse senza le quali i gatti non saprebbero prendere un topo che è uno. Vibrisse propone e distribuisce agli interessati le Vibrissescatole, kit di prodotti creativi individuali selezionati e spediti a domicilio a cura di Giulio Mozzi senza fini di lucro dentro le scatole gialle delle Poste, previo rimborso spese in francobolli e un sistema ingegnoso mutuato dalle catene di Sant’Antonio.

Saper scrivere vuol dire saper leggere, non c’è differenza. Italiano feroce ma realista nella sostanza, Mozzi ama citare un detto, secondo il quale piuttosto che niente meglio piuttosto. E allora forza con le lezioni di scrittura che attirano più delle lezioni di lettura, nessuno è così balordo da tornare a scuola per imparare a leggere visto che leggere è la prima cosa alla quale ciascuno di noi è stato costretto con diecimila trucchetti. Mentre imparare a scrivere, non per la scuola ma per la vita, per il lavoro, per la gloria, per il mercato, per il piacere, è un traguardo che la scuola non garantisce. A scuola guai a copiare con intelligenza, guai ad andare fuori tema. E invece Mozzi suggerisce (provocazione immessa in rete il 13 agosto mattina, qualche ora prima dell’incontro di Levico): “…Quando le parole o le invenzioni non ci vengono, quando ci pare di non saper che pesci pigliare,… peschiamo una carta, e ci confrontiamo con ciò che dice”. Mozzi allude a un “magico” mazzo di carte inglesi del genere I-Ching, dove ogni carta ha una frase sibillina, ad accesso casuale come i rotolini di carta con gli oroscopi pescati col becco dai pappagalli da fiera, o i messaggi nascosti tra i Baci Perugina. Non costa niente, confrontiamoci con le carte che ci toccano. Potrebbe uscirci dalla penna un racconto degno di un grande editore. O un tema da dieci.

(Articolo comparso il 20 agosto 2003. Alto Adige)

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

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