La medicina stercoraria di Paolo Picca

La medicina stercoraria di Paolo Picca

La medicina stercoraria di Paolo Picca

Medico e Carnefice, credit Mary Blindflowers©

Scienza versus credenza

In un suo curioso quanto raro libro intitolato Medico e Carnefice, edito dalla Casa Editrice Romana medica, Paolo Picca ricorda l’uso di “certe luride materie” per curare le malattie.

Nell’opera del sommo Ippocrate, De superfetatione, si raccomandano bruchi e scarabei stercorari, grasso caprino e asinino, fiele di bue e sterco d’asino come sostanze salutari e benefiche. Il De natura muliebri, dello stesso illuminante autore raccomanda invece lo sterco di capra e di mulo, le virtù curative del bupreste, del pelo di lepre, dell’orina, del fiele di toro e della terra letamosa attaccata ai piedi dell’asino.

Successivamente nel De morbis mulierum si menzionano: il pelo d’asino bianco, lo sterco di lupo, il grasso di rognone di montone, il perineo bruciato di una tartaruga marina, la “secondina delle donne”, i vermi delle carni putrefatte,i topi calcinati, il famoso oesypum.

Nel De sterilitate le assurdità si moltiplicano. L’orina putrida della donna, il grasso di serpente, i cagnolini ripieni di aromi e cotti nel vino, il pudendo del cervo disseccato e introdotto in vagina come pessario, erano considerati dalla farmacia empirica rimedi salutari.

Xenocrate d’Afrodisia ha scritto un trattato sulle proprietà medicinali del sangue dei pipistrelli, del sangue mestruale, del cerume e degli escrementi.

L’attribuzione di “poteri magico-medicamentosi” a sostanze organiche comunemente ritenute repellenti, deriva dalla credenza che liquidi o scarti prodotti da ciò che è vivo, per assorbimento contengano forza e poteri degli esseri viventi da cui provengono.

Il sangue è il liquido di cui si nutrono le anime. Lo sapeva bene Ulisse quando è sceso nel Regno delle Ombre per interrogare l’indovino Tiresia.

L’orina veniva utilizzata dalle streghe nelle loro arti magiche per far piovere o per guarire certi malanni agli occhi.

Erodoto racconta a tal proposito la curiosa storia di Ferone. Questi, figlio di Sesostri, re d’Egitto, adirato contro il Nilo, le cui acque si erano ingrossate in modo eccessivo, scagliò nel fiume una freccia. Per quest’azione gli dei lo punirono con la cecità. I medici gli consigliarono di lavarsi gli occhi con l’orina di una donna che non avesse mai avuto rapporti sessuali con altri all’infuori del proprio marito. Dall’orina della regina né da quella delle dame di corte fu impossibile trarre giovamento. Ferone allora provò con l’orina della moglie del giardiniere e riacquistò per miracolo la vista. Così la moglie del giardiniere prese il posto della regina che venne uccisa assieme alle dame di corte per la loro infedeltà.

Ancora nei secoli XVI e XVII l’urina era considerata un medicinale alla moda.

Corrado Kunrath consigliava alle donne di bere l’orina del marito per partorire felicemente. Schroder la prescriveva per i dolori podagrici, inoltre era convinto che i clisteri d’orina guarissero il meteorismo dei bambini.

Il Santorio inventò addirittura uno strumento che consentiva di utilizzare la propria urina per farsi un bel clistere depurativo. L’avveniristico apparecchio consisteva in una specie di sacco che ricevendo il liquido da una parte al momento dell’emissione, lo lasciava uscire dall’altra per mezzo di una cannula, che lo introduceva nell’intestino.

Si poteva utilizzare orina naturale oppure lo spirito di essa attraverso un processo di distillazione. Lo spirito così ottenuto serviva per curare l’idropisia, la gotta, i reumatismi, le malattie renali e la paralisi. Se si univa urina umana e di vacca si otteneva l’acqua di mille fiori, che, bevuta alla dose di un bicchiere al mattino, come faceva Madame de Sevigné, curava l’intestino.

C’era anche chi, non curandosi troppo dell’alito, la usava come dentifricio.

Passiamo ad argomenti più concreti.

Sterco di gallina. Lo si masticava per curare l’avvelenamento da funghi. Per la pleurite invece non c’era niente di meglio che masticare deiezioni di cavallo, mentre per la diarrea si suggeriva di ingerire escremento di cane.

Sterco di porco e d’asino servivano per arrestare le emorragie nasali, un abbondante e corposo cataplasma di sterco vaccino guariva le coliche. Gli escrementi d’oca erano ottimo contro le vertigini e l’itterizia, quelli caprino diuretici, di pecora purganti.

Paracelso chiamava lo sterco umano Zolfo occidentale. Poteva essere somministrato in polvere disseccato o fresco fresco, apprezzato per le sue virtù digestive, emollienti e maturative. Curava piaghe, podagra, peste, ecc.

Zacuto Lusitano giudicò lo Zolfo occidentale il più potente degli antidoti. Nel 1618 è annoverato tra i farmaci più importanti della farmacopea londinese.

Jean de Renou, medico di Enrico IV, raccomandava di avere sempre a disposizione escrementi seccati e polverizzati da utilizzare in caso di necessità.

Il grasso dei cadaveri poi era considerato miracoloso assieme a polvere o olio di mummia e balsamo di carne d’impiccato. Ciò favorì un traffico lucroso di cadaveri agevolato dal boia e i suoi aiutanti.

Dopo quelli umani, gli escrementi più efficaci erano quelli di porco, di pavone, di piccione e gallina.

Pietro Poterio scrive che deiezioni animali putrefatte e distillate nel lambicco, fornivano un olio e un’acqua meravigliosi, pieni di virtù terapeutiche. E quale miglior rimedio contro i restringimenti uretrali se non quello di inserire una bella cimice nel meato urinario?

Per gli incontinenti le opzioni della farmacopea ufficiale erano davvero gradevoli: pasto di cervella di lepre, oppure polvere di porcospino, di topo o di lumacone, di ventricolo di gallo, di verga di maiale o di vulva di scrofa.

Sempre per il Poterio lo sterco di rondini forniva per estrazione un’acqua panacea antiepilettica. Se il paziente aveva mal di testa non gli restava che ingurgitare un meraviglioso infuso di sterco di pavone con un semplice spirito di vino.

Alessandro di Tralles poi dichiarò di aver personalmente sperimentato l’efficacia dello sterco di lupo portato sui lombi e racchiuso in una canna, per curare le malattie. Disse altresì di aver appreso in Cirenaica un metodo sicuro per far cessare il singhiozzo: si pone una festuca, una pietruzza e del fimo equino sulla testa di chi singhiozza e subito il male cessa.

Enrico II prese molto sul serio l’efficacia degli escrementi, infatti una sua ordinanza imponeva ai medici di “gustare gli escrementi dei pazienti e di impartire loro ogni altra sollecitudine”.

Potrebbe essere un buon sistema oggi contro la malasanità.

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Manifesto Destrutturalista contro comune buonsenso

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