Coltelli che non tagliano

Coltelli che non tagliano

Coltelli che non tagliano

Coltelli che non tagliano

La democrazia, tecnica mista su tela, by Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Coltelli che non tagliano

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La confusione tra riassunto e recensione oggi è palese. Molti, troppi, riassumono per sommi capi una trama di libro letto e poi dicono, “è brutto, è bello, carezza le parole, le liscia, le piscia, etc. etc.”, così d’emblée, non spiegano alcunché. Opinionismo puro e senza dati.
Sulla base di quale principio o considerazione critica dunque questi maestri di verità inalienabili, formulano costantemente e invadono la rete e i giornali con il risultato delle loro letture? Sul nulla.
Va bene che la maggior parte dei sedicenti recensori on line non deve esporsi se no il recensito, se digerisce male e ha un improvviso travaso di bile, va poi a sfogarsi in giro in siti da “acquisti non verificati”, dicendo che il libro (mai comprato) del recensore è zero spaccato, per questo l’infelice recensore non capirebbe la sublimità del suo, ma, c’è un limite a tutto. Va bene che i giornalisti devono segnalare libri che il padrone di turno gli ordina di recensire positivamente, ma allora, insomma, riassuntini, non recensioni. Le recensioni non vanno di moda perché gli autori hanno tutti la coda, ma di paglia e come se avessero una faglia nel cervello partecipano, gonfi come tacchini nel Giorno del Ringraziamento, al circolo delle vanità e dello scambio di taffetà alias finte recensioni. Finte perché da un lato sanno pure i sampietrini che molti, moltissimi, si recensiscono tra loro senza nemmeno aver letto i rispettivi libri, in barba a qualsiasi onestà intellettuale, per farsi pubblicità a vicenda, una sorta di deprimente do ut des; dall’altra chi osa recensire un amico non troppo positivamente perché si mette una mano sulla coscienza e perché lo ha letto sul serio, viene ricoverato virtualmente (che fortuna!) nel reparto psichiatrico della maldicenza e cattiveria dove stuoli di signori impomatati e signore lisciate, boomer annichiliti dall’orgoglio, si sciacquano tra le dentiere semoventi le lingue frementi nel curaro e come infermieri/e della morte, attribuiscono al povero malcapitato recensore chissà quali patologie mentali, con diagnosi di invidia galoppante e magari pure blasfemia e sdoppiamento di personalità che diagnosticata sui social, fa sempre fighezza. La parola d’ordine dei letteratucoli da brezza di peto, è lisciare le penne ai potenti, politici, editor e scrittori laureati, affossare chiunque osi esprimere un parere non condizionato e chiamare pomposamente “recensioni” quei miseri riassuntini di trame che spesso fanno al libro citato, più danno che altro e che vediamo su Internet ma anche nella carta stampata.
Un tempo c’erano i critici figli di donne buone al contrario, oggi ci sono i figli di monsieur Bignami che si autodefiniscono giornalisti e critici letterari. Questi bignamini che fanno il resumé dei bimbetti, sono uno spasso. Sono talmente convinti di essere che quando emettono sentenza senza spiegazione, pensano pure di essere furbi, intelligenti e, ovviamente, colti. Non leggono nulla, infatti. Non riescono nemmeno a difendere la propria opera contro-recensendo, vogliono soltanto lodi sperticate ed effimere come polline al vento.
Ed è curioso che ogni tanto sia un membro dell’alta borghesia che, schifato di come si comporta la propria classe, si autocritichi. Del resto se non fosse dell’alta borghesia, nessuno gli baderebbe…

Non a caso Buzzati ne Il segreto dello scrittore, sfotte proprio gli scrittori laureati usando il pronome personale in prima persona, io, e immagina il paradosso di uno scrittore famoso che, stufatosi della fama, a suo dire, vorrebbe ridiscendere verso il basso per sfuggire al conformismo di stretta osservanza, per sfuggire a tutta la marmaglia che pascola e defeca nel campo ormai rinsecchito della letteratura:

Primo, bisognava riscuotere dai critici dei giudizi negativi. Ora io appartenevo alla categoria degli scrittori laureati, si solida quotazione sul mercato estetico. Parlare bene di me rientrava ormai nel conformismo di stretta osservanza. E i critici, si sa, una volta che hanno messo un artista in una casella, ce ne vuole per fargli cambiare parere. Insomma: si sarebbero accorti che mi ero messo a scrivere delle boiate o invece, come era temibile, sarebbero rimasti fissi ai loro schemi, continuando a coprirmi di lodi?

Un’ironia pungente e schietta che descrive molto bene come funziona il mondo delle belle lettere.
Buzzati era un privilegiato, il padre era un celebre giurista, professore universitario alla Bocconi, l’università dei ricchi. Fu gioco facile allo scrittore entrare come praticante al Corriere della sera. Ha poi fatto carriera e ha visto editoria e alta borghesia dall’interno e ha descritto ironicamente sia gli scrittori laureati, sia i critici, sia i giornalisti che i ricchi e strafottenti borghesi.
Oggi gli scrittori destinati a laurearsi tali, entrano nelle redazioni dei giornali, fanno carriera senza nemmeno saper scrivere un rigo, dicono che l’alta borghesia è buona e bella, gli scrittori arrivati sono gli unici bravi, i critici magnifici ad occuparsi solo di loro, i giornalisti tutti santi…, dicono che gli unicorni esistono e le fatine pure e fanno miracoli con la bacchetta e il partito (ma questo non lo dicono). È proprio vero, i coltelli che non tagliano, sono quelli che fanno più danni. Viviamo nella società degli inganni, sotto una dittatura subliminale in cui siamo costantemente agiti, solo che non ce ne accorgiamo.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

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