Inferno, Canto V, struttura

Inferno, Canto V, struttura

Inferno, Canto V, struttura

Inferno, Canto V, struttura

Inferno, Canto V, struttura, credit Mary Blindflowers©

 

Inferno, Canto V, struttura

Mariano Grossi©

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Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.3
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.6
Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata9
vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.12
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.15
“O tu che vieni al doloroso ospizio”,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio,18
“guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!”.
E ’l duca mio a lui: “Perché pur gride?21
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare”.24
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.27
Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.30
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.33
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.36
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.39
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali42
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.45
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,48
ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: “Maestro, chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?”.51
“La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper”, mi disse quelli allotta,
“fu imperadrice di molte favelle.54
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.57
Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ’l Soldan corregge.60
L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.63
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.66
Vedi Parìs, Tristano”; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.69
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.72
I’ cominciai: “Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri”.75
Ed elli a me: “Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno”.78
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: “O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!”.81
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;84
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.87
“O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,90
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.93
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.96
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.99
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.102
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.
Queste parole da lor ci fuor porte.108
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: “Che pense?”.111
Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!”.114
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: “Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.117
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?”.120
E quella a me: “Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.123
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.126
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.129
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.132
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”.138
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.141
E caddi come corpo morto cade.

 

Dante e Virgilio arrivano nel secondo cerchio, laddove sentono esponenzializzarsi i tormenti tanto che i dannati guaiscono.

Quadro “Minosse” (vv. 1-24) – Estensione 24

Minosse vi svolge le funzioni di giudice infernale; i dannati gli si presentano innanzi, ed egli attorciglia la coda di cui è munito attorno al proprio corpo per un numero di volte pari ai cerchi dove sanziona che essi debbono recarsi. I peccatori dinanzi a lui confessano le mancanze commesse in vita ed egli, grande esperto di peccati, emette la sua decisione conseguente a quelle confessioni. Alla vista di Dante, Minosse lancia un avvertimento al viaggiatore ultraterreno, poiché fidarsi di chi lo conduce in quel luogo potrebbe essere temerario, in quanto l’ingresso infernale è agevole, ma l’esodo potrebbe rivelarsi ben più complicato. Ma le sue minacce vengono soffocate da Virgilio, rammentandogli che Dante si trova lì per volontà divina e non può essere fermato.

 

Quadro “Pena dei lussuriosi” (vv. 25-45) – Estensione 21

Uscito di scena Minosse, Dante viene a contatto con dei veri peccatori e con la visione della loro punizione nel rispettivo cerchio. Si tratta di un luogo buio, gravido dell’eco dei pianti dei dannati, laddove è chiaramente udibile un vento tipico di un mare in tempesta, con la peculiarità dell’inarrestabilità di tale agente atmosferico che sospinge i dannati dovunque, in special modo quando essi giungono in prossimità del bordo dell’abisso infernale ed è lì che grida, imprecazioni e lamenti crescono a dismisura. Dante intuisce che si tratta dei peccatori carnali, coloro che hanno fatto cedere la ragione all’istinto. Il quadro si chiude con la similitudine degli stornelli che durante la stagione fredda sono portati dalle loro ali in una schiera fitta e larga: allo stesso modo vengono trascinate le anime dei lussuriosi da quel vento.

Quadro “Rassegna dei lussuriosi antichi” (vv. 46-69) – Estensione 24

Un’altra similitudine apre il quadro successivo poiché gli incontinenti rassomigliano a una lunga fila di gru lamentose e Dante chiede a Virgilio chi sia quella successione di anime che emettono gemiti. Virgilio esaudisce il desiderio del suo allievo e gli elenca tutte le anime decedute per amore da Semiramide a Didone e poi Cleopatra, Elena di Troia, Achille, Paride e Tristano, fino a giungere al numero eccedente le mille anime. La nuova similitudine costituisce stacco dalla scena precedente prettamente descrittiva della pena delle anime ivi allocate, in quanto l’immagine delle filari di gru prepara la rassegna degli spiriti schiavi di passioni carnali.

Quadro “Invocazione a Paolo e Francesca” (vv. 70-96) – Estensione 27

Dopo aver preso atto della lunga successione di uomini e donne vittime d’amore, Dante è al colmo del turbamento e la sua attenzione viene attratta da due anime che, diversamente dalla massa poco prima passata in rivista, non si muovono una dietro l’altra, ma sono affiancate e sembrano più leggere delle altre; pertanto chiede alla sua guida di colloquiare con loro due. Virgilio acconsente e gli suggerisce di domandar loro di fermarsi non appena il vento le farà avvicinare. Dante esegue e domanda ai due di parlar loro, se non vi siano impedimenti di sorta. Le anime escono dalla schiera simili a colombe che si involano verso il proprio nido. È la donna a parlare, rivolgendosi a Dante che le pare una persona gentile e buona, talché si degna di visitare nell’Inferno le anime di coloro che tinsero la Terra del colore del proprio sangue; soggiungendo che, se entrambi fossero in amicizia con Dio, lo raccomanderebbero al Sommo Giudice proprio in ragione della compassione che egli ha mostrato, nonostante la loro perversione. Francesca si prepara a parlare fino a quando il vento permetterà ad entrambi di riposare.

Quadro “Exordium della narrazione di Francesca” (vv. 97-108) – Estensione 12

Francesca delinea la propria identità, specificando di esser nata a Ravenna e in tre terzine anaforiche con la parola “Amor” sancisce e sigilla la ineluttabilità del suo legame con Paolo, poiché quel sentimento:

– irrinunciabile agli umani e che attecchisce rapidissimamente nei cuori determinò l’invaghimento di lui per lei;

– proibitore dell’amore verso qualcuno che abbia già un vincolo d’amore scatenò in lei una tentazione irrefrenabile per la persona dell’amante;

–  fu causa per entrambi di un unico simultaneo decesso.

Quadro “Quesito di Dante circa l’origine dell’amore di Paolo e Francesca” (vv. 109-126) – Estensione 18

Alle parole di Francesca Dante abbassa il viso e rimane talmente pensieroso che Virgilio gli chiede che stia meditando. Il poeta risponde, ma è quasi un soliloquio il suo, poiché esprime un reiterato turbamento circa l’intensità dei pensieri amorosi dei due dannati, cagione della loro condanna. E tale intimo scompiglio egli ribadisce a Francesca, sottolineando come le sue pene gli infondano tristezza e compassione tali da indurlo alle lacrime. Tale stato emotivo è talmente forte che il poeta ha impellenza di sapere da lei le modalità con le quali passarono dal puro desiderio alla passione più sfrenata. E Francesca si prepara a soddisfare la curiosità di Dante premettendo che non c’è dolore peggiore del rammentare i tempi della felicità quando si è in una condizione miserevole come la loro attuale, però, vista l’urgenza del moto d’animo dantesco, ella racconterà, pur lacrimando, l’origine della passione.

Quadro “Racconto di Francesca” (vv. 127-142) – Estensione 16

Francesca rivela a Dante che entrambi erano intenti nella lettura dell’amore di Lancillotto, si trovavano da soli e non sospettavano di nulla. Leggendo, vennero stimolati a guardarsi reciprocamente, sbiancando per la paura di innamorarsi. Talché, giunti al punto in cui il libro raccontava del bacio tra Lancillotto e Ginevra, l’immedesimazione fu tale che Paolo la baciò in preda a un tremore irrefrenabile. Quel libro fu il ruffiano della loro vicenda amorosa, infatti da quel momento non riuscirono più a leggerlo, perché vinti da mutua passione. E mentre Francesca racconta, Paolo è invaso dalle lacrime e l’immedesimazione di Dante nella vicenda è tale da portarlo a svenimento.

Il V Canto dell’Inferno, organizzato in 7 quadri scenici, compartimentati tra loro da evidenti cambi di scena e notabili svolte stilistiche, si presenta con ripartizione pressoché simmetrica con:

  • un tema minore iniziale dal primo verso fino al verso 69, di estensione multipla di tre (69) che chiameremo “I lussuriosi”;
  • un tema maggiore che si estende dal verso 70 al verso 142, di estensione 73, totalmente dedicato a “Paolo e Francesca”.

A loro volta, come individuato in altri canti di cui abbiamo trattato su questo sito, entrambi i temi si suddividono in motivo principale e motivo secondario, analogamente in rapporto proporzionale tra loro. Nella fattispecie:

  • il tema maggiore si suddivide in un motivo principale che chiamiamo “Racconto di Francesca”, esteso per 46 linee dal verso 97 fino al termine del canto, e uno secondario dal titolo “Invocazione di Dante ai due dannati” pari a 27 linee dal verso 70 al verso 96. I due motivi sono in rapporto geometrico aureo tra loro;
  • il tema minore è bipartito in un motivo principale chiamato “Pena e rassegna dei lussuriosi”, esteso per 45 linee dal verso 25 al verso 69, e un motivo secondario che abbraccia i primi 24 versi e chiameremo “Minosse”: i due motivi sono in rapporto aritmetico tra loro.

E sin qui niente di nuovo rispetto a quanto emerso dalle precedenti analisi sui canti omerici, le Ecloghe di Virgilio o alcune composizioni di Orazio e dello stesso Dante per il quale si era notato negli articoli apparsi in questo sito un costante equilibrio anche nei materiali da costruzione dei canti, vale a dire i versi narrativi, appannaggio dell’autore, e quelli mimetici, in cui egli passa il microfono ai personaggi incontrati nel viaggio ultraterreno. Si era detto a tal proposito che, a differenza di Omero che compone per linee intere, olodiegetiche e olomimetiche, Dante sovente utilizza versi misti in cui, mediante l’utilizzo di un verbo di dire seguito da due punti e dalla virgolettatura, passa la parola ai protagonisti dei vari canti. Nell’esame della struttura proporzionale di quei canti i versi cosiddetti misti erano da computare come appartenenti all’economia drammatica. Ebbene, stavolta, come aveva rilevato Carlo Ferdinando Russo scoprendo gli esametri prodrammatici in Omero, questi versi nel Canto V dell’Inferno dantesco costituiscono un manipolo che può costituire economia a sé. Infatti, i versi misti del V canto sono 11; presi a sé, determinano la simmetria della sezione diegetica (64) e di quella mimetica (67).

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

Carlo Ferdinando Russo:

  • “Notizia della composizione modulare”, Belfagor, XXVI, 1971, pp. 493-501;
  • “Primizie di poetica matematica”, Belfagor, XXVIII, 1973, pp. 635-640;
  • “Iliade. Matematica e libri d’autore”, Belfagor, XXX, 1975, pp. 497-504;
  • “L’ambiguo grembo dell’Iliade”, Belfagor, XXXIII, 1978, pp. 253-266;
  • Fisionomia di un manoscritto arcaico (e di un’Iliade ciclica)”, Belfagor, XXXIV 1979, pp. 653-656.

Franco De Martino:

  • “Omero fra narrazione e mimesi”, Belfagor, XXXII, 1977, pp. 1-6;
  • “Chi colpirà l’irrequieta colomba…”, Belfagor, XXXIII, 1977, pp. 207-210.

Mario Geymonat, “Virgilio – Bucoliche”, Garzanti, 1981.

Mario Ramous, Quinto Orazio Flacco – Le opere”, Garzanti 1988.

Giuseppe Giacalone, La Divina Commedia”,  Signorelli 1970.

Beniamino Andriani, “La musica nella “Divina Commedia”, La Zagaglia: rassegna di scienze, lettere ed arti, A. VIII, n. 32 (dicembre 1966), Emeroteca Digitale Salentina.

Paolo Vinassa De Regny,  Il numero (1) “Dante e il simbolismo pitagorico”, Fratelli Melita Editori 1998.

Otis Brooks – Ward W. Briggs Jr, Virgil, a Study in civilized Poetry”, University of Oklahoma Press Norman and London, 1995.

Giorgio Dillon – Riccardo Musenich, “I numeri della Musica – Il rapporto tra  Musica, Matematica e Fisica da Pitagora ai tempi moderni”.

Vincenzo Capparelli – “Il messaggio di Pitagora – Il pitagorismo nel tempo” Vol. 2°, Edizioni Mediterranee, 2003.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

 

 

 

 

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