Joyce e la critica accademica

Joyce e la critica accademica

Joyce e la critica accademica

Joyce e la critica accademica

Bianco e nero, credit Mary Blindflowers©

Mary Blindflowers©

Joyce e la critica accademica

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John McCourt, “Ulisse di James Joyce, Guida alla lettura”, Carocci editore, prima edizione marzo 2021, scrive in prefazione:

È inutile fingere e creare aspettative irrealistiche: nessuno è propriamente preparato per leggere, nel senso “normale” del termine, Ulisse, che Joyce stesso definì il “maledettissimo romanzaccione”. Arrivare alla fine di quella che tanti considerano la più grande opera di prosa mai scritta in lingua inglese è una sfida difficile (p. 9).

Qui abbiamo una falsa premessa: “nessuno è preparato per leggere l’Ulisse”, e una conclusione apologetico-banale: “la più grande opera di prosa mai scritta in lingua inglese”. La premessa cozza pesantemente con la conclusione, perché se nessuno è adatto a leggere Joyce, se non si riesce addirittura ad arrivare alla fine, come si può definire un romanzo simile “la più grande opera?” La critica sembra avere le idee piuttosto confuse, anche perché Joyce con il termine “romanzaccione” non intendeva dire che la sua opera fosse incomprensibile, ma che fosse ampia e che richiedesse un lettore in grado di scomporre e ricomporre quello che scrive, come in un puzzle. La critica però, anziché suggerire un approccio costruttivo e intelligente alla lettura dell’Ulisse, scoraggia fin da subito il lettore, mette le mani avanti, lo manda nel panico dicendogli, guarda che molti non arrivano alla fine, stai in campana, non sarai in grado di leggere. Questo atteggiamento ha rafforzato la fama di un Ulisse arduo da digerire, da capire, perché la critica accademica ha tutto l’interesse a pubblicizzare in negativo l’Ulisse, spacciandolo per un libro da specialisti. Così, leggendo le critiche, mi aspettavo chissà quali insondabili abissi, quali enigmi irrisolvibili. Confesso che quando ho iniziato a leggere mi è venuto da ridere e ora che mi sono inoltrata nella lettura, la risata si rafforza. L’Ulisse non è affatto incomprensibile, i riferimenti sono chiari e chiarissimo è anche l’argomento, parla di due argomenti che la critica attuale filoatlantica ritiene forse scomodi: il sionismo e l’imperialismo britannico, innestando in questi due argomenti cardine la critica alla religione. Gli accademici che sono tutti politicamente compromessi, fanno girin girello attorno al mito, ai personaggi, puntano l’attenzione del lettore sui tre protagonisti, poi descrivono i riferimenti shakespeariani, quelli romani e greci, dimenticando o fingendo di dimenticare il succo, il midollo, come direbbe Rabelais, altro autore che nessuno o quasi legge, famoso dimenticato, sorte che condivide con Joyce, continuamente ristampato ma poco letto. Entrambi enciclopedici, entrambi ironici e taglienti, entrambi critici della società in cui vivono, entrambi ritenuti se non illegibili, difficili.

Eppure Joyce stesso ci dice nelle sue lettere di che parla il romanzo. In particolare, in una lettera a Carlo Linati del 21 novembre 1920, scrive in riferimento all’Ulisse:

È l’epopea di due razze (Israele-Irlanda) e nel medesimo tempo il ciclo del corpo umano ed anche la storiella d’una giornata (vita)… È una specie di enciclopedia, anche. La mia intenzione è di rendere il mito sub specie temporis nostri; non soltanto, ma permettendo che ogni avventura… condizionasse, anzi creasse la propria tecnica.

Cosa c’è in tutto questo di difficile da capire? Perché l’autore è semplice e la critica complicata in giri inutili che continuano a parlare di grosse difficoltà. Tutta la prefazione del libro di John McCourt, per esempio, non fa che ripetere alla nausea quanto sia difficile Joyce, si vede che repetita iuvant:

Insomma, non ha senso sostenere che Ulisse sia facilmente leggibile, è meglio quindi ammettere le difficoltà in partenza e prepararsi al meglio, anche se nessuno può sentirsi veramente pronto per affrontare questo libro mastodontico che supera le 265.000 parole…

Poi continua ripetendo alla sfinimento quanto sia complesso, arduo il romanzo, etc. etc. A forza di sentire il mantra di quanto sia difficile leggere Joyce, nessuno lo legge più, ottimi risultati! In effetti, a mio parere, è proprio quello che la critica accademica ha sempre voluto, che la gente non legga l’Ulisse o lo legga senza capirlo. Infatti lo stesso John McCourt dice, erroneamente che “la struttura portante dell’Ulisse” sarebbe l’Odissea di Omero che invece, a mio parere, Joyce utilizza solo come scusa per parlare di altro e non lo dico io che sono nessuno, ce lo dice lui: “rendere il mito sub specie temporis nostri”.  Il suo scopo non è di certo quello di parlare dei miti greci, li usa per modellare il suo discorso sull’imperialismo, così come si riferisce all’Impero Romano per fare paralleli con l’arroganza della dominazione inglese in Irlanda. I riferimenti poi si possono capire facilmente, i nomi dei personaggi accessori che si prestano ad una satira pungente, basta cercarli su internet, oggi abbiamo questo strumento, senza dover ricorrere alle pesanti enciclopedie cartacee. Joyce va letto come Rabelais, né più né meno. Gli accademici non vogliono che lo leggiamo perché è un libro contro l’imperialismo inglese, contro la religione, contro il sionismo. I riferimenti alla Palestina sono espliciti, precisi, graffianti. Eppure la critica non ne parla mai, preferisce dirci quanto sia arduo leggere qualcosa che invece si capisce subito, un esempio? A pagina 203 della seconda edizione Mondadori, Joyce scrive, testuale:

Il fagiolo vota per il vecchio Mosé

-L’intitoli, un momento, disse il professore… l’intitoli… deus nobis haec otia fecit.

-No, disse Stephen, l’intitolo Visione della Palestina dal Monte Pisgah ovvero la Parabola delle Susine.

-Capisco, disse il professore.

Fece una ricca risata.

-Capisco, ripeté con rinnovato piacere. Mosé e la terra promessa. Gliela abbiamo data noi l’idea…

Basterebbe questo pezzo per capire i sentimenti antisionisti di Joyce, ma è solo un esempio, il libro è stracolmo di riferimenti.

E che dire dei meravigliosi consigli da parte degli accademici di saltare le parti che non si comprendono? Non sono meravigliosi? Non vi consigliano di scomporre il testo ma di non leggerlo! Non ci credete? Ecco, sempre nella Prefazione al libro di John McCourt: “Se all’inizio i tre capitoli dovessero risultare troppo ostici, si può saltare al quarto che è un vero inizio del romanzo…” E poi ancora, nel caso il lettore avesse un ritardo mentale: “Il punto è che non è necessario né possibile cogliere o comprendere tutto… Lo sforzo per leggere Ulisse assomiglia a una ricca e complessa avventura…” (p. 11).

Ma il consiglio migliore, è quando dice che occorre una mappa di Dublino rigorosamente del 1904: “Anche una mappa di Dublino nel 1904 è molto utile per seguire gli spostamenti dei protagonisti” (p. 12).

Peccato che gli spostamenti dei protagonisti siano un fatto puramente accessorio che servono a Joyce per parlare di ben altro, e la data del 1904 in cui è ambientata la giornata è un’altra beffa di Joyce e non va intesa alla lettera, è riferita infatti al giorno e anno preciso, 16 giugno 1904, in cui uscì per la prima volta con Nora Barnacle, sua futura moglie.

I commentatori di Joyce nel fingere che il libro non sia anti-sionista e contro l’imperialismo inglese, omettendo pezzi significativi e puntando l’attenzione su fatti puramente di contorno, subiscono un forte condizionamento politico. Nel paragrafo dell’Ulisse Dai Padri c’è un forte sfottò riferito all’Esodo. Leggetevelo. Perché nelle prefazioni e nelle guide alla lettura, nessuno ne parla mai?

La letteratura porta guai, meglio non leggerla e fingere che sia difficile. Ah, e per inciso, nel libro di John McCourt per guidare il lettore a leggere Joyce si parla dei miti greci, di Calipso, delle Sirene, del Ciclope, di Nausicaa, di Itaca, di Telemaco, tranne che di imperialismo, religione e sionismo, una guida completa, non c’è che dire! Oltretutto non fa altro che ripetere la solfa di tutta la cavalleria accademica che a quanto pare, è diventata endemica, come una malattia incurabile.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

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Comments (2)

  1. Mariano Grossi

    Però io che non son pollo,
    ma un gattone da vibrisse
    me ne frego del dio Apollo
    e l’ho letto ben l’ “Ulisse”.
    Prende in giro l’Inghilterra
    e la crassa fe’ d’Irlanda
    veri oppiacei d’ogne terra!
    Non abbasso la serranda
    come dice il buon Mc Court!
    Io l’ho letto, sai, tout-court!
    Guai ai tromboni d’Accademia
    quelli che il suddito premia!
    L’abbiam letto fino in fondo:
    ci siam sollazzati un mondo!

  2. Giuseppe Ioppolo

    Leggermente incuriosito batto i piedi ed alzo il dito
    a questo Ulisse ed al Pinocchio voglio adesso darci un occhio
    ma diranno i benpensanti “se dai l’occhio resti senza vista o con una vista a metà”
    Quanto basta per non ammorbare nell’ovvietà

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